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Kevin Morby – Sundowner

2020 - Dead Oceans
indie folk

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Tracklist

1. Valley
2. Brother, Sister
3. Sundowner
4. Campfire
5. Wander
6. Don't Underestimate Midwest American Sun
7. A Night At The Little Los Angeles
8. Jamie
9. Velvet Highway
10. Provisions


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Le oscure ed affascinanti atmosfere californiane dipinte in “Singing Saw” (2016), pietra miliare del songwriting contemporaneo a stelle e strisce, candidarono l’ex Babies e Woods Kevin Morby a potenziale sensazione folk degli anni Dieci. Il sequel “City Music” (2017) non deluse certo le aspettative, regalalandoci un delicato compendio di poesia urbana che scomodò un paragone del calibro di Lou Reed. Il successivo “Oh My God” (2019), tanto ripetitivo e confuso quanto eccessivamente autoreferenziale, ci informò tuttavia che qualcosa stava andando storto nella parabola dell’oggi trentaduenne musicista texano. A raddrizzare la traiettoria ci pensa però “Sundowner“, un lavoro delicato e profondo, ispirato stavolta dagli ampi spazi del cosiddetto Midwest, in primis Kansas City.

Si parte con la combo chitarra acustica-Mellotron di Valley, che – anche se da una diversa altitudine – suona un po’ troppo come I Have Been To The Mountain (brano tratto da “Singing Saw“). La successiva Brother, Sister ci ricorda invece le atmosfere cupe e sinistre del suo primissimo brano di successo, Harlem River, ma con un inaspettato twist pseudo-orientale, mentre la title track – oltre ad essere l’unico brano a menzionare il tanto amato “Lord” – ci emoziona delicatamente alla maniera di Leonard Cohen, regalandoci un’eccezionale ode alla vita on the road (“I don’t know where I’m gonna go / I am a wandering soul, through the back of what I know”). A seguire trovimo Campfire, un duetto con la compagna Katie Crutchfield (in arte Waxahatchee, altra figura di spessore nel panorama folk americano) dedicato a talentuose anime scomparse prematuramente (la cantante Jessi Zazu, il cuoco-rockstar Anthony Burdain ed il compositore Richard Swift). Kevin Morby tocca qui tutte le corde giuste, strappandoci una lacrima nel finale con riuscitissimi giochi di parole degni di Bob Dylan ed un irresistibile Mellotron fantasmagorico:

Young kids smoke cigarettes out on the avenue

Sun’s going down so you might as well have a few

Hey who are you? Did you hear the news?

Anthony’s dead, and Poor Richard too

[…]

Now that it’s dusk, kids scatter the avenue

Hey who are you? I’m a sundowner too

Con Wander il cantautore decide quindi di giocarsi la carta ballatona con armonica, nella quale riconosciamo moltissimi dei suoi tratti distintivi in termini di scrittura, dalla tanto amata accezione “stormy weather” (già incontrata nel brano Black Flower di “Singing Saw“) alle sempre efficati onomatopee (“bum-bum”). Tra gli episodi più originali e significativi di questo “Sundowner” troviamo però Don’t Underestimate Midwest American Sun, una fragilissima poesia campestre con svariati riferimenti religiosi (“Say what you want / And do what you will / Nothing will cover the faith that’s been spilled”) e A Night At The Little Los Angeles, una ballata ASMR molto Lou Reed, costruita intorno a spoken words e xilofoni lontani. Altra novità è certamente Velvet Highway, vero azzardo del disco ed interessante parentesi tutta strumentale (pianoforte e drum machine). La conclusiva Provisions torna quindi a calcare tracce decisamente più riconoscibili, salutandoci a colpo sicuro alla maniera di Beautiful Strangers (ed utilizzando il contare come base per iniziare le sue rime, un trucchetto già incontrato nei brani 1234 e No Halo).

Dopo una serie di difficili esperienze metrapolitane tra New York, Los Angeles e Nashville, sembra che Kevin Morby abbia deciso di tornare where he belongs, nel profondo e silenzioso Midwest, dove il cielo è “a thousand years old”. “Sundowner” è l’album della pace con sé stesso, caldo e melanconico, un sentimento catturato perfettamente dalla foto in copertina. Un disco che probabilmente non rimpiazzerà il vostro Kevin Morby preferito, ma che regalerà una boccata d’aria fresca a tutti coloro che si ritrovano bloccati in grigie metropoli senz’anima e sognano la campagna ad occhi aperti.

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