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Interviste

“Quello che siamo è quello che vogliamo essere?”: intervista a Moltheni

Photo: Avida Dollars

Abbiamo incontrato Umberto Maria Giardini, che dopo ben 11 anni, è tornato ad indossare i panni di Moltheni pubblicando il nuovo album “Senza eredità” (qui la nostra recensione). Un ritorno graditissimo e necessario per la musica italiana, che ha suscitato la nostra curiosità.

È una domanda forse banale, ma è obbligatoria farla perché Moltheni è scomparso per una decina di anni. Come mai questa scelta di farlo sparire e poi di riesumarlo? Cosa ti è accaduto nel frattempo? Cosa ti ha fatto dire “ok adesso ritorno come Moltheni”?

Moltheni non è scomparso per una decina d’anni, Moltheni è scomparso e basta. Il progetto è stato chiuso nel 2010, non so e non comprendo il motivo per il quale tutti credano che sia tornato. L’uscita di questo lavoro non significa assolutamente che sia tornato. Nel 2010 il progetto fu chiuso poichè troppe e incalzanti erano le pressioni fatte su qualcosa che incominciava a diventare importante. In un paese come il nostro dove oggi tutto è solo ed esclusivamente rivolto al guadagno, è un concetto difficile da spiegare, ma non tutti siamo uguali. Ho sempre fatto musica per il piacere di farlo, tutto ciò che ruota attorno al business e alla manipolazione umana non mi appartiene, circondarmi quindi da pescecani, quasi sempre incompetenti, che volevano dire ogni giorno la loro su qualcosa che avevo creato io, mi ha spinto alla fine a rinunciare e a chiudere serenamente bottega. A distanza d’anni sono ancora convinto di aver fatto la cosa giusta e la rifarei senza rimorsi. Nel frattempo ho prodotto moltissime cose come Pineda (2011) e come tutta la discografia di UMG (dal 2012 ad oggi). Poi Stella Maris (2018) nonchè tutto quello che sto producendo in questo momento, nella speranza di un auspicabile futuro migliore. Nessuno mi ha fatto dire “ok ora ritorno come Moltheni”; questo ultimo contributo ha solamente voluto regalare (se pur parzialmente) alcuni brani che erano rimasti dimenticati nei cassetti cosidetti “dimenticati ed esclusi” da ogni album. A distanza di 10 anni dallo scioglimento del progetto, credo sia un buon modo per dire ancora addio.

Il personaggio Moltheni ritorna dopo anni nel salotto della musica. Cosa si aspetta? Cosa ha trovato di diverso?

Non so cosa tu intenda per “salotto della musica”, comunque sia anche se esistesse solo in maniera solo simbolica, io non lo conosco. Non ho nessun tipo di aspettativa e confesso che non l’avrei avuta nemmeno se il disastro di Covid19 non successo. Spero solamente che sia un buon disco e che sia accolto con la stessa semplicità che da sempre contraddistingue il mio modo di scrivere e lavorare. Scrivere, correggere, arrangiare, provare, registrare e fare in modo che qualcuno lo sostenga e lo materializzi per gli appassionati del genere, è il mio unico scopo. Oggi tutto è diverso, e lo sarà anche ancor di più quando tutta questa catastrofe globale sarà finita. Tutti confidiamo in un nuovo rinascimento, ma ahimè, a differenza del passato bisognerà sempre e comunque fare i conti con la rete; tutto è possibile, anche peggiorare.

Nel frattempo hai pubblicato diversi dischi con il tuo vero nome: qual è la differenza tra quel tipo di lavoro e quello del progetto Moltheni?

L’approccio tra le due produzioni è molto simile, poiché in fondo sono sempre io; il marchio di fabbrica è inequivocabilmente riconoscibile. In realtà c’è una differenza abbastanza marcata, sia stilistica che concettuale. Moltheni è stato un progetto cantautoriale del passato che ha toccato molte sponde: pop, rock, folk, psichedelico, ma pur sempre positivamente condizionato da quel periodo della musica indipendente italiana che da metà anni 90a in poi, risucchiava e stimolava chiunque si occupasse di musica. Moltheni ha cavalcato quegli anni meravigliosi e prolifici diventandone un protagonista silenzioso. UMG invece si è permeato e concentrato su una sorta di maturità condizionata da una scrittura meno banale e più ricercata. Tecnicamente c’è stato un enorme salto di qualità che inevitabilmente ha finito per rivolgersi a un pubblico meno giovane, meno ampio e di conseguenza più esclusivo del primo.

Il nuovo album si intitola “Senza Eredità” un titolo molto riflessivo. Qual è l’eredità che Moltheni sta lasciando alla musica italiana?

Nessuna. Non voglio lasciare nessuna eredità poiché non ho eredi. Questa mia affermazione però non deve essere (come spesso accade) fraintesa. Con ciò non voglio assolutamente intendere che non ho eredi perché nessuno è o sarà mai al mio livello. Tutt’altro…oggi esistono musicisti bravi e capaci, persone che sanno esattamente cosa vogliono e con capacità decisamente straordinarie. Il problema di fondo però è un altro, e quasi sempre lo si tralascia, esso respira e vive attraverso il mondo, che di fatto è cambiato. Oggi nessuno non può farsi influenzare dai meccanismi deviati della rete e di una tv sempre più scadente dove nell’ambito della musica sguazzano ad esempio ancora i talent. Come se non bastasse è inutile far finta di nulla; ciò che ci circonda condiziona e condizionerà sempre di più quello che viene e verrà prodotto domani. Il mondo che in poche decadi abbiamo trasformato è orribile, è inutile sorvolare sull’argomento. Siamo sicuri che quello che siamo è quello che volevamo essere?  Da qui nasce il mio dubbio..

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