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Nothing – The Great Dismal

2020 - Relapse Records
shoegaze

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Tracklist

1. A Fabricated Life
2. Say Less
3. April Ha Ha
4. Catch a Fade
5. Famine Asylum
6. Bernie Sanders
7. In Blueberry
8. Memories
9. Blue Mecca
10. Just a Story
11. Ask The Rust


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Sono già passati dieci anni da quando i Nothing videro la luce e “solo” sei da che “Guilty Of Everything” li consacrò come campioni di una scena divenuta evanescente, ma non come avrebbe voluto, assieme ai Blis. forse gli unici a tenerne alto il vessillo fantasma.

Lo shoegaze del quartetto di Philly non ha subìto, in tutti questi anni, sostanziali trasformazioni, ma ha viaggiato su fasi alterne non sempre memorabili né tantomeno all’altezza del debutto sulla lunga distanza, sembrando quasi trattenersi dal rilasciare un potenziale che sapevano avere. Tutto questo fino ad oggi, perché “The Great Dismal” racchiude in sé tutti i punti di forza disseminati nei precedenti tre album, concentrandoli in una lunga tirata di oscurità che si espone ad un mondo dimentico di qualsivoglia stralcio di umanità senza timore delle ferite che questo può procurare.

Abbandonati i suoni novantiani Domenic Palermo e soci ne selezionano accuratamente di nuovi, più potenti e brillanti, capaci di far ascendere l’abisso di cui parlano i brani sopra le nuvole, oltre la tempesta. La prigione, ora, non è quella in cui si è ritrovato a scontare due anni di pena, ma il mondo, addirittura la sua città e i mostri che la abitano, le abitudini che la piagano, in cui sopravvivere è talento innato di chi non vuole annegare nella palude o finire i suoi giorni in trappola, la chiave buttata in un tombino.

A ondate travolgenti qui si accompagna una quiete carica di spettri, le chitarre sono ancora una volta e più di sempre incendiarie e pesano come un macigno sul petto ma, finalmente, viaggiano di pari passo con una sezione ritmica robusta e spessa come una coltre maligna d’acciaio nero. Le violente incursioni che rendono il cuore duro come il cemento di Just A Story, le rasoiate di aggro-melancolia che permeano pachidermi elettrici come Ask The Rust (un redivivo John Fante che rovista in una discarica di corpi metallici privi del soffio vitale) e April Ha Ha, dall’incedere plumbeo e ottundente.

Mai dimentichi della lezione datata ’90 ci sono Say Less e Famine Asylum che si muovono snelle tra i vari gironi infernali post-hardcore e alt-rock di classe superiore, nell’intreccio mistico tra voce (Domenic è qui mai così toccante e lunare) e sei corde che scintillano nel buio. Climax di amarezza si registrano tra i movimenti sotterranei di Blue Mecca e la cameristica A Fabricated Life, pizzicando corde possibilmente ancor più tenebrose.

Liminali e sofferte le vicende umane narrate dei Nothing tornano a rilucere, nell’anno dell’Apocalisse e a me pare più che adeguato.

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