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“Brain Salad Surgery”, l’enciclopedia del progressive firmata Emerson, Lake & Palmer

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Mentre mi apprestavo a scrivere un pensiero su “Brain Salad Surgery” di Emerson Lake & Palmer, e mentre riascoltavo il disco per l’ennesima volta, una domanda mi è piombata davanti, scritta a caratteri cubitali sul soffitto: ma cosa è stato il 1973? Forse nessuno di noi si è mai reso conto fino in fondo di cosa abbia rappresentato quest’anno nella storia della musica. Eliminando i tour e gli happening collettivi, volendo quindi considerare solo i dischi pubblicati nel settantatré, l’elenco è praticamente infinito e di maestosa fattura. Solo per citarne alcuni: “Selling England By The Pound” (Genesis), “Close To The Edge” (Yes), “The Dark Side Of The Moon” (Pink Floyd). Il movimento Kraut stava per arrivare al suo massimo splendore grazie ai Faust – che quell’anno pubblicarono ben tre dischi – ai Tangerine Dream (“Atem“), ai Can (“Future Days“) e ai Kraftwerk (“Ralf & Florian“). In Italia non stavamo certo a guardare: Franco Battiato conclude con “Sulle corde di Aries” la sua trilogia sperimentale, il Banco del Mutuo Soccorso dà alla luce “Io sono nato libero” e la PFM riprende alcuni brani dei precedenti album e pubblica “Photos Of Ghosts“, un disco interamente in inglese, con traduzioni ad opera di Peter Seinfield.

Tra quelli citati – ma in generale il discorso vale per tutti – ci sono artisti che hanno avuto esordi folgoranti, altri che hanno cullato il capolavoro anche per anni, prima di scolpire quelle note nella pietra. E’ questo il caso di Emerson Lake & Palmer, che nel 1973 sono reduci dal tour promozionale del sottovalutato “Trilogy”.

Conclusi i soliti botti che scatenavano sul palco, i tre si riuniscono e arrivano a una conclusione: è arrivato il momento di fare le cose in grande, da tutti i punti di vista. Il primo passo è avviare la produzione in proprio, così dopo aver girovagato per Londra e dintorni alla ricerca del posto adatto, rilevano un vecchio cinema abbandonato dalle parti di Fulham. Prendendo spunto da “Tarkus”, uscito due anni prima, nasce la Manticore Records, etichetta che subito stipula un accordo di distribuzione con la Atlantic. Lo studio nuovo di zecca servirà non solo a loro, ma per espressa volontà di Greg Lake sarà un punto di riferimento per i giovani artisti in rampa di lancio, quelli che hanno talento ma non ancora un contratto. Tra essi figureranno anche la PFM e il Banco per alcuni lavori internazionali.

Allestito l’apparato produttivo, Emerson, Lake & Palmer si mettono quindi all’opera per scrivere e registrare il nuovo disco. Avendo modo e tempo per riflettere al meglio sul da farsi, i tre pensano bene di tirare fuori dal cassetto tutti i loro desideri. Se dovessi scrivere una canzone, poi un’altra e poi un’altra ancora fino a formare un album, quali ne dovrebbero essere le fattezze? Questa è la domanda che li ossessiona in fase di scrittura. Ma loro non hanno remore e danno fondo a tutto l’immaginario a disposizione.

Mandatory Credit: Photo by Alan Messer/Shutterstock (133333fw) EMERSON, LAKE AND PALMER VARIOUS

Keith Emerson è un grande estimatore di William Blake, visionario poeta londinese vissuto tra il XVII e il XVIII secolo. Uno dei testi maggiormente ispirati – risalente al 1804 – è Jerusalem, un inno che rappresenta la prefazione al poema epico Milton e che nel 1916 sarà musicato da Hubert Parry. Jerusalem è il racconto di un episodio apocrifo, secondo cui Gesù si sarebbe recato a Glastonbury insieme a suo zio Giuseppe di Arimatea.

I riferimenti classici proseguono con Toccata, una cover – per dirla con linguaggio moderno – del IV Movimento del Primo Concerto per pianoforte di Alberto Ginastera. Anche qui il riferimento è di altissimo livello: Ginastera, nato a Buenos Aires da papà spagnolo e mamma italiana, è considerato il miglior compositore di sempre per quel che riguarda le Americhe. Con grande rispetto e deferenza, Emerson fece ascoltare al maestro la demo del riadattamento in chiave rock. Ginastera sgranò gli occhi, esclamando in spagnolo “Terrible!”. Fu un colpo al cuore per il buon Keith, che stava per riprendersi il nastro e andare via demoralizzato, quando la moglie del musicista lo fermò e chiarì l’equivoco: “Terrible è un’esclamazione che gli spagnoli intendono in senso positivo, mio marito ha apprezzato molto la sua composizione”. Era la svolta.

