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Interviste

Nuove radici: intervista a Viadellironia

Credits: Dorothy Bhawl

Manca molto poco e le radici di Viadellironia, una band tutta al femminile,  affonderanno nel terreno della musica italiana. Il 20 Novembre uscirà il loro primo disco “Le Radici sul Soffito”, distribuito dalla storica Hukapan di Elio e Le Storie Tese. Abbiamo già avuto modo di conoscere Maria, Giada, Laura e Greta con il singolo Ho la febbre feat Edda. Abbiamo rivolto alcune domande a queste ragazze per saperne di più sulla loro musica e sul loro album.

Come nasce una canzone di Viadellironia?

Maria: possiamo dire che io imbastisco uno scheletro del brano. Si tratta sempre di chitarra e voce. Poi mi confronto sulla stesura con le ragazze e con Davide (Cesareo), modifico eventuali passaggi deboli o imperfetti. Sono convinta che un pezzo debba essere solido e potente al netto della produzione e dell’arrangiamento. Ci accorgiamo subito delle potenzialità di una canzone. Siamo generalmente concordi e autoconsapevoli del tipo di contributo musicale che ognuna può dare, e questo consente di modellare e vestire in modo molto naturale il materiale di partenza. Per questo possiamo dire che le canzoni sono scritte insieme.

Ci sono brani in “Le Radici Sul Soffitto” che appartengono di più a un membro del gruppo piuttosto che a un altro? Oppure le sentite vostre in ugual misura?

Maria: il fatto che io lavori ai testi mi porta ad avere un’affezione più nitida ai contenuti di tutte le canzoni. Ma è solo per un fatto vocale, perché siamo abituati a dare molto peso al senso logico e al contenuto esplicito.

Giada: ma ci appartengono tutte allo stesso modo, perché le abbiamo scritte insieme. L’elemento musicale è ugualmente curato.

Laura: poi, è ovvio, abbiamo dei brani preferiti. Ma non abbiamo canzoni a cui non teniamo.

Greta: tipo Erano tutti miei figli.

Le radici sul soffitto” gode della storica etichetta Hukapan e della produzione di Cesareo. Che impatto ha avuto questo sul vostro modo di lavorare? Quanto è stato importante per la riuscita del disco?

Greta: sicuramente avere un apparato così professionale ha reso tutto molto stimolante, perché viene percepita l’importanza di ciò che si sta facendo.

Laura: dal punto di vista della produzione, Davide si è approcciato in modo lucido e consapevole di non volerci snaturare. A noi interessa molto il confronto con una produzione. E in questo Davide si è sempre preoccupato di far suonare le cose di modo che piacessero sia a lui che a noi, nonostante le provenienze musicali diverse.

Giada: sì, perché non si tratta di che cosa ascolti. O almeno, solo in piccola percentuale. Si tratta piuttosto di avere lucidità e equilibrio nel dare forma al materiale di partenza. E poi ha dato un tono più cazzuto alla nostra scrittura.

Credits: Dorothy Bhawl

Ho la febbre feat Edda è il primo singolo dell’album. Come mai questa decisione? Perché proprio Ho la febbre e non un altro pezzo?

Greta: è il pezzo che abbiamo scelto per Edda, volevamo dare risalto alla collaborazione. Ha anche un ritornello efficace. Dico musicalmente, non per un’infelice coincidenza di senso. Non è una scelta legata alla pandemia, insomma.

Quali sono state le vostre influenze musicali che vi hanno portato a incidere a fare la musica che fate oggi? A chi vi ispirate? E vicino chi non vorreste essere accomunate?

Giada: i nostri riferimenti sono diversi. Io ascolto Iron Maiden, Deep Purple, ma anche tanto cantautorato. Il modo in cui suono è melodico, e deriva probabilmente da quest’ultimo tipo di ascolto.

