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Io me chiammo “Sanacore”, e che vulite? Un viaggio e una chiacchierata con gli Almamegretta, alla (ri)scoperta del loro capolavoro

Nei secoli, la canzone napoletana ha sempre avuto natura universale. ‘O sole mio e Torna a Surriento, ad esempio, hanno catturato al primo ascolto il cuore di gente come Dean Martin, Elvis e Meat Loaf, esponenti di generi molto diversi tra loro, ma che da subito hanno capito quanto quella musica e il significato di quelle parole potessero essere incollate praticamente a qualsiasi essere umano.

A partire dagli anni ’70, la musica partenopea ha vissuto una profonda rivoluzione. Non più Napoli alla conquista del mondo – come in antichità – ma Napoli che viaggia, mescola e alla fine fonde la sua cultura con i ritmi di tutto il pianeta. Nascono e si impongono così il prog degli Osanna, del Balletto di Bronzo e dei tanti progetti musicali di Corrado Rustici; il folk della Nuova Compagnia di Canto Popolare (che sarà fucina per il talento, tra i tanti, dei fratelli Bennato); il folk, il jazz e il blues, sapientemente miscelati alla maniera prima dei Napoli Centrale, poi dei suoi super-solisti Pino Daniele, James Senese, Tony Esposito, Enzo Avitabile e Tullio De Piscopo.

Quando il ciclo sembra essersi esaurito, a cavallo tra gli ottanta e i novanta parte una nuova ondata. Nino D’Angelo e Franco Ricciardi impreziosiscono il vituperato neomelodico con accenti di world music; il Vesuvio sarà una delle incubatrici del progetto Planet Funk: è quindi dal basso che parte la contro-rivoluzione. In modo assolutamente spontaneo, nelle grandi piazze del centro storico e al chiuso dei laboratori occupati, si scalda un magma impetuoso alimentato da uno sterminato stuolo di crew. Il fiume in piena della cultura hip hop sfocia nella consegna al pubblico di una nuova generazione di artisti rap e dub.

Il 1995 è l’anno di grazia del nuovo Neapolitan Power, espressione utilizzata già un ventennio prima, nelle neonate radio libere, per identificare quel fermento e quell’urgenza comunicativa che avevano riportato in auge Napoli e la sua musica. Alla metà esatta del decennio novanta, il giovane cantautore Francesco Di Bella decide di fondare i 24 Grana e i Bisca99Posse pubblicano “Guai a chi ci tocca”. Tutto ciò mentre un manipolo di vecchi amici di Zulù e soci mettono a segno un colpo da maestri. L’anno sta per volgere al termine, quando gli Almamegretta danno alla luce “Sanacore”.

Dub, reggae, elettronica e pop mescolati come in Italia non si era mai sentito, contaminazioni di qualsiasi tipo, atmosfere arabeggianti che fanno da tappeto alle classiche tammurriate. “Sanacore” è un razzo, che parte dalla stazione spaziale di Riviera di Chiaia – sede dello Studio Megaride – e gira intorno al mondo. Passa da Procida, fa tappa a Londra, dove ad attenderlo c’è niente meno che Adrian Sherwood, ritorna a Napoli accolto dalle parole del poeta Salvatore Palomba e dalla voce di Giulietta Sacco. In stiva c’è una valigia piena di storie mediterranee.

Sanacore” racconta di immigrati che lavorano come braccianti lontano da casa, di prostitute, d’amore in tutte le sue forme, di diversità, di emarginazione. Raiz, voce storica del nuovo corso del gruppo, iniziato dopo l’addio di Patrizia Di Fiore, è il sigillo definitivo su quei suoni lontani nello spazio e nel tempo. E’ il piazzista del mercato di Poggioreale, un universo parallelo e psichedelico. E’ il muezzin che predica dal minareto. E’ un amico fidato, che viene a casa tua e ti racconta la sua vita mentre tu gli prepari il caffè.

Insieme a lui ci sono amici e musicisti in grado di creare un amalgama senza precedenti: Gennaro T. alla batteria e alle percussioni, Pablo alle tastiere e alla cura delle linee di basso, Gianni Mantice alle chitarre. E poi D.raD., fonico, ingegnere del suono ma membro effettivo della band. Un maledetto incidente nel 2004 gli strapperà la vita e rischierà di interrompere quella della sua band. Dopo profonde riflessioni gli altri decideranno di proseguirla soprattutto per lui.

(c) Camillo Ripaldi

Per festeggiare i 25 anni di “Sanacore”, gli Almamegretta hanno deciso di rimasterizzare le tracce e aggiungere due inediti, Tamms Dub e Heartical Dub, due piccole perle inedite venute fuori dal cassetto dei ricordi. Una è un dub ad opera del compianto D.raD., l’altra è un pezzo strumentale mixato da Sherwood. Per l’occasione, noi di Impatto Sonoro abbiamo deciso di contattarli per scambiare due chiacchiere, sul nuovo lavoro e non solo.

Ciao a tutti ragazzi, innanzitutto grazie per la disponibilità. Sono passati 25 anni dalla pubblicazione di “Sanacore”: cosa provano gli Almamegretta riascoltandolo oggi e quali sono le differenze rispetto ad allora?

Proviamo una grande emozione sia perché “Sanacore“, dopo tutto questo tempo, manda ancora segnali incisivi e anche perché la nuova veste audio, grazie al remastering di Giovanni Versari, presenta delle sorprese in termini di impatto e decisione sonora.

