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Goldenground

GOLDENGROUND: Daniele L. Bianchi

Esiste un mondo sommerso, una selva di persone, passioni e cuori che stanno dietro alla musica e che ogni giorno la nutrono con amore paterno, nascosti dietro le quinte della scena. Goldenground va a scavare negli intricati tunnel dell’underground per portare alla luce le scintillanti pepite d’oro sparse in tutta Italia e per dare voce a chi è solito dare voce alla musica.

Fotografare sottopalco. Un mondo del tutto differente.

Un concerto è un’esperienza catartica. Un mondo del tutto differente. Esistono artisti di ogni tipo egogentrici e irascibili altre volte generosi e amabili. Nel momento in cui il frontman insieme alla sua band intrattengono il proprio pubblico e, tutto va per il verso giusto, si riesce a creare una vera e propria magia sul palco. Daniele L. Bianchi segue da più di quindici anni la scena alternativa made in Italy e i grandi eventi della musica internazionale come fotografo. Ha lavorato con le principali riviste e portali web del settore, organizzato mostre e workshop e realizzato plurimi progetti editoriali. In questa intervista abbiamo disquisito di fotografia ma anche di musica due importanti realtà che sottopalco possono trasformasi, come si evince dall’esperienza personale di Daniele L. Bianchi, in un’unica e viscerale passione.

Foto: Daniele L. Bianchi

Il 2020 è stato un anno che ha messo a dura prova l’umanità intera. Il Covid-19 ha decisamente sparigliato le carte, bloccato molti settori lavorativi e anche intaccato il mondo della cultura con la conseguenza gravosa per gli artisti e il pubblico di dover rinunciare alla musica dal vivo. Come stai vivendo questa situazione drammatica sia dal punto di vista lavorativo sia dal punto di vista di appassionato di musica rock?

Il sopraggiungere del Covid-19 ci ha colto del tutto impreparati. Coloro che fanno parte del mondo della cultura e dello spettacolo, settori poco supportati dallo Stato italiano, sono stati duramente colpiti. È impensabile che il Governo si impegni su questo fronte. Mi ritorna in mente quella frase infelice: “I nostri artisti che ci fanno tanto divertire”. La musica non è mai stata una priorità ed è  difficile farsene una ragione quando chi è coinvolto è con l’acqua alla gola. Penso che la scena alternativa italiana abbia subito il maggiore contraccolpo. È un ambiente in cui girano pochissimi soldi e oltre ad un grande talento sono fondamentali la capacità di creare relazioni e possedere una delle competenze che ci invidiano di più al mondo: il problem solving. La situazione è molto complessa. I concerti non si possono fare senza un pubblico pagante. Sono ormai mesi che artisti, fonici e maestranze varie hanno messo via creatività e competenze per cimentarsi in lavori occasionali e mal pagati come volantinaggio e consegne a domicilio. I club rischiano la chiusura. Probabilmente la musica dal vivo in cui è necessaria la presenza di molte persone sarà uno degli ultimi settori a ripartire. Per quanto riguarda la mia attività di fotografo sono anni che la considero una passione piuttosto che un impiego vero e proprio. Non ne sono dipendente dal punto di vista economico e questo mi permette la più totale libertà di scelta dei soggetti da scattare. In Italia scattare ai concerti non è un’attività di lavoro retribuita. È l’amore per la musica che mi fa andare ogni sera sottopalco a scattare. Da appassionato e fruitore di rock come tanti altri mi sento privato di un pezzo importante della mia vita. Mi mancano i concerti. L’attesa sta diventando insopportabile.

Lo scorso novembre hai pubblicato il calendario “Sottopalco 2021. Dodici mesi di musica rock indipendente italiana” – le copie sono andate esaurite da subito – un progetto in cui hai raccolto dodici tuoi scatti che ritraevano dodici band italiane che rappresentano quello che per te è il rock. In un periodo di astinenza dai concerti hai pensato che questo lavoro potesse essere per te una valvola di sfogo oppure uno stimolo per rimboccarti le maniche in un anno lavorativamente in sospeso per molti addetti ai lavori?

Come ho scritto nella postfazione di “Sottopalco 2021” è stato soprattutto una valvola di sfogo. In questo periodo senza concerti ho riguardato spesso l’archivio fotografico ed è stato naturale voler organizzare un progetto editoriale che coinvolgesse il materiale che ho accumulato in più di quindici anni di attività fotografica. I dodici scatti rappresentano gli artisti che amo di più e dietro ogni ritratto c’è una storia non raccontata che riguarda il mio bagaglio umano e professionale. È stato sorprendente l’entusiasmo con cui i sostenitori del rock indipendente italiano hanno accolto questa iniziativa. Ho dovuto anche fare una ristampa. Attualmente sto pensando ad un altro progetto su carta e spero possa riscuotere lo stesso successo.

