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“The Black Album”: la fine dell’inizio o l’inizio della fine dei Metallica?

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I Metallica hanno sempre diviso critica e fan, ma mai come nel caso del loro quinto lavoro in studio. Nel 1991 le legioni di fan erano reduci dai quattro lavori precedenti, in cui il gruppo aveva scolpito nella pietra quattro pilastri del genere thrash metal, toccando l’apice con “Master Of Puppets” (1986) e “…And Justice For All” (1988). Le aspettative sul nuovo disco erano alle stelle e Hetfield e soci non potevano deluderle, così esattamente ventinove anni fa usciva “Metallica” meglio noto come “The Black Album“, per via dell’artwork di copertina.

I puristi del metallo duro avevano aspramente criticato la band anni prima, quando osò girare il suo primo videoclip ufficiale One tratto dall’album “…And Justice For All”(1988). Alcuni fan, in alcune occasioni, non mancarono di far presente il loro disappunto sputando addosso ai membri della band, racconta il frontman in una vecchia intervista. L’accusa? Naturalmente quella di essersi venduti, di aver venduto la loro musica selvaggia al business e, ahimè, questo è stato il ritornello che da quel momento in poi ha tormentato i Metallica per gran parte della loro carriera. Con la pubblicazione del loro quinto lavoro queste accuse e le critiche raggiunsero l’apice.

Non ce ne sarebbe bisogno, essendo questo una pietra miliare del metal in generale, ma visto che siamo qui….. ripercorriamo a grandi linee l’operato della band in questo lavoro, celebrando il suo ventinovesimo compleanno. Sicuramente con “Kill’em All” (1983) la band sfoderava un thrash aggressivo che andò arricchendosi di complessità strumentali nei lavori successivi, mentre in “The Black Album” le linee melodiche si addolciscono e Enter Sandman ce ne dà subito un assaggio: una melodia lenta apre ad un crescendo di riff più distorti, fino a che Lars non comincia a pestare sull’acceleratore scandendo ritmiche che danno carattere al brano. Sad But True inizia con riff aggressivi e potenti e il sound, pur rimanendo lento, si fa più pesante, piacevolmente pesante, secondo il sottoscritto.

Holier Than you mantiene un ottimo ritmo e le chitarre di James e Mr. Hammet fanno un gran bel lavoro, quasi a portarci indietro a qualche album fa. Una chicca di questo disco sicuramente è la ballad The Unforgiven, non me ne voglia lo zoccolo duro del metallo, ma la canzone presenta delle tracce melodiche molto ben fatte e la voce di Hetfield incornicia una dei brani cult della band. Wherever I May Roam mantiene ritmi lenti, ma le sempre eccelse chitarre della band insistono su un riff possente, aggressivo, che tende a dare estensione al brano e lo rende molto piacevole. Don’t Tread On Me ci regala un po’ di headbanging vecchia maniera, la traccia diverte, ma non esalta.

Superiamo così la metà dell’album, dove i toni sono sicuramente meno intensi dei lavori precedenti, anche se, sempre a parere del sottoscritto, le canzoni sono quasi tutte su un buon livello. Through The Never parte decisa e alza subito i ritmi sfoderando un dinamismo vecchia scuola. La perla, diventata forse il brano più noto della band, è la ballad per eccellenza targata Metallica: Nothing Else Matter, brano carico di pathos che coinvolge dalla prima all’ultima nota, dove una traccia melodica si incrocia agli assoli di Kirk e alla voce di James che la fa da padrone assoluto con carisma e personalità.

Dopo aver ripreso fiato con queste idilliache note, Of Wolf And Man incalza con Lars che picchia duro e ci riporta sulla via del trash grezzo; di grande intensità e precisione l’assolo di Hammet, mai una nota fuori posto su disco come dal vivo. Seguono a ruota il thrash soffocante e cupo di The God That Failed e My Friend Of Misery, dove il basso fa un gran lavoro, da notare soprattutto nella seconda traccia la linea melodica che Newsted pennella, dando una vena malinconica al brano. A ritmo di tamburi entriamo nell’ultimo atto: The Struggle Within morde al collo e spezzando il fiato ci riporta al thrash che solo i Four Horsemen sanno regalare.

Questo album si infila a gamba tesa nel processo evolutivo di una band che ha sempre espresso musica di grande livello tecnico e artistico. Sicuramente, nei primi quattro album la band spaccava e incendiava con un thrash grezzo e selvaggio che però non cessa di esistere, piuttosto evolve verso linee più melodiche, se volete chiamatele anche più commerciali, ma che, a mio parere, non rendono i Metallica il simbolo della svendita al conformismo musicale.

I ragazzi nel tempo qualche scivolone lo hanno fatto, uno su tutti “St. Anger” (2003), ma a partire dal lontano 1983 questa band ha scritto alcune tra le pagine più importanti non solo del thrash, ma dell’intero genere metal. Quindi sì, non sono tra quelli che, nonostante Hetfield e soci si siano un po’ addolciti, distruggono tutto ciò che hanno fatto da “…And Justice For All” in poi. Magari l’intensità ritmica e la qualità non sarà la stessa degli esordi, ma bisogna riconoscere che il livello di questi artisti è sempre stato elevato sia sul piano creativo che su quello esecutivo in quasi tutte le loro produzioni.

Come scrissi precedentemente in occasione del trentacinquesimo anniversario dall’uscita di “Ride The Lightning” (1984), vedendoli a Roma nel 2014, il pathos e la tecnica sono sempre di grande livello, anche con qualche incertezza di Lars… e anche se possono sembrare un po’ più adagiati, signori gli anni passano per tutti, la grinta a questi ragazzi non è mai mancata e non manca oggi. Quindi, volendo citare la domanda di apertura di End Of The Beginning dei Black Sabbath, per quello che riguarda i Metallica e il loro disco omonimo, direi che possiamo parlare solo della fine del loro primo periodo, ma niente di più. A me ogni tanto capita di pensare ad alcuni gruppi e alla loro importanza basilare nel mondo della musica; se prendiamo il panorama del metal, riuscireste a pensare questo genere senza i Metallica? Io dico di no.

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