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Idles – Ultra Mono

2020 - Partisan
punk rock / post punk

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Tracklist

1. War
2. Grounds
3. Mr. Motivator
4. Anxiety
5. Kill Them with Kindness
6. Model Village
7. Ne Touche Pas Moi
8. Carcinogenic
9. Reigns
10. The Lover
11. A Hymn
12. Danke


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Quanti singoli avete già sentito di quest’album? Lo so, troppi, tant’è che hanno dovuto fermare l’uscita di ulteriori pezzi dopo la vorticosa Model Village altrimenti lo avremmo praticamente ascoltato tutto poiché, tra i quattro singoli già usciti, i pezzi proposti negli ultimi live a dicembre e i recenti livestream da Abbey Road, non ci rimane molto se non quattro o cinque pezzi vergini, quindi, se quello che avete sentito vi piace, bene, se invece siete tra quelli che hanno storto un po’ il naso lasciate che vi dica: i singoli funzionano molto meglio e hanno tutta un’altra potenza nella struttura complessiva di “Ultra Mono”. 

Perché “Ultra Mono” è un album che trasporta l’ascoltatore in una marcia per la giustizia da compiere dentro noi stessi, quella del perdonare e perdonarci per essere umani e di accettare di avere limiti e di usare le energie per amare il prossimo, evitando di sprecarle cercando di inseguire l’impossibile. È una marcia con il sorriso stampato e il martello pneumatico in mano, verso le ingiustizie sociali (Kill Them With Kindness, Anxiety), il divario economico(la bellissima Reigns), dunque c’è, come sempre, un filo conduttore a guidare l’ascoltatore e questa volta è l’auto-accettazione e la forza che ogni singolo individuo può avere per cambiare le cose o, per lo meno, per non impazzire.

Costruito meglio del predecessore, più duro, più oscuro, più diretto e senza quegli (magari forse un po’ troppi) slogan aperti al sing-along plateale, per non parlare degli spellings e, dato che qualcuno aveva fatto il parallelo di “Joy As An Act Of Resistance” come il loro “Nevermind”, io avevo predetto nella recensione, appunto, di “Joy…” , che l’album successivo sarebbe stato il loro “London Calling”, credo umilmente di averci azzeccato in pieno ma per dirlo veramente bisognerà aspettare l’album successivo, o forse no?

Le chitarre di Bowen e Kiernan urlano come allarmi in War mentre la voce di Talbot prende strade nuove, grida e si dimena esplorando nuove zone di sensibilità, riuscendo in modo geniale anche a citare il “Canto di Natale”  di Carroll con quel “Fee fee fy fy fo fo fum – I smell the blood of a million sons” e la macchina ritmica di Jon Beavis e Adam “Dev” Devonshire parte per il viaggio inarrestabile di “Ultra Mono”. Fatto in granito, sferzato da spadate soniche e un messaggio di amore, come sempre, e di autocritica, di accettarsi per quello che si è e fare del nostro meglio rimanendo uniti.

War vanta uno tra i testi più belli mai scritti da Talbot, pieno di strofe onomatopeiche come se l’avesse scritto al risveglio dopo una notte a leggere un misto di Artaud e una raccolta di poeti della Beat Generation, e urla con tutta la sua forza “This means war!!! Anti-War!!!”, una forza pacifista grande tanto quanto quella guerrafondaia, War è combattere il muro dell’odio con un muro di amore e gentilezza e la potenza delle chitarre è il veicolo, così come la distorsione e la grandezza del basso roccioso di Dev è finalizzata a spaventare, perché l’odio va spaventato e deve scappare con la coda tra le gambe, dev’essere annientato con i colpi di rullante di un indefesso Jon Beavis, War è assolutamente il punto più alto toccato dai ragazzi di Bristol, una canzone simbolica, destinata a diventare simbolo.

Warren “Bad Semenza” Ellis entra in scivolata con un violino impazzito e distorto al termine di Grounds, forse il pezzo più tenace, dall’anima vagamente hip hop, sì ma che suoni! Torniamo nei terreni più battuti in passato con Mr. Motivator in cui un coinvolgente rock n roll sporco quanto basta ci sprona alla fiducia in noi stessi con un urlo stile mantra in crescendo “You’re Joe Cal-fucking-zaghe”. Seppur registrata prima del lockdown, Anxiety funziona alla perfezione per questo duemila-fucking-venti, La Savages Jehnny Beth entra in Ne Touche Pas Moi con tutto il suo mordente post-Ari Up (però adesso chi glie lo spiega il francese)? Una degna chiusura perfetta per i live è Danke, con un sentito omaggio a Daniel Johnston che mi ha trafitto la valvola mitralica, non potevano chiudere meglio.

