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Back In Time

“American Caesar”, un’azione bellica contro i bruti nell’America dell’irragionevolezza

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E ora la musica, il ritorno di Iggy Pop, figura simbolo del punk americano, dopo anni di silenzio eccolo di nuovo con l’album ‘American Ceasar‘, il 46enne riappare a torso nudo, capelli lunghi oltre le spalle, una forma fisica incredibile e una grande voglia di ricominciare con il suo rock viscerale dei sobborghi americani…”  

Così, più o meno, speakerava un energico e professionale Vincenzo Mollica in una bella giornata di inizio settembre 1993 mentre io mi avventavo sul piatto di pasta al pomodoro insieme a mia mamma e alla mia sorellina piccola, a pranzo in cucina. Perché è strano, assurdo pensarlo oggi, ma nel settembre 1993 uno come Iggy Pop poteva entrare tramite le notizie di spettacolo del Tg2 dell’ora di pranzo nella quotidianità di una famiglia medio borghese perché era uscito il suo nuovo disco. E, mentre aggiungevi un po’ di olio extra vergine d’oliva, potevi vederlo dimenarsi in Tv come una creatura che si sta togliendo la pelle di dosso. 

Il video che passava era quello di Wild America: telecamera fissa (almeno l’inquadratura più significativa che riprende la copertina), piano americano su Iggy che lasciava intravedere i suoi denim a vita bassa, luce calda sul suo torace chiaro e sfondo limbo nero. La denuncia che traspirava dalla canzone non arrivò immediatamente alla mia mente di sedicenne, ero fin troppo ingenuo per cogliere gli aspetti di cui Iggy parlava:

Giudicano un uomo da quello che ha
E vogliono di più, di più,
Più potere
Più libertà
Vite più longeve
Figli più alti
Tutto
Case enormi
Schiavi

Dopo questo evento uno è portato a pensare che mi lanciai al negozio di dischi per comprare “American Ceasar” ma non fu così, non fu così perché Iggy non era in voga come le band grunge del periodo, su Videomusic non è che passasse molto, forse a tarda notte, quando gente più vicina alla sua età guardava la tv ma per adolescenti come me era ancora troppo fuori target. Perciò, quella notizia della sezione spettacoli rimase negli scaffali per un po’ di tempo.

Per questo, qualche anno dopo, Iggy fece la mossa che lo consacrò alla mia generazione: partecipare alla colonna sonora di “Trainspotting” con Lust for Life, mi sembra fosse ormai il 1996 e io ero ormai un’altra persona, pronto per conoscere il padre della mia musica preferita e fu così che, nei giorni dell’uscita del film nelle sale, andai a vederlo e finalmente, su Videomusic passò il video realizzato apposta per l’occasione. Fu in quei giorni che mi tornò in mente quell’individuo bizzarro e le sue movenze ipnotiche, fu così che, tre anni dopo l’uscita di “American Ceasar”, finalmente comprai il cd e me lo portai a casa.

Sentivo come se avessi fatto un salto, un balzo in avanti nella mia cultura musicale, ero uscito dallo schema delle band degli anni 90, nate negli 80 e in procinto di dissolversi mangiate dal crescente music business, ero di fronte finalmente ad un personaggio eterno, che aveva iniziato tutti quelli che ascoltavo a suonare e a spaccare strumenti sl palco ed era molto più forte di tutte le band in heavy rotation del periodo e sapevo, sentivo che aveva ancora molto da dare. 

I Guns’n Roses erano già storia, “di Posse già (allora eran) piene le fosse” quindi eravamo abituati ad album con l’avviso in copertina “Parental advisory: explicit lyrics” ma l’avviso che c’era sulla copertina di “American Ceasar” mi conquistò completamente: “Parental warning: this is an IGGY POP record”. Ciò denotava una consapevolezza in Osterberg: quella di essere al di sopra delle mode, al di sopra dei tempi con quel torace carico di forza e che stava attraversando le correnti musicali anche con grande ironia, già sopravvissuto agli anni ’70 e agli anni ’80, in piena età adulta, era più potente che mai.

Dopo l’intro di Character, che skippavo regolarmente per pigrizia mentale, ecco che arriva la mia amata Wild America, seguita dal boogie blues Mixin the Colors, con quel “Different shades from the whole country side” e “Music’s gonna getch’ya home tonight” nonché “I like the kids with the ways on their own” potete immaginare l’effetto che fece sulla mia mente ora diciannovenne: frasi che non sentivo a scuola, non le sentivo a casa, ma potevo sentire sul mio stereo a pile portatile. 

I bianchi con i bianchi, i neri con i neri e tutto dev’essere svolto con ordine, un ordine stabilito in cui non importa se ti ammali, basta che produci. Quest’album demoliva per me questo bigotto imprinting perché “American Ceasar” sputa in faccia a tutta l’America conservatrice, come tutti gli altri album del resto, ma qui in particolare troviamo un affresco di un’America che è priva di ragione, con il raziocinio azzerato e sostituito dalle intimidazioni di una classe dominante, perciò, nel senso più dantesco: “Exterminate the brutes” (sterminare i Bruti) è rivolto ad una massa di schiavi sudditi e ordinati nel seguire una compostezza finalizzata al controllo economico. Coi testi e le musiche di “American Ceasar”, Iggy cerca in tutti i modi di indicare una strada per portare l’uomo a liberarsi dall’ irragionevolezza. E in pezzi acustici come Social Life in cui un uomo medio si trova nella società che è una “tortura vestita di divertimento”, finisce solitario e triste, pieno di soldi e di pezzi d’arte orrendi e si immagina soltanto alla fine che un volto amorevole lo accompagni nel cammino. 

Vulnerabile come una barca,
Ma non sei sul mare,
Puoi parlare con qualcuno da quassù?
No, non proprio

Quindi, capite, “American Ceasar”, dopo tutti questi anni, è ancora attuale, non è in alcun modo datato, sia per quanto riguarda il messaggio, sia per quanto riguarda gli arrangiamenti perché come diceva il suo amico Lou “Nothing beats two guitars, one bass and drums” ed è un’accusa alla classe sociale che ha deciso quale strada farci percorrere, senza farci sapere se ne vale la pena ma dicendoci solo che “Se sei così sarai buono, se invece sei povero e miserabile è colpa tua”. E Iggy canta, urla, salta, si spacca in due per farci arrivare questo messaggio, per farci svegliare, farci vedere che stiamo “rincorrendo stringhe”,  volete dargli ascolto una volta per tutte? Quello che ci vuole dire è che non è possibile che siamo arrivati al punto di volere delle tette nuove per star bene, che il capitale che dobbiamo immagazzinare non è solo economico, ma anche culturale, artistico e dobbiamo coltivarlo perché il Sistema lui l’ha guardato in faccia e non si è mai piegato, anzi, è diventato più forte, Iggy Pop è uno dei pochi esseri viventi che riescono a cibarsi e prendere energia dalle ingiustizie di un ordine mondiale folle per poi scaricarle sul palco e su dischi come “American Ceasar”, uno dei più potenti, riusciti ed ispirati della sua carriera. Ma in tutto questo Iggy non si pone come un maestro, anzi, tutt’altro, la sua percezione di sé è sempre quella del pagliaccio, del giullare e ce lo ricorda verso la fine dell’album con la strepitosa cover dei Kingsmen. È lì che sta dicendo: “Ragazzi, svegliatevi ma non imitatemi, usate la vostra testa, io non sono nessuno”. 

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