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Il mondo si sgretola, rotola via: 30 anni di “Epica Etica Etnica Pathos”

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Il mondo si sgretola, rotola via / succede, è successo, si sgretola e via

Nel 1989 CCCP e Litfiba viaggiarono insieme in Unione Sovietica per un tour che dev’essere stato indimenticabile per entrambi. In mezzo ad una moltitudine di esperienze assurde che possiamo solo immaginare, Ferretti e soci videro in prima persona i segni tangibili del disgregarsi del regime sovietico e di quell’ideologia su cui si basava la loro idea d’arte. In un certo senso, quello che dev’essersi materializzato di fronte ai loro occhi mentre suonavano di fronte perfino ad una sezione dell’Armata Rossa era la disgregazione dei CCCP stessi, che senza quella ingombrante sovrastruttura madre, rispettata e dissacrata allo stesso tempo nei lavori precedenti, non avevano semplicemente più senso di esistere. Eppure, reduci da un disco, “Canzoni Preghiere Danze del II Millennio – Sezione Europa“, che non aveva convinto del tutto Giovanni Lindo Ferretti – troppo patinato, troppo radiofonico – lungo i chilometri che separavano Mosca, Leningrad e le altre città visitate dalle due band, nacque una stima profonda tra lo stesso cantante, Massimo Zamboni e Gianni Maroccolo, al tempo bassista dei Litfiba. E nacque soprattutto l’idea di un nuovo disco.

Chiusi per tre lunghi mesi all’interno delle stanze di Villa Pirondini, per la verità un cascinale abbandonato nei pressi di Rio Saliceto, i CCCP in formazione allargatissima a Gianni Maroccolo, Giorgio Canali, Francesco Magnelli e Ringo de Palma, tutti provenienti dai Litfiba, forse avevano ben chiaro fin dall’inizio che lì in mezzo alla campagna reggiana avrebbero scritto il testamento della band più importante ed assurda con cui la musica italiana avesse mai avuto a che fare. O forse, è tra quelle quattro fredde mura che pian piano si fece largo la convinzione che tutto stava per finire e che il germe della trasformazione aveva piantato radici ormai inestirpabili.

In una recente intervista concessa a Rumore, sia Ferretti che Zamboni, confermano che durante le registrazioni del disco il sentore che qualcosa nell’inflessibile organico dei CCCP si fosse rotto crebbe pian piano fino a diventare certezza, e che Maroccolo, Canali, Magnelli e de Palma trasmisero a Ferretti e Zamboni – per altro gli unici due superstiti dell’apparato musicale originario della band – una visione artistica nuova, se vogliamo più tecnica, professionale e consapevole, insomma un modo completamente diverso di pensare e fare musica che forse non avrebbe più potuto concedere spazio agli eccessi teatrali di Fatur ed Annarella. In due parole, durante quella anomala sessione di registrazione, che cambiò letteralmente la vita di Ferretti e Zamboni, fin dal principio ostili ai tradizionali studi di registrazione, morirono i CCCP e nacquero i CSI. Ma questa è un’altra, bellissima, storia.

Foto: Luigi Ghirri

Epica Etica Etnica Pathos” non è però il proverbiale canto del cigno, ma piuttosto il prodotto di una creatura ibrida non replicabile. I CCCP stavano cambiando pelle, se lo erano in un certo senso imposto, consci che il viaggio era terminato e che aveva cambiato tutto, le vite di tutti i partecipanti, certo, ma anche la musica italiana nella sua totalità, che anche oggi, nel momento più grigio e stagnante della propria esistenza, non può non fare i conti con tutto quanto offerto da questo straniante collettivo emiliano. EEEP può anche tranquillamente essere inserito nel bailamme leggendario delle sigle, lì in mezzo tra CCCP e CSI. È un disco complesso, enorme, difficile, impossibile da eviscerare completamente, ma in fondo è anche terribilmente semplice e popolare. Quando il mondo fuori si sgretola, le convinzioni scricchiolano, e la terra – che sia quella della Pianura Padana o quella di Leningrad – crolla sotto i piedi cerchiamo rifugio nella tradizione, nei ricordi, negli affetti, nella Terra. Anche il suo stesso processo creativo, il fatto di viverlo parallelamente ad un’esperienza così fortemente comunitaria, per certi versi primordiale e in completo isolamento era il segnale della necessità impellente di costruire una nuova trincea entro la quale osservare lo scorrere desolante dei giorni che si portava dietro i cadaveri di ideologie che sembravano intramontabili.

EEEP è un disco popolare, nella sua accezione più profonda, perché i CCCP sono stati quanto di più popolare sia mai capitato alla musica italiana: fisarmoniche, melodie arabeggianti, voci e vociare sguaiato del popolo, danze tradizionali, inni religiosi, canzoni d’amore e grida di sdegno si alternano in un mantra surreale che lascia ipnotizzati e sbigottiti. Questa volta però, l’impianto sonoro dei CCCP non ne fa uso per traslare il socialismo reale e i suoi rigidi diktat nelle balere del liscio, o per dipingere l’islam battagliero con i colori dei circoli ARCI come in passato. Ora sarebbe solo una riesumazione macabra e grottesca, bisogna guardare oltre. Se i CCCP in passato raccontavano e vivevano il caos, ora quello stesso caos lo rinnegano, rifiutano il frenetico vivere urbano e riscoprono la cultura campestre e i valori più genuini del popolo.

Certo, se pensate che non ci sia nulla di punk in tutto ciò, nulla di sovversivo in brani come Annarella, Amandoti, Aghia Sophia, Narko’$ e via dicendo, beh forse avete ragione. D’altronde, come sostiene lo stesso Canali, chi ha definito i CCCP degli “alfieri del punk” ha semplicemente blaterato una marea di cazzate. E non è tanto una questione di estetica o attitudine, è semplicemente perché anche il punk è una corrente a suo modo codificata e standardizzata, e di codificato e standardizzato nell’esistenza dei CCCP non c’è mai stato nulla.

Per la prima volta nella loro storia, e diventerà poi una caratteristica fondante delle incarnazioni future del collettivo emiliano, i CCCP intraprendono una ricerca sonora estenuante, che nei racconti dei protagonisti, nel corso di quei 3 lunghi mesi, si è fatta alle volte anche tesa, conflittuale ed angosciosa. Dev’essere stato difficile coniugare in una sola voce le richieste di tutti i partecipanti, tutti spinti dal desiderio più o meno inconscio di dare il proprio contributo in quello che sarebbe stato un lascito epocale. Eppure, sebbene estremamente complessa, quello di EEEP è la risposta più limpida e centrata che i CCCP potessero dare al termine del proprio personalissimo viaggio nell’utopia socialista.

Dopo EEEP, pubblicato nel settembre del 1990 su Virgin, nulla sarebbe stato uguale, per i CCCP come per nessun altro. Ringo De Palma era morto di overdose appena terminate le registrazioni dell’album, la band si era sciolta e il mondo continuava la sua folle esistenza scrutando nuovi orizzonti. “Epica Etica Etnica Pathos” resta ancora oggi ammantato di una straniante solennità, ed è la testimonianza caotica e lucida di un ideale complesso e contraddittorio che si era sbriciolato su stesso portandosi dietro la band che più di tutti ne incarnava i tratti.

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