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Back In Time

“Electric Ladyland”, la voce di una generazione in fiamme

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Le fiamme che bruciavano la Fender sul palco del Monterey Pop Festival il 18 giugno 1967 erano parte dello stesso fuoco che stava infiammando il sogno di un’intera generazione: Jimi Hendrix era il Gran Cerimoniere di quel rito collettivo che celebrava l’apogeo della Summer Of Love e la nascita della nuova Chiesa Elettrica, e quando scese dal quel palco gran parte del mondo aveva già deciso quale sarebbe stata la colonna sonora della futura rivoluzione psichedelica.

Monterey capitò in mezzo ai primi due dischi di Hendrix : il primo, l’incredibile “Are You Experienced?“, aveva rivelato al mondo una voce che sembrava arrivare da un misterioso sortilegio e una chitarra che benediceva con l’acido l’amplesso fra rock e blues. “Axis Bold As Love“, di qualche mese più tardi, ribadiva la natura innovativa dell’approccio alla materia, ma era più centrato sulla scrittura e su meravigliose ballate di soul elettrico.

In quei giorni tutto doveva sembrare possibile a quella generazione, nell’arte come nella vita, e ad Hendrix parve di poterla guidare col suono di una chitarra che stava sfidando il futuro. “Electric Ladyland“, terzo ed ultimo album in studio (peraltro doppio), fu il suo lavoro più incendiario e sperimentale, pervaso com’era da una magia che sembrò a tutti soprannaturale. I 15 minuti sospesi tra demonio e santità di Voodoo Chile indicavano la via: il blues non era mai stato così minaccioso, nessuno ne aveva mai esplorato il lato free in quella maniera, nessuno ne aveva mai dilatato  le frontiere fino a quel punto.

L’album uscì il 16 ottobre del 1968 con una copertina che in Gran Bretagna venne subito bannata: c’erano 19 donne nude, alcune delle quali tenevano in mano una foto di Hendrix, un espediente pubblicitario del quale non era a conoscenza nemmeno lo stesso artista, e si finì con l’optare per un più morigerato ed anonimo scatto in giallo e rosso del volto di Hendrix. Le sessions dell’album rimasero famose per il carattere da open house che Hendrix diede allo studio di registrazione: chiunque passava poteva lasciare un contributo, e Brian Jones degli Stones provò qualcosa al piano ma era troppo ubriaco e la spaventosa cover della dylaniana All Along The Watchtower venne completata senza il suo aiuto. Era una versione apocalittica, il sottofondo di un’eventuale Giorno del Giudizio, con Hendrix che ne eccentuava la drammaticità ad ogni assolo.

La maniacalità del musicista alla ricerca della take perfetta trovava in Gypsy Eyes la sua esasperazione, e si narra di una cinquantina di sedute spese per la versione definitiva. La cosa creava problemi soprattutto con lo storico produttore Chris Chandler, che diede gli otto giorni e salutò una truppa che ogni giorno s’arricchiva: da Steve Winwood ad Al Kooper, da Dave Mason a Jack Casady dei Jefferson Airplane. Hendrix si occupò allora personalmente della produzione, ed ebbe finalmente modo di riversare la propria vulcanica creatività nella sperimentazione di qualsiasi effetto che la chitarra (e non solo) poteva promettergli. Crosstown Traffic era un pezzo potente e selvaggio che riproduceva il rumore angosciante di una metropoli sommando chitarre su chitarre e utilizzando il kazoo, uno strumento composto da un pettine e un foglio di carta.

Il wah wah faceva esplodere Voodoo Child (Slight Return), sulla fine della funky House Burning Down le chitarre replicavano il suono di un palazzo che crollava, un clavicembalo apriva la strada per Burning Of The Midnight Lamp, Have You Ever Been e Rainy Day Dream Away erano dolci caramelle soul, e 1983 era una psichedelica odissea nello spazio.

Tutto, in “Electric Ladyland“, bruciava di passione e talento, era l’avanguardia lisergica dell’hard rock, era il blues drogato di feedback, era il rock’n’roll che camminava tra le fiamme. Prima di finire stritolato dai meccanismi perversi del music business, Jimi Hendrix trovò la definitiva glorificazione nell’ultimo dei tre giorni di pace, amore e libertà di Woodstock, quando trasformò l’inno americano nel grido di dolore e denuncia di una generazione. Qualche mese dopo, la mattina del 18 settembre 1970, James Marshall Hendrix venne trovato morto nell’appartamento che aveva affittato al Samarkand Hotel di Londra.

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