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Autechre – SIGN

2020 - Warp
ambient / elettronica

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Tracklist

1. M4 Lema
2. F7
3. si
4. esc desc
5. au14
6. Metaz form8
7. sch.mefd 2
8. gr4
9. th red a
10. psin AM
11. r cazt


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Autodefinitisi più programmatori di software che musicisti, Sean Booth e Rob Brown aleggiano sulle sterminate possibilità del silicio applicato alla (s)composizione da più di trent’anni. Un’inezia per la Storia con la S maiuscola, svariate ere per gli odierni ritmi di obsolescenza tecnologica. Lo status di entità fantasmatica è stato cementato, oltre che dalla scarsa propensione ad interviste e apparizioni pubbliche, da un progressivo allontanamento dalle forme e dai linguaggi della musica suonata, sconfinando spesso e volentieri nel rumore bianco.

Nel frattempo, “elettronica” è diventata un denominazione talmente diffusa e generica da perdere quasi qualunque valenza orientativa, ha fagocitato e portato alla ribalta orde di nomi e mode, ha riempito festival milionari e confinato produttori all’interno delle proprie abitazioni. Apparentemente impermeabile a tutto ciò, la ricercata inafferrabilità concettuale della coppia, a lungo andare ha dovuto scontrarsi con una scomoda verità: i limiti oggettivi delle macchine in uso fino a venti/venticinque anni fa, obbligavano gli artisti ad essere più creativi per poter spiccare nella moltitudine. Nel 2020 tutto è alla portata di tutti, e non c’è veramente più nulla di intrigante in due inglesi di mezza età che mandano in tilt gli algoritmi di outboard e plug-in.

La stanchezza è palpabile sin dai primissimi istanti di M4 Lema, e già la battutine su automobili lasciate fuori al freddo che poi la mattina non partono, si sprecano. L’abbozzo di traccia che va via via emergendo, non sembra davvero volere andare da nessuna parte. F7 è disturbante nel senso più deteriore del termine, synth perforanti lasciati a friggerci i timpani, lo stesso si potrebbe dire di gr4. Metaz form8 ed esc desc  sono quasi odiose nella loro evanescenza, laddove capiti d’imbattersi in segnali di vita sotto forma di pattern ritmici (au14, si00), tutto viene gettato alle ortiche in una sterile reiterazione di stilemi a dir poco datati.

Non basta un come sempre mirabile lavoro d’ingegneria, per affrancare l’ascoltatore dalla spiacevole sensazione di non avere sentito nulla. “SIGN” non suona, non intrattiene, non induce alla contemplazione, non stimola. Per chi a suo modo e tempo è stato un innovatore, un disco noioso è forse peggio di uno brutto.

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