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Interviste

Quando la ricerca della solitudine suona heavy: i Nitritono e il loro viaggio verso l’eremo

Lontani dalle luci della città, molto più a loro agio con i colori della natura, quella natura che è sì fonte di ispirazione sonora, quanto luogo “altro” con il quale entrare in totale sintonia, i cuneesi Nitritono raggiungono il loro “Eremo” sia discografico che personale. Un locus al duo ben noto, fatto di passeggiate in solitaria, cammini affrontati come sfide ma anche come liberazione e apertura totale al proprio Io, un Io che fa della sperimentazione e di una certa aggressività sonica il suo marchio di fabbrica.

A sette anni dalla prima release, i Nitritono tornano con un lavoro da approcciare a tuttotondo, senza limitarsi al contesto-musica, ma cercando di portare lo sludge/noise dei Nostri all’esterno, verso panorami extra-musicali. Sei tracce che smuovono l’ascoltatore da dentro, colpendo duro in quei punti che fanno traballare le certezze e che riportano le sonorità heavy al centro di un progetto che non fa prigionieri.

Con un brano in collaborazione con lo sperimentatore visuale e sonoro Petrolio, e una cordata di etichette che hanno scelto di incamminarsi verso l’eremo insieme alla band, questo nuovo lavoro di studio dei Nitritono apre un capitolo inedito, un capitolo che ha il sapore di un viaggio all’interno di un libro che il duo non ha intenzione di smettere di scrivere.   

Di seguito vi presentiamo “Eremo”, il nuovo album dei Nitritono, in uscita oggi per I Dischi Del Minollo, Shove Records, Vollmer Industries, Brigante Records & Productions, Longrail Records.  

I Dischi del Minollo · NITRITONO – Eremo

Abbiamo inoltre colto l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con la band. Trovate la nostra intervista di seguito:

Prima di addentrarci tra i meandri del vostro nuovo lavoro di studio, descriveteci gli ultimi anni del progetto Nitritono. Da “Panta Rei”, vostra seconda release, sono passati due anni e mezzo: come avete portato avanti il lavoro di sala prove, concezione dei brani e, di fatto, l’attesa per quello che è il presente dei Nitritono?

Sono stati due anni e mezzo molto densi e per nulla facili, a dire la verità. “Eremo” è nato da un processo abbastanza lungo e discontinuo. I primi pezzi sono stati concepiti nella sala prova che avevamo in condivisione con i Ruggine, dove purtroppo abbiamo subìto due furti a distanza di un anno l’uno dall’altro. Successivamente, abbiamo avuto una fase di stallo in cui abbiamo provato in una sala prove comunale (ringraziamo tantissimo gli amici che la gestiscono per averci lasciato portare parte della nostra strumentazione, così da poter continuare a lavorare sul nostro suono); infine siamo approdati nell’attuale spazio che condividiamo con i Dogs For Breakfast, dove abbiamo definito la tracklist e studiato a fondo i dettagli dei pezzi. Sembra banale, ma questo crediamo abbia influito nella scrittura dei brani. In fondo la “saletta”, per noi musicisti, è un po’ una seconda casa, quel posto quasi mistico dove si respira una sorta di energia. Cambiarne ben tre per portare a termine la tracklist ci ha fatto sentire un po’ ‘vagabondi’, nel bene e nel male. Tutto questo ci ha fatto capire che far musica, creare e sperimentare rappresentano una sorta di eremo emotivo, da qua il collegamento con la nostra altra grande passione comune: camminare in solitudine negli spazi naturali. La concezione dei brani è rimasta la stessa sin dall’inizio: iniziamo le prove improvvisando liberamente: le idee che ci convincono di più le mettiamo da parte e iniziamo a dargli una struttura e a curare i dettagli. Abbiamo provato con “Panta Rei” a scrivere un paio di idee “a tavolino”, ma a posteriori il risultato lo troviamo poco convincente.

Per chi non fosse a conoscenza del vostro sound e del Nitritono-pensiero, come parlereste, da entità esterne, di ciò che è, e trasmette, il duo? Quali sono le vostre band di ispirazione e quali altre forme d’arte hanno guidato e dato forma al vostro lavoro fin’ora?

Il duo è nato in seno a “Carboniferous” degli Zu, un disco che per entrambi rappresenta un punto di svolta importantissimo per la nostra formazione musicale. L’idea primordiale – che portiamo avanti tutt’ora – era quella di creare un progetto che avesse un forte impatto di masse di suono in movimento, a tratti saturando a tratti svuotando, cercando di utilizzare un linguaggio il più possibile personale (per carità, nessuno inventa niente eh). Quando andiamo a vedere un concerto, tendenzialmente preferiamo band che ci colpiscono nello stomaco. Quindi speriamo sempre di colpire esattamente in quel punto. A livello di band di ispirazione citiamo sicuramente sempre gli Zu, seguiti da Melvins, Sumac, Oranssi Pazuzu, Om, Swans. Insomma, tutto un determinato sound psichedelico e potente.

Artwork: Cristina Saimandi

“Eremo” segna il vostro ritorno, un ritorno a mio parere molto atteso da tutta una fetta di ascoltatori che cercano nella sperimentazione e nella ricercatezza sonora un qualcosa di “altro” e ulteriore da portare a casa. Gli aspetti “esterni”, come artwork e nome dell’album, come potrebbero essere descritti? Cosa si cela dietro questi dettagli e quanto, a vostro parere, possono ancora essere determinanti caratteristiche di questo tipo per la creazione di una relazione con l’ascoltatore?