Nel Remaster celebrativo sono stati inseriti due inediti “storici”: come mai all’epoca sono stati scartati e cosa vi ha spinto a pubblicarli solo ora?

Fanno parte della pre-produzione di “Lingo“, l’album successivo a “Sanacore“. Ai tempi ci rendemmo conto che i due brani in questione erano ancora troppo impregnati di atmosfere “sanacoresche” e quindi vennero messi da parte perché noi volevamo fare un disco diverso dal precedente. Li abbiamo ritrovati la primavera scorsa e abbiamo capito che all’epoca avevamo visto giusto perché riascoltandoli erano perfetti per essere inseriti in una ristampa di “Sanacore“. Fanno parte di quel mondo.

Sanacore” è tante cose assieme: Napoli nel mondo, diversità e accettazione, un racconto per immagini dell’emarginazione degli ultimi. Ripensandoci, andava bene così o avreste voluto aggiungere altri elementi alla narrazione?

Considerato le soddisfazioni che ci ha regalato, tanto è vero che siamo qui a parlarne dopo 25 anni, l’album è giusto così com’è, compresa qualche ingenuità che probabilmente invece di manifestarsi come difetto ne costituisce invece un pregio.

Avete raccontato i luoghi del disco, nato tra Napoli, Procida e Londra, ma “Sanacore” è anche fatto di incontri. La lista dei guest è lunga, da Giulietta Sacco a Salvatore Palomba, passando da Adrian Sherwood e Pappi Corsicato. Ci potete raccontare un aneddoto riguardante una di queste collaborazioni?

È stata molto interessante e in qualche modo divertente, per ragioni collaterali, la session di registrazione di Giulietta Sacco. Lei fece una performance di grande professionalità e personalità, pur trovandosi ad affrontare un materiale e un mondo abbastanza distante da lei. Ma la scena la condivise con il suo manager di allora cioè Nino D’Angelo, che durante la session raccontò tutta una serie di episodi relativi alla sua (di Nino) storia personale a artistica. Da allora siamo diventati grandi amici con Nino con il quale condividiamo profonda stima umana e artistica.

A proposito di collaborazioni, ne avete collezionate tante, dai Massive Attack a Pino Daniele. C’è un artista o una band con cui vorreste in futuro condividere un lavoro?

Dopo tante collaborazioni che tanto ci hanno dato in termini di crescita professionale, non possiamo che affidarci a quello che la sorte riserva per noi. Di conseguenza saremmo comunque contenti di ripeterne sia alcune già vissute che altre ancora da vivere e del tutto nuove

Voi avete iniziato a fine anni ’80 a fare reggae e dub, in questa forma siete stati praticamente i primi in Italia. Come nasce l’esigenza artistica di esprimersi attraverso questa miscela di generi e quali altri artisti hanno “suggerito” le vostre tante contaminazioni?

La direzione del nostro progetto è stata disegnata da vari elementi: il background musicale e culturale di ognuno di noi che trova omogeneità nei riferimenti a un sound che ha il ritmo sempre al suo centro. Con diversi artisti che ci hanno sicuramente influenzato quali Sherwood, Massive Attack, Bill Laswell, Pino Daniele, siamo poi riusciti a collaborare. E questo è stato per noi motivo di grande soddisfazione e orgoglio.

Negli anni ’90 Napoli è stata (ancora una volta) punto di partenza e snodo internazionale per la musica del futuro. Ai tempi della produzione di “Sanacore” avevate l’impressione di aver sfoggiato uno dei tasselli più importanti di quel mosaico?

Non ce ne siamo resi conto subito ma solo dopo un po’ di tempo, quando il nostro lavoro è stato condiviso con tantissima gente e ne ha costituito la colonna sonora di una parte importante della loro vita. E questa, se ci pensi, è una cosa enorme, ma non pensavamo di raggiungere un risultato del genere. Noi abbiamo messo in musica le idee che in quel momento avevamo in testa. Abbiamo solo fatto, come al solito, quello che ci piaceva.

Nel 2020 c’è di nuovo Napoli al centro della musica. Senza voler fare nomi, cosa ne pensano i veterani Almamegretta della nuova scena partenopea rap, trap e di cantautorato alternativo?

Oggi viviamo in un momento storico di grande disorientamento e le nuove generazioni navigano in questo mare senza punti di riferimento, se non quelli offerti da social e in qualche modo ancora da media mainstream. Il risultato di tutto ciò è spesso una sensazione di vuoto che si tenta di colmare con consumismo sfrenato, come simbolo di status e ridicolo atteggiamento gangster, senza alcuna prospettiva e preoccupazione progettuale. Ovviamente anche la musica rispecchia questa condizione illusoria e vacante. Napoli come spesso accade, nel bene e nel male, sta anticipando ed è protagonista di questa tendenza.

Prima di salutarvi ci dovete confermare un’indiscrezione: è vero che nel 2021 uscite con un album di inediti?

Ebbene sì, abbiamo un album di inediti quasi pronto da mixare. Ma non sappiamo quando uscirà, tenendo conto della situazione di emergenza che stiamo vivendo e che rende tutta la nostra attività quasi impossibile ed estremamente precaria. Speriamo che possa uscire quanto prima perché significherà che ci siamo finalmente messi alle spalle questo periodo orrendo.

Grazie mille e a presto!

(c) Camillo Ripaldi

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