Come quasi sempre accade nei dischi di Emerson Lake & Palmer, ai momenti solenni – conditi con abbondante e incurante pomposità – si alternano quelli leggeri, scherzosi, verrebbe da dire strafottenti. Ecco quindi che in coppia si affacciano le goliardiche Still… You Turn Me On e Benny The Bouncer, quest’ultima con testo firmato da Peter Seinfield. Leggere, scattanti e veloci, sono l’apripista perfetto per il mastodonte che incede.

Karn Evil 9 è una suite di circa trenta minuti, divisa in tre impressioni di cui la prima (per motivi di spazio sul vinile) è a sua volta spezzata in due parti. E’ universalmente riconosciuta come l’opera omnia di Emerson Lake & Palmer e uno dei coacervi più definitivi dell’intera storia della musica. Karn Evil 9 – che mal cela il gioco di parole con Carnival – è tutto ciò che di accrescitivo la mente umana possa concepire applicato alla musica. In mezz’ora c’è tutto: elettronica pura a suon di moog e synth, prodromi di world music attraverso la rievocazione di atmosfere tribali, jazz in tutte le salse, nuovi richiami alla musica classica. Insomma: una bestia.

Negli anni il trio è stato anche accusato di aver calcato troppo la mano, di aver inserito troppi elementi tali da ingolfare l’impianto musicale, di aver fatto eccessivo sfoggio di tecnica a dispetto di un’anima un po’ più “calda”, in grado di accogliere in modo più benevolo le orecchie degli ascoltatori, soprattutto quelle meno allenate. Beh, sapete cosa vi dico? Allenate i vostri padiglioni e fate amicizia una volta per tutte con questa suite: difficilmente vi capiterà – anzi non vi capiterà – di avere a portata di mano qualcosa di così appagante.

Niente deve essere lasciato al caso, come detto da Lake all’inizio delle registrazioni: un grande disco deve avere una grande copertina. E così, dopo la visita a Ginastera, è la volta dell’incontro con un altro illuminato. Nella sua casa in Svizzera, il trio incontra Hans Rudi Giger, pittore, designer e scultore, grande amante dello stile industriale e delle strutture meccaniche. A detta di Emerson, la casetta di Hans non era questo bel vedere vista da fuori, ma una volta entrati l’ospite veniva catapultato in un’esperienza totalizzante. Ogni angolo della casa era frutto dell’arte di Giger, dalle porte interne ai soffitti, dalle poltrone alla tazza del water: “Uno così deve disegnare il work art del nostro album”, pensarono all’unisono i tre.

Giger è sempre stato un uomo di poche parole, è un precursore ma non brilla certo per dialettica forbita. Vuole sapere quale sarà il titolo dell’album: Emerson gli spiega che “Brain Salad Surgery” è un’espressione dialettale dei sobborghi di Londra che allude al sesso orale.

Ed ecco la copertina. Due tavole sovrapposte: quella superiore raffigura un teschio inserito in un ingranaggio a morse perfettamente simmetrico, quella inferiore – che si intravede già dal cerchio ricreato intorno alla bocca del teschio – svela il volto di una donna. Piccolo particolare: essendo a doppio strato, nel momento in cui si solleva la tavola superiore – scoprendo quindi il volto della donna per intero – un fallo fa la sua comparsa all’altezza del mento. Inutile dire che la censura impose di rimuovere la parte scandalosa del disegno. Di quel lavoro resta la vicinanza stilistica della figura allo xenomorfo, che Giger disegnò – insieme al nostro Roberto Rambaldi – per Alien di Ridley Scott.

Quanto a Emerson, Lake & Palmer, “Brain Salad Surgery” rappresenta il punto più alto della loro discografia e una delle vette indiscusse di tutto il movimento progressive. Seguiranno un tour, dal quale verrà estratto il live “Welcome Back, My Friends, To The Show Thar Never Ends – Ladies And Gentlemen Emerson, Lake & Palmer”, e un disco di inediti, l’ambizioso e a tratti dispersivo “Works”, diviso in due uscite spalmate nel corso del 1977. L’ispirazione resterà ancora alta, ma lo stato di grazia vissuto in “Brain Salad Surgey” è un’altra storia.

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