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Jason Molina – Eight Gates

2020 - Secretly Canadia
songwriting / alternative country

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Tracklist

1. Whisper Away
2. Shadow Answers The Wall
3. The Mission’s End
4. Old Worry
5. She Says
6. Fire On The Rail
7. Be Told The Truth
8. Thistle Blue
9. The Crossroad + The Emptiness


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La scomparsa di Jason Molina – assieme a quella di Vic Chesnutt – ci ha privati di una delle penne più intense che la musica americana abbia mai partorito dal suo ventre rugginoso ed intriso di sangue e lacrime. Il solo fatto di non poter più godere di un nuovo, splendido album a firma Magnolia Electric Co. (evoluzione di quei già incredibili Songs: Ohia) è qualcosa che non può che addolorare.

Per questo motivo, in primis, “Eight Gates” è un dono inestimabile. Dall’ombra e dal silenzio del suo giaciglio eterno, Jason torna sotto forma di un album registrato non troppo tempo prima della sua prematura dipartita, a Londra. Vi si rifugiò dopo una serie di date in Italia, in cui l’artista disse di essere stato morso da un particolare ragno velenoso. Per riprendersi la capitale Britannica non poteva che essere l’ideale. Lei e le pillole antivirali che prendeva. La prima un toccasana, le seconde veleno puro e semplice. La prima ispiratrice del titolo, un ottavo cancello in aggiunta a quelli leggendari che davano accesso a Londinium, rimasti in piedi per circa mille anni e poi scomparsi, sepolti dal futuro. L’ottavo lo costruisce Molina per accedere ad un luogo che va oltre la città stessa, ispirato dai parrocchetti colorati che gli facevano visita, sicuro che fossero simili agli stessi liberati una cosa come trent’anni prima da Jimi Hendrix.

È quindi nel sogno, in una realtà che sfugge, che “Eight Gates” muove i suoi flebili passi. Passi che echeggiano nel buio dell’oltretomba, attraversano a ritroso il portale e tornano in piena luce. Ogni brano è intriso di quella sostanziale amarezza che ha accompagnato Molina per i suoi 39 anni di vita, un sentimento così forte eppure così delicato, come se l’energia si tramutasse tutta in tocchi di corda adamantini e voci che vibrano dolenti nell’aria. Corde e archi che si fondono, disperazione lisergica da medicinale che affonda gli artigli nel cuore, chitarre elettriche impavide che si abbattono come fulmini su campi aperti, il folklore di una terra violenta trapiantato altrove, la sabbia scura portata nelle scarpe, recrudescenze country, di quello antico, legato alle radici con le catene di qualcun altro, ballate di sangue e amore evanescenza, acustiche vedute su pianori abbandonati, respiri di un altro mondo. Di tanto in tanto si può sentire Jason che scherza con chi assisteva alle registrazioni, un lascito che non andava tagliato.

Bellezza che non si ripeterà mai più. Per questo, forse, dovremmo aggrapparci a questo disco come l’unico – ed ultimo – legame con un artista che invece servirebbe. Perché oggi ci sarebbe bisogno, ancora una volta, di una voce che faccia tremare una Terra più piatta che mai. Io un po’ me la faccio bastare così com’è, come un disco che la Secretly Canadian mi (ci) regala. Un atto d’amore, come quello che ho descritto sopra. Come quelli che descriveva Molina.

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