Per l’artwork ci siamo affidati sempre a Cristina Saimandi (che è la madre di Sir, chitarrista), già autrice delle copertine del demo e di “Panta Rei”. In questo caso però, più che una collaborazione (in senso classico del termine) si tratta piuttosto di un percorso in comune che abbiamo fatto in momenti diversi. Cristina ha curato un progetto di LandArt presso la Certosa di Pesio (CN), partecipando anche attivamente alla creazione di un’opera d’arte da inserire nel percorso naturalistico del Parco del Marguareis (essendo un’opea permanente, chi vuole può andare a vederla durante la bella stagione). Quando abbiamo preso la decisione di intitolare il nostro disco “Eremo”, il collegamento è stato istantaneo: cosa avremmo potuto chiedere di meglio se non un’opera d’arte posta su un eremo? Il titolo del disco deriva dalla nostra passione di camminare in solitaria, del piacere che proviamo a stare per un po’ di tempo lontani da tutto e da tutti per ritrovare, invece, silenzio e pace. I titoli dei brani sono tutti posti dove siamo stati (alcuni sulle montagne della provincia di Cuneo, altri sul cammino di Santiago de Compostela) e che ci hanno lasciato un segno, un’emozione o una sensazione dentro. La relazione con l’ascoltatore crediamo si basi principalmente sulla musica e su come poi uno la presenta in sede live. Questi aspetti “esterni”, a nostro avviso, devono essere il più coerenti possibile con l’aspetto sonoro, così da poter fungere da rinforzo e non da elemento di distrazione.

Sei tracce e titoli evocativi, che necessitano di una descrizione, in quanto sicuramente ricchi di significati che potrebbero incuriosire ancora di più i nostri lettori. Inoltre, come è nato l’abbinamento titolo-traccia – domanda che tra l’altro potremmo ampliare a tutte le vostre uscite -? Quali aggettivi, sensazioni o semplici sostantivi abbinereste alla vostra musica, e ai brani di “Eremo” in particolare?

Facciamo un breve excursus sui titoli, ci splittiamo così ognuno descrive i “propri” luoghi. I titoli li inseriamo sempre a posteriori: quando un brano raggiunge una sua forma lasciamo che le sensazioni da esse scaturite ci suggeriscano il titolo.

Re di Pietra (Sir, chitarra): Il re di pietra è il Monviso, un macigno imponente di pietra di oltre 3800 metri (il più alto in provincia di Cuneo). Chiunque abbia avuto modo di avvicinarsi, o meglio ancora di arrivare sulla cima, si è reso immediatamente conto della maestosità della montagna. Salire sulla vetta è stata una delle esperienze più intense della mia vita.

Samos (Luca, batteria): I nomi che ho scelto rappresentano alcune delle tappe per me più segnanti del Cammino di Santiago, percorso che si dirama su più vie e più territori. Per arrivare al santuario di Samos bisogna prendere una deviazione, addentrandosi in un bosco che costeggia un lago. Qui vengono eseguiti i canti gregoriani, cercando di riprodurre fedelmente le suggestioni di una volta (solo voce, senza nessun strumento di alcun tipo). Il tutto viene amplificato tramite l’ambiente stesso del santuario. Un’esperienza sonora incredibile.

Passo di Terre Nere (Sir, chitarra): Il Passo di Terre Nere si trova sotto la cima della Tête de l’Homme in Valle Maira; si tratta di un traverso su una parete attrezzato con catene, ma con uno strapiombo di 30 metri sotto i piedi. Nell’attraversare quella lingua di roccia ho pensato seriamente che sarei morto (ora ci scherzo su), precipitando nel vallone sottostante. La cosa che più mi ha colpito di questa esperienza è stato il fatto che non ho avuto una sensazione di paura, ma di accettazione. Ho seriamente pensato che in fondo era un bel modo per andarsene. Non a caso, il testo è preso in prestito dall’ottava puntata de “I segreti di Twin Peaks” della terza stagione.

Hospitales (Luca, batteria): Hospitales è una tappa abbastanza faticosa del già faticoso Cammino Primitivo. Si dirama su quasi 30 km in cui non ci sono assolutamente servizi di alcun tipo (se non alla partenza e all’arrivo). I paesaggi e l’atmosfera di abbandono ti prendono senza pietà. Si chiama Hospitales perché l’unica cosa che trovi di tanto in tanto sono i ruderi dei vecchi ospedali di assistenza ai pellegrini. Davvero una delle tappe più intense di sempre.

Bric Costa Rossa (Sir, chitarra): Il Bric Costa Rossa è una delle due punte della Bisalta, un monte molto particolare che abbraccia la città di Cuneo. La peculiarità di questa montagna è che ha due punte e secondo alcune leggende locali viene anche chiamata “la montagna del diavolo”. A quanto dice una di queste leggende, è stato proprio il diavolo a tagliare la montagna per poter far passare la luce della luna, in modo che illuminasse la strada a un pastore. Il testo dice poco o nulla (sono circa quattro parole, forse tre) che esprimono l’assenza di caos, tipico invece dei centri cittadini.Costa Da Morte (Luca, batteria): È il nome della costa che si trova a nord della Galizia. Questo territorio e questa costa in particolare sono forse il miglior epilogo dopo che si cammina per quasi 1000 km. In generale, il cammino di Santiago ha origini molto antiche (pre-cristiane) e la fine “reale” pare sia proprio su questa costa, in particolare a Finisterre e Muxía. Si chiama Costa Da Morte perché è una delle zone marine più impervie della Terra (durante i secoli, sono numerose le testimonianze di naufragi). Nel disco fisico l’immagine del monolite si trova a Muxía, in memoria dell’incidente in cui una petroliera riversò quintali di petrolio nell’oceano, danneggiando un intero sistema marino e di conseguenza un intero villaggio che viveva di pesca. Abbiamo voluto mettere questo titolo proprio per simboleggiare anche questa collaborazione con Petrolio.

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