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John Frusciante – Maya

2020 - Timesig
jungle / drum'n'bass

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Tracklist

1. Brand E
2. Usbrup Pensul
3. Flying
4. Pleasure Explanation
5. Blind Aim
6. Reach Out
7. Amethblowl
8. Zillion
9. Anja Motherless


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Il due volte ex chitarrista dei Red Hot Chili Peppers e attuale chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, nonché folle pezzo di nerd per tutto ciò che concerne i suoni elettronici, ha approfittato di questa forzata lontananza dalla sua attuale band, i Red Hot Chili Peppers, per dedicarsi nuovamente ai suoi avanguardisti progetti di ricerca musicale (pronuncerò il nome Red Hot Chili Peppers solo un’altra volta nel corso di questa recensione, promesso)

La storia di John Frusciante è di quelle davvero da docufilm indipendente che anche il Sundance Film Festival sarebbe troppo mainstream per accettare in concorso. Nato il 5 marzo del 1970 nel quartiere Queens a New York, John Anthony Frusciante Jr non nasce in una famiglia povera. I suoi natali non sono di quelli da ragazzo di strada che facendosi spazio nei bassifondi, logorato dai dolori e dalla voglia di riscatto, matura un talento artistico di quelli talmente luminosi da accecare lo star system. Un padre magistrato (di origine italiane) e una madre cantante, delineano per John una gioventù tutt’altro che bruciata e dannata.

I percorsi perduti inizieranno molto più tardi e saranno orrendi. Terribili. Di quelli da cui solo uno su dieci riesce ad uscirne. Ne è uscito e ne siamo contenti. Le cicatrici sono ancora oggi visibili e certamente sono molte più quelle nascoste, quelle interiori. Uscire da una band all’apice della capacità creativa non è da tutti. John lo ha fatto e forse, nonostante vi abbia poi fatto ritorno, non ne è davvero mai rientrato del tutto.

Blood Sugar Sex Magik” è stato un disco incredibile, iconico, che quei quattro scalmanati californiani non sono stati più in grado di ripetere. Certo il successo è divenuto planetario proprio da “Californication” in poi, esattamente dopo il grande ritorno del nostro John, ma tornando al film che un giorno qualche regista indipendente realizzerà sulla sua vita, ammettiamolo subito, le canzoni della colonna sonora saranno tutte incentrate sul periodo 1989-1992.

La produzione solista di Frusciante è roba che può risultare difficile da districare. Raramente incentrata sul suono della chitarra e a tratti oscura come il lato più oscuro di Syd Barrett. Tralasciando i dischi usciti a nome Ataxia e Trickfinger, il nuovo album di John Frusciante, il quattordicesimo della serie, uscito a 6 anni di distanza dal precedente “Enclosure” del 2014, ha per titolo il nome della gatta che per quattordici lunghi anni gli ha tenuto compagnia e alla quale era molto affezionato.

Maya” è un album che porta avanti il percorso di ricerca onirico-stropicciata-musicale del suo autore. Hardcore, darkcore, drill’n’bass, edm e fottutti e incazzati breakbeat jungle in 4/4. Un disco che ha avuto una gestazione di circa un anno e che è nato dalle sperimentazioni alla drum machine, strumento su cui sono costruite tutte le tracce. Disco interamente strumentale e dalla forte personalità, così come forte continua ad essere la volontà di Frusciante di andare dritto per la propria strada fregandosene di tutto e tutti. Un album che gode di quella libera ricerca musicale figlia di un autore che avendo la possibilità di sperimentare in ogni direzione, senza preoccuparsi troppo delle vendite e del parere di critica e fans, va dritto per la propria strada. Una cosa tutt’altro che scontata e certamente da apprezzare e sottolineare.

Maya” non è superiore ai lavori precedenti, ma dimostra ancora una volta come la carriera di Frusciante, proprio nel momento in cui sembrava aver terminato la propria crescita creativa, superati i problemi di tossicodipendenza, ha intrapreso un percorso di ricerca che lo ha portato ad essere uno dei più stralunati, ma anche interessanti sperimentatori della scena musicale americana. Frank Zappa, Kraftwerk e The Residents sarebbero fieri di questo disco, e non sono certo nomi di poco conto.

John Frusciante non è più interessato ormai da tempo ne al canto (e forse è anche meglio così), né alla scrittura dei testi e questo è chiaro anche in questo nuovo album. Amethblowl, primo singolo estratto dal disco, è un pezzo tecno che strizza l’occhio alla synthwave, ma soprattutto è una chiassosa discesa agli inferi molto in stile Aphex Twin. Più dolce e delicata è invece Brand E, brano di apertura dell’album, in cui la drum machine entra subito prepotente in campo. Dolcezza che lascia presto il campo a quei “fottuti breakbeat” che la voce sintetica presente nella canzone tira in ballo.

Usbrup Pensul sembra ricordare le divagazioni jungle del David Bowie anni 90 di “Earthling”, salvo il finale assolutamente accecante e fracassone. Ancora più metallica e ipnotica la successiva Flying, mentre su Pleasure Explanation il tempo si ferma momentaneamente per trasmigrarci ad un altro bel mix di synthwave, drum’n bass e jungle sulle note scomposte e nuovamente velocizzate della successiva Blind Aim. Nuova apparente calma sopraggiunge con Reach Out, traccia numero 6 di questo ripidissimo slalom tra ampie curve dilatate e velocissimi e angolari cambi di direzione.

Tra i rimbalzi di Zillion, pezzo in stile colonna sonora di un “Tron” in versione acida e allucinata dove questa volta alla fine vincono i cattivi e i suoni ambient, drone e breakbeat di Anja Motherless, arriviamo alla conclusione di questo disco che forse non sarà il migliore della produzione solista di Frusciante, ma che a mio avviso meriterebbe molta più attenzione di quella che alla fine sicuramente avrà.

Mentre i Red Hot Chili Peppers (eccoci qua, io le promesse le mantengo sempre) hanno iniziato ad avere maggiore risonanza mondiale nel preciso momento in cui la loro musica ha cessato di essere così infuocata, la produzione solista di John Frusciante non ha mai raggiunto la popolarità che avrebbe meritato, ma ad oggi, tra le stonature di Anthony Kiedis e le sperimentazioni a tratti stralunate di John, mi schiero decisamente dalla parte del secondo.

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