Greta: io vengo da cose diverse, tipo Beatles, Cure. Quello che ci accomuna di più è sicuramente l’alt-rock italiano e l’alt-pop, tipo Afterhours, Baustelle, quella generazione lì. Ma il fatto di provenire da generi diversi definisce un certo tipo di sound, e penso che sia una cosa positiva e interessante.

Maria: l’importante è essere consapevoli del proprio linguaggio, dei propri modelli. Io ho avuto una formazione classica, ma il risvolto nella scrittura è quasi inesistente, è più nascosto di citazioni esplicite, ma lavora ugualmente, e collabora. Così come collabora all’insieme il pop-rock per Laura, il metal per Giada. Ecco, diciamo che non vorremmo essere accomunate ad una produzione culturale che non avesse ben salde le proprie eredità, e quindi le proprie idee. Verrebbe molto facilmente circuita da idee esterne, e sarebbe difficile avere una libertà artistica.

Laura: in ogni genere ci sono elementi artistici di qualità, e per questo non posso dire a che cosa non vorrei essere accomunata, non mi piace definire la musica in base al registro.

Maria: sicuramente non vogliamo essere accomunate a produzioni musicali in cui l’idea di prodotto sottometta l’idea di musica.

All’inizio ho scritto i vostri nomi. Un complessino”, citando Elio e le storie tese, tutto al femminile.

Ascoltandovi ho percepito la vostra totale indipendenza come donne ma non una spinta

girlpower” tendente al fanatismo come a volte oggi accade. Mi sembra che voi vogliate fare la vostra musica andando oltre certe cose. Mi sbaglio?

Maria: dipende da che cosa si intende con fanatismo. In questo caso parlo per me, e dico che sono solidale alle manifestazioni più estreme di dissenso, e alla nuova discorsività di genere. Il che non implica che un testo debba essere formulato esplicitamente sul linguaggio neofemminista e con quel tipo di codice. Un jingle, o un inno, ha come destinazione quel tipo di comunicazione. Una canzone no, deve usare altri criteri, che sono quelli propri dell’arte, e non necessariamente della politica. Ma l’impegno politico c’è, nelle nostre canzoni non c’è neutralità, anzi. Semplicemente utilizzano un linguaggio estraneo al tipo di spinta che hai citato.

Greta: diciamo che siamo coscienti che il fatto di essere solo ragazze possa avere una rilevanza, ma a noi non interessa, per ora, inserirlo in un discorso che evada dal nostro contenuto e linguaggio musicale. E’ il registro della lotta, diciamo, che è diverso.

Maria: è la differenza tra il linguaggio dei poeti e il linguaggio degli attivisti.

Laura: secondo me invece hai intercettato perfettamente che non apparteniamo a un certo tipo di atteggiamento, a cui (personalmente) non mi sono mai assimilata. Ad esempio, non c’è mai stata nessuna strategia nel creare una band di sole ragazze. Greta: resta inteso che il fatto di essere un gruppo di sole donne per me, e penso per tutte, sia rilevante. Questo, ma è abbastanza ovvio, ha una conseguenza sia musicale che relazionale. 

Ho letto che sul palco date il meglio. Quanto vi manca suonare dal vivo? Quanto è importante per un gruppo come il vostro? Possono esistere alternative in questo momento di pandemia?

Maria: ci manca moltissimo, è un aspetto inderogabile e vitale per un gruppo rock.

Giada: perché la nostra immagine la diamo sul palco, è proprio invalidante non poter fare live. Lede alla scrittura, agli stimoli, alla progettualità.

Laura: non penso che possano esistere delle alternative valide alla musica dal vivo. Sono tentativi inefficaci.

Greta: questi tentativi sono delle toppe, ma per me non hanno assolutamente lo stesso valore. Non si può pensare di modificare la fruizione così, da un giorno all’altro. O meglio, lo si può chiaramente fare e pensare, ma con la coscienza dell’artificiosità di questa operazione.

Credits: Dorothy Bhawl

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