Joe spara a bruciapelo in The Lover sui denigratori che sono spuntati come funghetti nell’umido in questi ultimi due anni perché, finché gli IDLES erano identificati con “Brutalism”, tutto ok, infatti c’era questa specie di malinteso per cui gli IDLES dovevano (e sottolineo dovevano) appartenere alla working class, poi hanno iniziato a rilasciare interviste e a parlare di sé, rivelando la loro appartenenza alla middle class ad eccezione di Kiernan, mi sembra, perciò gli “haters” tra cui nomi noti come gli Sleaford Mods non hanno atteso a farsi sentire tentando invano di screditare i ragazzi. All’epoca ero ancora abbastanza in contatto con Joe dato che ci eravamo appena conosciuti a Milano per l’intervista e, dato che so trattarsi di una persona estremamente sensibile, io, anche se non ce n’è bisogno, mi preoccupo per lui, per cui gli mando un messaggio di conforto. Gli scrissi che se stava facendo incazzare qualcuno, voleva dire che stava facendo la cosa giusta. Lui mi rispose con un semplice “It’s ok, thank you brother Xx”.

Oggi Joe non risponde più ai messaggi, non interviene più sul suo Fan Club (a scanso di comunicazioni ufficiali) ed è molto più difficile raggiungerlo, ma lo capisco: Joe non è che sia diverso da due anni fa, non sta facendo ls star anzi, è uno dei personaggi più timidi e umili che abbia mai incontrato, tiene il palco come nessun altro ma giù è esattamente come me e te che stai leggendo, solo che è l’unico artista al mondo che sta diventando famoso dal nulla e, comprensibilmente, si tiene lontano dai social e dalle conoscenze superficiali (incluso il sottoscritto) per tenere a bada la sua salute mentale. Ora, io parlo liberamente perché Talbot e gli IDLES rendono possibile questa scrittura in quanto sono l’unica band che rischia di diventare grande con le sole proprie forze, cosa che non accade più da decenni. Gli IDLES sono una band quindi in completa controtendenza culturale, sono ciò che non succede più. E così, gli IDLES sono cinque ragazzi buttati nel mondo delle rock band di successo, senza che nessun produttore o magnate dell’industria gli abbia dettato cosa fare, (non si spiega l’esistenza di Black Keys o The National altrimenti), raggiungono un grande pubblico senza l’ombra di una canzone pop, senza compromessi di alcun genere. Solo loro, con il loro messaggio e il sound corroborante, con alle spalle il più bel supporto di gente mai visto prima. Credetemi, oggi esce “Ultra Mono” e vedrete che svetterà in classifica ma, come successe per “Joy As An Act Of Resistance”, l’industria gli metterà davanti l’Eminem di turno a meno che, questa volta, non si accorga di una elemento fondamentale: i numeri. “Do you hear that thunder? That’s the sound of strength in numbers”.

Ora chiarisco: pensate che una come Taylor Swift non fosse minacciata dalla possibile posizione n°1 dei Fontaines DC? Ma che fastidio avrebbero dato i Fontaines se fossero stati una settimana al n°1? Beh, qui la macchia dell’oscurità discografica si allarga in modo tentacolare ai promotori e booker dei festival estivi.

Se Lady Gaga dev’essere prima perché l’ha scelto lo star system, che è la classe dominante in questo ambito, ebbene Lady Gaga sarà la prima. Ma se, per caso, lo star system si fosse dimenticato qualcosa? Non è che ci può essere una crepa, uno strappettino nel pesante manto che avvolge la musica leggera? Se c’è, si chiama “AFGang” e gli IDLES sono passati da lì e grazie a questo straordinario fan club sono riusciti a mutare, a piegare, a plasmare l’andamento canonico delle cose.

Quindi stiamo a vedere cosa succederà con “Ultra Mono” che è, per tutti questi motivi, l’album dell’anno.

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