Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Pain Of Salvation – PANTHER

2020 - Inside Out
progressive metal / avantgarde

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. ACCELERATOR
2. UNFUTURE
3. RESTLESS BOY
4. WAIT
5. KEEN TO A FAULT
6. FUR
7. PANTHER
8. SPECIES
9. ICON


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Ammetto di aver un po’ perso di vista Daniel Gildenlöw e compagni dopo l’uscita di “BE” forse spiazzato da un lavoro che era ben diverso dal capolavoro “Remedy Lane“, ma grazie al ritorno di “In The Passing Light Of Day” del 2017 ho avuto l’opportunità di riprendere parte della discografica che avevo lasciato per strada. A distanza di tre anni i Pain Of Salvation tornano e lo fanno con un disco che spiazza e confonde, per qualità, sperimentazione e libertà artistica.

Affiancato da una formazione stellare, formata da Johan Hallgren alle chitarre (che ritorna su disco dopo quasi 10 anni), e l’ex Meshuggah Gustav Hielm al basso, Daniel dà forma ad un concept sull’essere diversi in un mondo popolato da gente che si ritiene normale. Apparentemente banale ma tremendamente attuale.

Siamo di fronte ad un disco musicalmente complicato, pieno di influenze diverse e spesso diametrali che riescono però a coesistere perfettamente nell’universo concettuale di “PANTHER” (i cui titoli sono volutamente scritti in caratteri maiuscoli) grazie ad una ispirazione ed una efficacia che spesso ricorda a quella dei Radiohead del post “Kid-A“.

É il gruppo inglese infatti il termine di paragone più vicino ai Pain Of Salvation anno 2020, grazie ad un approccio che amalgama il rock alla musica elettronica in parti uguali anche in fase di produzione, dove pesanti arrangiamenti elettronici si abbracciano a batterie che non hanno mai suonato così naturali. Sentite UNFUTURE dove chitarre in slide, pesantezze quasi Meshuggah ed elettronica alla Nine Inch Nails collidono in un brano che fa strappare i capelli per la sua bellezza.

La claustrofobia ritmica di ACCELERATOR e la complessità di un brano come RESTLESS BOY sembrano voler riecheggiare il progressive metal di inizio carriera (seppur in veste moderna), ma è la pseudo ballad WAIT uno dei momenti migliori di “PANTHER” coi suoi sette minuti di tempi dispari ed arrangiamenti elettronici spiazzanti che valorizzano una delicatezza melodica rara.

KEEN TO AN FAULT ci riporta alla mente le atmosfere di “Remedy Lane“, mentre l’interludio FUR anticipa il momento in assoluto più spiazzante del disco, la title track. Sorta di brano dai toni elettro-industrial quasi interamente rappato, PANTHER si evolve, nella seconda parte attorno al delicato ritornello grazie ad un arrangiamento magistrale.

SPECIES si muove tra i Rush, gli Who e atmosfere quasi grunge mentre i tredici minuti di ICON chiudono il disco con un lungo viaggio fatto di tensioni elettroniche “radioheadiane”, claustrofobia metropolitana alternati a momenti quasi Opeth e un solo gilmouriano.

A volte difficile, spesso disorientante, “PANTHER si candida come una delle sorprese più belle di questo 2020 e ci ricorda ancora una volta quanto i Pain Of Salvation siano una band innovativa, ispiratissima e unica nel suo genere.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni