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Wiese – Wie Zweige

2020 - Autoproduzione
post-rock

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Tracklist

1. Atlas
2. Thethë

 


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Due brani per un totale di trentacinque minuti, duemilacento secondi necessari per accomodarsi sul cassone scoperto di un veicolo militare, attraversare le propaggini desolate di un parco nazionale circondato da una giallastra vegetazione autunnale, arrivare in un baraccamento sudicio e ritrovarsi in piena zona di guerra. Senza che nessuno abbia il coraggio di dire una parola, ti ritrovi con l’inquieto sibilo dei bombardieri sulla testa. E solo ora ti rendi conto di aver barattato la tranquillità dei pomeriggi passati nel giardino di casa, con la vita reale, fatta di feroci tragedie e solitudine.

Wie Zweige” è la colonna sonora di questa solitudine, di una guerra di posizione contro un nemico invisibile. È il monotono scandire del tempo passato in tunnel scavati nel fango, il lamento disperato che accompagna menomazioni irreversibili, l’acuto dolore di un’immanente sofferenza fisica e psicologica e la speranza di un’agognata liberazione. Senza che nessuno ne abbia la certezza. “Wie Zweige” è lo spirito della solitudine della nostra epoca trasformato in musica. L’immagine che si forma nella mia testa e davanti ai miei occhi mentre lo ascolto è un patchwork di altre immagini, impilate su immagini, poggiate su diverse immagini ancora. Fotografie sovrapposte di cieli in montagna. Di boschi ed erba gialla. Di aerei in picchiata, di sibili di bombe e di una solitudine tanto profonda da sembrare irreale. Rarefatte istantanee di gite ormai distanti nel tempo, di lettere ingiallite vergate da una scrittura incerta che occupa tutto lo spazio disponibile, di vecchie cartoline postali dagli angoli consumati.

Uno stato d’animo triste e oscillante tra due estremi: benvenuti tra i picchi e i declivi nei quali i berlinesi/lipizotti WieseTill Dahlmüller (chitarra), Dario M. Meyer (chitarra, Fender Rhodes, Hammond, David Frank (basso), Rubén Gros-Torrente (batteria e percussioni) – cercano ansiosamente di trovare il proprio karma. Argentine campanelle ci precipitano verso oscuri crepacci nella terra, basso e batteria reclamano il proprio spazio e importanza, fino a quando una robusta chitarra elettrica prende posizione, spostando tutto il resto in secondo piano, in una quinta ininfluente. L’angoscia dello scenario dipinto mi fa venire alla mente le lettere spedite dal fronte dai militari della prima guerra mondiale. Testi a fatica controllati, di persone che hanno fronteggiato l’angoscia faccia a faccia, all’improvviso e del tutto impreparati a quello che si sarebbero trovati davanti. Questi uomini, come avrebbero commentato se avessero avuto la possibilità di ascoltare questa musica? L’avrebbero trovata consona alla loro situazione?

“Cari amici, stanotte è stata la prima che ho passato in trincea. Sono destinato alla settima compagnia, al 4° plotone incursori, quello col più alto numero di perdite. L’angoscia mi attanaglia e un groppo alla gola mi accompagna durante tutta la giornata. Di notte, davanti al nemico e mentre infuria la tormenta, non ho freddo, ma voi scrivetemi, perché desidero di leggere molto e, diversamente, l’unico mio altro conforto è la musica. Sospeso tra il terrore e la voglia di mettere sotto e cacciare una volta per tutte i nemici dalle nostre terre, ascolto musica per calmare i nervi tesi e al contempo per rimanere all’erta.

Quella che preferisco è “Wie Zweige”, dei Wiese, un’opera suddivisa in due brani, Atlas e Thethë, che descrive alla perfezione i miei sentimenti e quelli dei miei commilitoni. Questa musica catalizza le nostre paure e angosce, facendo prendere loro la forma di un essere sonoro mostruoso, di certo fuggito da un inferno metallurgico. “Wie Zweige” plasma le nostre paure, è l’abisso che combatte l’abisso, aiutandoci in un processo di liberazione dalla follia verso l’equilibrio mentale, fondamentale per la nostra salute psichica e per mantenere la capacità di combattimento. Se volete farvi un’idea di quello che questa sporca guerra è, delle pene che passiamo, di come ci scuote l’anima il vento bellico, dovete ascoltarlo. Col cuore e con lo stomaco. E vi prego, scrivetemi.”.

Queste avrebbero potuto essere le parole di un fante della prima guerra mondiale, confinato in una trincea sul fronte nord occidentale, là dove la follia è una reazione al senso di oppressione e la musica uno degli strumenti di liberazione o quantomeno di normalizzazione (così come lo è per noi). Fotografie e immagini di una guerra collettiva, diventata tragedia personale. Detto questo, il problema è che le fotografie di “Wie Zweige” raccontano di una guerra destinata a diventare sconfitta e per quanto sia difficile valutare un disco composto da due sole tracce, la sensazione che lascia è che sia poco equilibrato. Benché sia un topos del genere, la mancanza di testi e voce affligge il disco in modo marcato, i richiami agli alfieri del post-rock (Mogwai in testa) non sono sufficienti a elevarlo a un livello di eccellenza (necessità) e la musica, per quanto ben riuscita, suonata e composta, non riesce mai a superare la barriera del già sentito, emozionando l’ascoltatore evoluto. È un disco monocorde, ma non minimalista, angosciante, senza essere definitivo, che tende alla noia. Oppure potrebbero essere le prove di una band che ancora cerca la propria forma definitiva, e che per farlo indaga le mille possibilità che ha a disposizione.

Wie Zweige” viene distribuito in digitale e poster tramite un codice per lo scaricamento. La grafica, realizzata con un’acquatinta, è opera di Geneviève de Larminat. Una piccola nota: il gruppo fa notare come con l’acquisto del poster, non solo abbellirete le vostre cucine e camere da letto, ma supporterete i Wiese nella realizzazione di altri dischi secondo il principio del DIY. Fate il vostro gioco.

P.S. Fate una prova: andate al link del documentario Scemi di guerra e mentre scorrono le immagini, sovrapponete “Wie Zweige” dei Wiese. Non sembra anche a voi composta ad hoc?

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