Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“La Macarena Su Roma”, il cantautorato ancora oggi rivoluzionario di Iosonouncane

Amazon

Se oggi Iosonouncane non ha più bisogno di presentazioni è soprattutto per merito di “Die“, pubblicato un lustro fa, acclamato dal pubblico ed eletto dalla stampa di settore fra le migliori opere dello scorso decennio.

Die” era un concept album sul pensiero di due amanti: un uomo in mare che ha paura di morire, una donna sulla terraferma che teme di non rivedere più l’uomo. Die era una storia immaginata, un autentico dipinto. Musicalmente, la perfetta sintesi tra elettronica, psichedelia, pop e musica d’autore: per tanti fu un’autentica epifania e quello di Jacopo Incani divenne necessariamente uno dei nomi più caldi di una stagione particolare, unica – e forse irripetibile – per tutta la musica indipendente nostrana.

Fu epifania anche perché, per tanti, “Die rappresentò la prima vera occasione per approcciarsi a un artista che aveva debuttato cinque anni prima con “La Macarena su Roma“, già apprezzato dalla critica, ma ricevuto da un pubblico decisamente più ristretto. È per questo che, a dieci anni dalla sua pubblicazione, “La Macarena su Roma merita di essere (ri)scoperto, compreso e letto anche nell’ottica di un percorso artistico ancora breve in termini meramente numerici (l’uscita del nuovo album è stata rimandata a causa della pandemia e del blocco agli eventi), ma destinato a essere ricordato come uno dei più brillanti di questo periodo storico.

La Macarena su Roma“, sin dalle prime battute, sembra tracciare il profilo di un cantautore in esercizio solipsistico: con un approccio quasi punk, nell’accezione meno musicale del termine, Iosonouncane prende le regole del più classico cantautorato italiano e le mette semplicemente da parte, rinunciando alla forma-canzone e scegliendo di dare un ruolo di primo piano all’elettronica, a loop e a campionamenti che incalzano e crescono d’intensità insieme alla sua voce, mentre la chitarra acustica ricama i passaggi più dolci e melodici. Sul piano meramente musicale, l’artista rincorre questo tipo di soluzioni pressoché per tutta la durata dell’opera, ma gli approdi sono sempre diversi: c’è il caos allucinato di Summer on a spiaggia affollata, c’è tanta psichedelia, sparsa qua e là, ci sono note oniriche (Il sesto stato) e ipnotiche (Il boogie dei piedi, Torino pausa pranzo). Tutti i brani, compresi i due centrali, più brevi (Rifacciamoci la bocca coi cibi buoni di gusto e I superstiti), si caricano di una forza espressiva impressionante, anche grazie alla continua giustapposizione e sovrapposizione di voci che, fra le altre cose, contribuiscono a dare maggiore vigore a una scrittura più che mai ispirata.

Proprio la scrittura diventa il vero trait d’union con la migliore tradizione cantautoriale nostrana, specialmente nella scelta di temi sociali e politici d’attualità, nel 2010 come oggi. I riferimenti più importanti, da questo punto di vista, sono Lucio Dalla e il Fabrizio de Andrè di “Storia di un impiegato“, due nomi certamente enormi, che chi scrive scomoda molto molto raramente, anche per il più ambizioso dei paragoni. Ma in “La Macarena su Roma“, in diversi frangenti, l’accostamento è inevitabile. Basterebbe – forse – questo a suggerire la misura della bellezza delle liriche dell’album, che si fanno realmente strazianti in almeno due brani: Il corpo del reato e Torino pausa pranzo. Dalla morte in un incidente stradale della prima, dal punto di vista di un compagno di viaggio che non intende rassegnarsi alla triste realtà (“alzati, andiamo”, come un mantra), col picco di tensione di “non ci pensi a tua madre?” e “il corpo steso sulla schiena / di un trentenne sull’asfalto / ha già smesso di respirare”, a quella sul lavoro della seconda, racchiusa in un testo violento e dolorosissimo (“il coccodrillo parente stretto delle borsette / è il prezzo da pagare per i prezzi da scontare”). Il tema ritorna in I Superstiti, prepotentemente, nella puzza (di morte) che il narratore sente sul posto di lavoro.

Iosonouncane tocca anche il tema del razzismo dilagante – a proposito di attualità – in Summer on a spiaggia affollata, in cui la folla, appunto, osserva compiaciuta un barcone naufragare, e in Il boogie dei piedi, (“era quello lì (…) / non sapeva una parola d’italiano”), con una nota sarcastica sul desiderio di giustizia privata (“se saprei come fare, te lo giuro, mentre dormi / ti brucerei l’automobile e i bambini stanotte”). Ma in “La Macarena su Roma” c’è anche un prete meridionale che sta celebrando l’estrema unzione per il Mezzogiorno attaccato al respiratore (Grandi magazzini Pianura), c’è un sesto stato che porta con sé un dopoguerra tutto nuovo da addobbare (Il Sesto Stato), c’è la libertà di partecipare a un televoto come unico slancio (La Macarena su Roma), con tanto di citazione, ancora ironica, ai celeberrimi versi di Giorgio Gaber.

La Macarena su Roma è tutto questo e molto altro: la potenza e l’intensità delle liriche, la profondità delle tematiche affrontate, non di rado, con una certa ironia e quel cinismo amaro, tipico dell’idealismo frustrato, insieme all’inevitabile ricerca e cura per il suono, descrivevano già dieci anni fa un autore con le idee chiarissime e con una personalità artistica straripante, come avrebbe poi confermato “Die“.

Seppur diversa, non immediata e a tratti violenta, dieci anni dopo non è ancora tardi per innamorarsi (anche) dell’opera prima di Jacopo Incani, semplicemente uno dei più bei lavori cantautoriali della sua generazione.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati