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“The Slip” dei Nine Inch Nails, il fascino di un sospiro

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Esattamente 12 anni fa usciva “The Slip“, dei Nine Inch Nails, pubblicato per l’etichetta indipendente The Null Corporation. Potrei scegliere tanti modi per definire questo album, ma la prima parola che mi viene in mente è “fascino”, una parola che forse non può essere separata dal fenomeno musicale nato a Cleveland nel 1988 per merito di Trent Reznor. Da sempre Trent Reznor ha la capacità di creare una musica così particolare e intrigante da non poterne abbandonare l’ascolto, al di là di preferenze di genere. Le categorie qui sono difficili da trovare e assolutamente superflue quando il risultato è un magnete sonoro tanto raro quanto necessario oggi.

È un mondo oscuro e doloroso quello in cui ci proiettano sempre i NIN, all’interno del quale vengono esplorate le pulsioni più profonde e spaventose, tratti comuni per il genere dell’industrial rock. È viva la presenza di un animo tormentato, che indaga le irrequietezze in melodie ricercate e testi altrettanto pulsanti. Tale il binomio vincente di un musicista poliedrico e sperimentatore, che sin dall’esordio registra i suoi brani quasi in solitario, selezionando poi ad hoc gli altri elementi necessari ai live.

I NIN sono maestri e come tutti i maestri copiano e trasformano l’operato dei loro predecessori, dai Ministry, ai Depeche Mode e ai Bauhaus. Probabilmente non tocca gli apici raggiunti in passato come con “The Downward Spiral“, non ci si può aspettare la stessa forza irresistibile, resa tale anche da una violenza espressiva a tratti disturbante. Tuttavia, lo stesso Trent Reznor definì “The Slip” più come un abbozzo che un vero e proprio quadro. Ma è proprio quel lato un po’ rudimentale che lo rende interessante, con quella curiosità che solo i lavori lasciati a metà sono capaci di trasmettere.

Non riesco a demonizzare questo album che potrebbe essere sì definito di intermezzo, in attesa di lavori più riusciti. Forse 12 anni fa “The Slip” deluse le aspettative, ma l’ascolto di oggi gli assegna il ruolo di un bellissimo sospiro, o di una pausa di qualità. Alcuni brani sono più riusciti di altri, certamente, come Discipline e Echoplex. Nella prima Trent lancia un appello misterioso a qualcuno che possa controllare le sue pulsioni, in uno strano ritratto di un amore che sembrerebbe tossico. In Echoplex, invece, si questiona sul suo ruolo nel panorama musicale moderno e mostra una certa consapevolezza nell’affermare che “la sua voce riecheggia”, anche se potrebbe sparire fisicamente.

Le note sul piano di Lights In The Sky sono toccanti e quel sussurro cantato si insinua sotto la pelle, raccontando di un amore resiliente, pronto ad affrontare anche la morte: “Non posso sparire o lasciarti qui (I can’t disappear or leave you here”). Sono anche presenti tracce interamente strumentali, non di particolare impatto e sicuramente in linea con l’atmosfera trattenuta caratterizzante l’intero album: 999,999 e Corona Radiata rimangono dei piacevoli sottofondi.

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