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Bush – The Kingdom

2020 - BMG
alternative rock

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Tracklist

1. Flowers On A Grave
2. The Kingdom
3. Bullet Hole
4. Ghosts In The Machine
5. Blood River
6. Quicksand
7. Send In The Clowns
8. Undone
9. Our Time Will Come
10. Crossroads
11. Words Are Not Impediments
12. Falling Away


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Partiamo da alcuni punti fermi: non dimenticheremo facilmente questa estate 2020 per molti motivi. Di sicuro tra questi non c’è il nuovo disco dei Bush. Non vorrei però che questa affermazione venga fraintesa affibbiandole una qualche valutazione qualitativa. Il problema è a monte: nessun disco è più destinato a durare o a lasciare una qualche traccia nel substrato culturale che viviamo.

E quello che viviamo in questo eterno presente è un passato che sembra destinato a non finire mai, erodendo tutto lo spazio possibile ad una qualsivoglia visione di futuro. L’impero retromaniaco eretto attorno alle nostre fragilità e paure non cessa di estendere i propri confini, perpetrando il rilascio di dischi e prodotti musicali rivolti più a solleticare le nostre nostalgie che a proiettarci in mondi nuovi. Il conforto a tratti angosciante che proviene dal ritornare nelle nostre camerette d’infanzia e trovare tutto esattamente come l’abbiamo lasciato.

The Kingdom” rientra a pieno titolo nell’argomentazione sopra esposta, eppure risulta essere uno dei dischi migliori della band britannica dai tempi di “Golden State” (2001). Non bisogna confondere i piani: il campionato che giocano ed hanno giocato i Bush è quello del rock mainstream più fortunato, con tutto il suo passato transmediale fatto di infinite rotazioni MTV, radio, colonne sonore e fuoriuscite cinematografiche di Rossdale. Ed è in quel contesto che va giudicato e compreso.

Nonostante siano spesso annoverati tra “le peggiori band degli anni ‘90” proprio a causa della loro sovraesposizione – e dell’invidia generata da GavinRossdale-il-belloccio – in realtà hanno dimostrato di avere una vitalità ed una capacità compositiva superiore a loro contemporanei e band future. I Bush esistono e resistono strenuamente, rilasciando musica nuova e fresca, mentre altri sono morti e defunti vivendo spesso di gloria nei loro reunion tour. Senza le rotazioni MTV con il quale la nostra generazione millennial è cresciuta – se stai leggendo questo articolo sei millennial anche tu, altrimenti non sapresti neanche chi sono i Bush – molti ascoltatori abituali di musica non sanno che dal 2010 ad oggi i Bush hanno rilasciato ben 4 album nuovi (3 più quello oggetto di recensione): non particolarmente rilevanti, ma con singoli interessanti. È quindi indiscutibile la volontà di continuare a creare senza adagiarsi su fasti nostalgici o riesumare scheletri dagli armadi (stanno letteralmente resuscitando i morti per farne dischi e Chris Traynor non è esente da responsabilità).

The Kingdom” si posiziona in un luogo artistico che ha voglia di guardare in avanti senza dimenticare la propria identità, ricalcando stilemi propri del passato per renderli quanto più attuali possibile. Cerca di dare ordine alla confusione sonora dei loro tre album precedenti, provando a dimostrare che possono riuscire ad andare oltre la nostalgia degli anni ’90. Un disco dinamico con sonorità pesanti e ben strutturate. Lo stile emotivo di Rossdale si lascia fluire liberamente in molti episodi ed il disco ondeggia tra picchi arrabbiati – per stessa ammissione della band – vedi The Kingdom o Ghosts In The Machine e adagi più malinconici, come su Undone o Flowers On A Grave.

Rossdale ha specificato in varie interviste che il processo compositivo è stato fortemente influenzato dalla presenza della band in festival musicali dominati prevalentemente da gruppi metal, aggiungendo che i System Of A Down sono stati tra le ispirazioni principali durante la scrittura. Composizione che ha visto la collaborazione di Tyler Bates, compositore rock cinematografico e già collaboratore di Marilyn Manson, autore di colonne sonore di blockbuster tipo “Guardiani della Galassia”, “300”, “SuckerPunch” o di “John Wick”, che nel suo ultimo capitolo contiene tra le tracce principali proprio il singolo Bullet Holes (criticato per alcune somiglianze con Bullet The Blue Sky degli U2).

Un disco che fa dei riff pesanti la sua spina dorsale e della voce rotta e quasi disfonica di Rossdale la sua anima. Per gli amanti di quel tipo di rock è un prodotto che riesce in molti momenti ad emozionare e galvanizzare, rendendo piacevole un viaggio in macchina di ritorno dal lavoro o una corsa tra i palazzi polverosi dei grigi quartieri in cui viviamo. Non è destinato a durare, ma possiamo pur sempre goderci il piacere effimero di un momento che sappiamo finirà.

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