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Deadburger Factory – La Chiamata

2020 - Snowdonia Dischi
rock sperimentale

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Tracklist

1. Onoda Hiroo
2. Un incendio visto da lontano
3. La chiamata
4. Tryptich
5. Tamburo sei pazzo
6. Manifesto cannibale
7. Blu quasi trasparente


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I cani sciolti arrivano al mattino, quando la nebbia è più sottile

Vent’anni di onorata carriera attraverso le fasi salienti della musica alternativa italiana fanno dei toscani Deadburger Factory un vero e proprio fossile vivente della scena off italica. “La chiamata”, il loro sesto album, è un succoso tassello enciclopedico che restituisce in modo puntuale gli snodi salienti di un percorso musicale alternativo, scelto e sostenuto nel corso degli anni da un manipolo di persone il cui fine ultimo non è quello di apparire sulle copertine delle riviste specializzate, quanto piuttosto di realizzare musica per divertirsi, alla ricerca di puro piacere personale e con lo scopo di comprendere se stessi e la realtà.

In una precipitosa escalation verso il basso, “La chiamata” comincia in regular fit rendendo esplicito il proprio manifesto con Onoda Hiroo, per poi dilagare e allargarsi in territori proto sciamanici da sgranare i denti e digrignare gli occhi. Giravolta dopo giravolta, alla fine del saliscendi ci troviamo in sella a un destriero Blu quasi trasparente, un pezzo che non dovremo mai essere stanchi di ascoltare in loop infinito, facendone la colonna sonora delle nostre ore: happiness is a wormhole.

Perché ascoltarlo? Intanto perché l’intero lavoro è incentrato sui poliritmi e sui tamburi, con una semplice, ma efficace proposta: doppia batteria, con coppie di batteristi diversi in ogni brano e in contrapposizione rock/jazz. Cioè, otto batteristi per un album: Bruno Dorella, Zeno De Rossi, Cristiano Calcagnile, Simone Vassallo, Silvio Brambilla, Pino Gulli, Marco Zaninello, Lorenzo Moretto, più Alfio Antico con il suo tamburo a cornice e la sua voce voodoo. Per la presenza di Alfio Antico in Tamburo sei pazzo, che da solo spiega il senso dello sciamano aborigeno in copertina. Poi per la veste grafica, elegante e curata, cha fa tanto feticismo e salute, con cofanetto in PVC semitrasparente serigrafato, CD con copertina cartonata, miniposter e booklet di 68 pagine. Il tutto disegnato da Paolo Bacilieri. Terzo, per i testi, perché l’incipit di Blu quasi trasparente dovremmo scrivercelo sulle maglie, mentre il testo di Onoda Hiroo non è solo il manifesto del disco, ma anche della vita di alcuni (molti?) di noi: “Forse la mia vita/ si è basata su un errore/ ma arrivati a questo punto/ non ha senso più pensare/ di cambiare/ nessuno mai si abitua/ a mangiare gli scorpioni/ ma non per questo sono pronto/ ad accettare velenosi/ i vostri doni/ io sono il tenente Onoda Hiroo/ ma voi cosa siete?/ non lo so”. Quarto, per la voce di Lalli, (cioè la voce di Franti) che ci accarezza come da tempo non ci accadeva. Quinto, per l’unica cover dell’album, che è una composizione di un batterista, una versione acidificata di Tryptich di Max Roach (cioè colui che in molti considerano come il migliore batterista di tutti i tempi).

Una piccola deviazione dal tema principale; Tryptich è un brano importante perché Roach lo compose per inserirlo in “We Insist! – Freedom Now Suite“, lavoro commissionatogli dall’associazione nazionale per i diritti delle persone di colore, in occasione del centenario della “proclamazione di emancipazione” di Abraham Lincoln.

In definitiva, “La chiamata” merita l’ascolto e l’acquisto perché rivela il gusto di un progetto a sviluppo cerebrale, nel quale la riflessione è uno degli ingredienti principali di una progressione costante e rielaborativa che non si muove per picchi, ma piuttosto scorre lungo i bordi del tempo. Pur non avendo l’impeto delle band più giovani reclamanti la distruzione del tempio per poter costruire il proprio futuro (sempre fatuo, come tutti i futuri), il disco ha la ferrea consapevolezza di chi sa, per esperienza, come realizzare un universo pieno di riferimenti, dando la giusta soddisfazione ai più anziani di noi, in grado di coglierli. Nello srotolarsi dei sette pezzi del disco incrociamo i Diaframma, ma anche il Teatro degli Orrori. PGR/CSI, Franti e in un certo momento torna in mente anche un’eco di Disciplinatha. Non mancano citazioni all’avanguardia e alla musica concreta, all’elettronica, ai NIN e il free jazz. A Zappa.

Già, perché pur senza essere spinto verso la sperimentazione più radicale, “La chiamata” rielabora e presenta tutti gli stilemi del genere alternativo. Lo fa in maniera compiuta, ben presentabile alle orecchie di chi non ha vissuto in prima persona gli anni del fermento, scoprendosi come ponte tra passato e futuro di una certa scena musicale italiana off, per certi versi punk, certamente di avanguardia.

Un disco di carbonari per carbonari, per chi in questi anni di recente passato si è voluto tenere lontano dalle strade più battute e scontate, per gente fuori dal coro.

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