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Interviste

Aggrappandoci a ciò che resta, per non perdere l’equilibrio: intervista agli Storm{O}

(c) Luca Ash Settantuno Iacono

Feltre è una cittadina di poco più di ventimila abitanti, incastonata all’interno dello splendido panorama che solo un luogo come le Dolomiti può ricreare. Probabilmente pochi abitanti della zona sono a conoscenza dell’esistenza degli Storm{o}, band veneta capace, durante i suoi ormai tredici anni di attività, di portare un nostro suono, una nostra cultura musicale, ben al di fuori dei confini del Belpaese. Se “Sospesi Nel Vuoto Bruceremo In Un Attimo E Il Cerchio Sarà Chiuso” ne è stato il punto più alto a livello di influenza sulla scena nostrana, i successivi “Finis Terrae” ed “Ere” hanno cementificato la discografia della band come una creatura a cavallo tra screamo e urgenza punk con la quale fare i conti quando ci si approccia alla modernità di questi generi. In ordine temporale, l’ultima fatica targata Storm{o} è rappresentata da “Reboot System – Rebound Collective”, una collezione di remix intesa come esperienza collettiva, anarchica nel suo essere fuori dagli schemi prestabiliti e con un forte messaggio sociale.

In un periodo di crisi che vede una flebile luce in fondo al famoso tunnel, un tunnel però con dei costanti lavori in corso, ci aggrappiamo al nome più interessante e, forse, avanguardistico nel suo essere hardcore, per tenere botta e guardare avanti. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luca Rocco, cantante degli Storm{o}, per portarvi dentro il mondo di questa band in costante evoluzione.

Lo scorso mese, Sospesi nel Vuoto Bruceremo In Un Attimo E Il Cerchio Sarà Chiuso, il vostro primo album, compiva sei anni di età. Come è cambiato, da allora, il progetto Storm{o}?

Dall’uscita di quel disco sono scaturite una serie di cose per lo più inaspettate; credo che questi sei anni abbiano più che altro inciso su quello che siamo noi quattro ora e su ciò che saremo e faremo in futuro. È un po’ cambiata tutta la nostra vita e Storm{o} ha fatto da contenitore per questo, evolvendosi e assorbendo gli stimoli esterni. Forse tecnicamente il momento più complesso è stato il cambio di line-up e la ricerca di un nuovo batterista che potesse inserirsi in qualcosa di già profondamente strutturato. C’è voluto molto tempo ma credo che da un paio d’anni a questa parte abbiamo raggiunto una nuova e più forte stabilità.

Ere” e “Finis Terrae” hanno visto la luce a distanza di poco tempo una release dall’altra. Quali esperienze accumulate nei quattro e cinque anni precedenti avete inserito in questi lavori?

Percepisco questi due dischi in maniera molto differente: Ere ci ha impiegato quattro anni a prendere forma, è un lavoro ragionato, frutto della necessità di definire una strada da percorrere successivamente alla prima release. Finis Terrae, invece, è molto spontaneo, racchiude un’urgenza espressiva e una necessità di comunicazione molto diretta. È forse riconducibile a un momento in cui avevamo bisogno di dire qualcosa in maniera diretta e senza troppi fronzoli.

L’importanza della vita on the road e in tour ha un peso specifico notevole per una band ormai globalmente riconosciuta come la vostra. Come vi siete rapportati, rispettivamente alla scrittura dei vostri brani, con essa? Portateci “dietro le quinte” di un brano scritto e arrangiato dagli Storm{o}.

Beh, i tour sono sicuramente la parte più significativa di quello che facciamo. È da lì che raccogli nuovi stimoli e conosci cose e persone che fanno progredire il progetto in sé. Ho sempre visto i dischi degli Storm{o} come il risultato del confronto tra noi quattro e la realtà esterna e una parte importante della nostra esperienza di ciò che c’è all’esterno deriva dall’andare a suonare in giro. Credo che principalmente per questo sia stato possibile comporre Finis Terrae a così poca distanza da Ere, tra 2018 e 2019 siamo stati in tour per quasi quattro mesi e alla fine ne abbiamo tratto qualcosa da scrivere.

Ph. Francesco Boz

La cultura d.i.y. ha sempre rappresentato una parte fondamentale per voi: cosa vi spinge a rimanere radicati a essa? Quali sono le scelte che rifareste, e quali quelle che evitereste, se doveste tornare indietro di sei o sette anni?

Siamo cresciuti facendoci le cose da soli perché non c’era altro modo, veniamo da un piccolo paesino sulle Dolomiti dove sicuramente grandi etichette, booking e quant’altro non arrivavano né esistevano. Non abbiamo mai pensato di fare musica in vista di un qualche riconoscimento futuro, semplicemente ci piaceva farlo. Così pian piano abbiamo conosciuto persone che oltre a collaborare con noi sono diventate amicizie importanti e per questo ci fa molto piacere continuare a fare le cose con loro – un esempio fra tutti è il team di Serimal -. Personalmente, forse avremmo potuto essere un po’ più sul pezzo, cazzeggiare meno ed essere più produttivi ma ci siamo divertiti molto in questi anni quindi fanculo anche alla produttività.

Cosa rimane, secondo il punto di vista degli Storm{o}, della cultura punk (nel senso più vasto del termine) e dell’autoproduzione in Italia? Quali modus operandi avete riscontrato all’estero dei quali vorreste far menzione?

Noto molto volte una tendenza a paragonare Italia ed estero in modo da evidenziare come tutto sia meglio fuori e quanto tutto faccia schifo qui, e devo dire che non mi piace molto questa visione delle cose. Suonare questo tipo di musica è una sbatta incredibile, ti porta via un sacco di tempo e dà pochissime riconoscenze dal punto di vista materiale. Però sia qui che fuori di qui suonare dà la possibilità di conoscere realtà in grado di farti crescere, riflettere e progredire. Se ancora possiamo parlare di “cultura punk”, la intenderei esattamente come questo: la possibilità di autocostruirsi una via alternativa, opzione fortunatamente riscontrabile sia qui che fuori.

Domanda di rito, considerando la musica che avete macinato in sede live fin dai vostri esordi: consigliateci un po’ di ascolti e di band che, a vostro parere, necessitano un approfondimento.

Di band con cui abbiamo condiviso belle esperienze negli ultimi anni ce ne sono davvero tante, impossibile nominarle tutte, ma sicuramente alcune di quelle che più ci sono piaciute dal vivo sono queste: Riviera, Hobos, Shizune, Selva, Ruggine, Raein, Infall, Messa, Joliette, Jungbluth, Birds In Row, Niboowin, Suis La Lune, Youth Avoiders, Potence, Helpless, Masada, Necrodancer, Bas Rotten. Ci sono poi alcuni gruppi che non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscere di persona ma che speriamo di poter aver modo di incontrare presto: Gillian Carter (coi quali avevamo in programma un tour in Nord America a maggio, posticipato però a causa della pandemia), Infant Island, Senza, Meth., Carrion Spring, Ysidro, Drei Affen, Frail Body, Gold, Kid.Feral, Daggers.

Ph. Francesco Boz

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