Il mio ultimo concerto prima dell’arrivo della pandemia è stato al Monk di Roma era febbraio e si esibivano i Management (ex Management del dolore Post-Operatorio). Ricordo perfettamente che qualche ora prima dell’inizio dello show ero nel backstage per rivolgere qualche domanda al cantante Luca Romagnoli. Ad un certo punto tu sei entrato e nella faccia di Luca si è stampato un sorriso che non ho più scordato. Quanto ti appaga il fatto di essere riuscito nel tuo lavoro ad instaurare rapporti di collaborazione ma anche di amicizia?

È stato l’ultimo anche per me almeno per quanto riguarda concerti carichi di casino, sudore e assembramenti fuori controllo. È sempre una bella sensazione sentirsi ben accetti in un backstage. Luca lo conosco da tanti anni e lo reputo un personaggio meraviglioso. Il nostro primo incontro è stato nel 2013 durante il fatidico Concertone del Primo Maggio a Roma quando accade il casino del profilattico sul palco. I Management sono un gruppo di pazzi scatenati ma anche ragazzi di cuore. È fondamentale per un fotografo instaurare un buon rapporto con le band anche perché come in questo caso possono nascere delle belle amicizie.

Foto: Daniele L. Bianchi

Sono i Management i primi che vorresti tornare a fotografare ad un live se domani si tornasse alla tanto sospirata normalità?

I Management si contenderebbero il primo posto insieme ai Tre Allegri Ragazzi Morti, gli Zen Circus e i Voina. Sarà una festa fantastica e non vedo l’ora.

I tuoi scatti trasudano emozione, potenza e passione. C’è competenza, tecnica e una buona dose di amore per questa arte in continua evoluzione. È la musica che ti ha condotto alla fotografia?

Sì. Io scatto unicamente concerti o realizzo ritratti ai musicisti. Non ho lo stesso entusiasmo verso altri generi di fotografia. Negli anni ho creato un mio stile personale ben distinguibile dai lavori di altri colleghi. È per così dire il mio marchio di fabbrica. Per me la musica e la fotografia sono talmente intrecciate fra loro che mi è impossibile immaginare l’una senza l’altra. Solo con la reflex in mano riesco a vivere pienamente un live e mi permette anche di creare qualcosa legato alle emozioni che provo durante un concerto. Per questo la scelta e la post produzione delle foto non devono mai avvenire troppo tempo dopo.

Cosa occorre per passare dall’essere un aspirante fotografo ad essere un professionista? In più di una circostanza il ruolo del fotografo non ha il riconoscimento che merita. Perché?

Servono determinazione e soprattutto costanza. Sono tanti quelli che vedo sottopalco con una reflex in mano e poi dopo qualche mese svaniscono nel nulla. All’inizio c’è tanto entusiasmo ma poi affiorano le prime difficoltà e gli scarsi rientri economici fanno desistere la maggior parte di quelli che ci provano. Si deve anche essere preparati dal punto di vista tecnico perché scattare in un ambiente in cui le luci cambiano in continuazione e i soggetti sono spesso in movimento è molto difficile. I miei primi scatti erano inguardabili ma poi, dopo diverse prove, sono migliorato. Ai concerti non ottieni un pass fotografico se non hai alle spalle una rivista o un sito web che ne fa richiesta. Ho realizzato alcuni workshop per aiutare vari allievi ad approcciarsi a questo mondo e per spiegare loro alcune dinamiche interne ma come ho detto prima sono davvero in pochi a resistere. Purtroppo in Italia questo ruolo non viene quasi mai supportato come meriterebbe. Questo accade perché siamo tanti e quasi tutti sono disposti a cedere i risultati del loro lavoro a titolo gratuito per allacciare rapporti con band, uffici stampa e agenzie di booking. In questa condizione chi prova a vendere delle foto fa molta fatica. Le stesse riviste e quotidiani pagano ad un fotografo cifre ridicole. Ovviamente ci sono delle eccezioni per quanto riguarda i grandi professionisti che operano perlopiù nel settore mainstream. Questo mestiere, fin dall’inizio del 2000, ha subito una grandissima svalutazione con l’avvento del digitale che ci ha inondati di scatti di tutti i tipi ma purtroppo di qualità mediocre. Io sono un fotografo nato con il digitale quindi ho ben poco di lamentarmi di questa situazione.

Foto: Pasquale Modica

Una lezione da non dimenticare che ti ha sempre guidato nei tuoi lavori di fotografo?

All’inizio mi capitava di arrabbiarmi per il modo in cui venivo trattato dal personale della sicurezza o da qualche ufficio stampa tanto che questa condizione si ripercuoteva anche nel mio lavoro. Con il tempo l’ho superato ragionando sul fatto che non potevo perdere tempo a litigare quando il mio obiettivo era scattare delle foto ad un concerto. Per un fotografo è sempre opportuno quando si arriva in una location avere cura nel prepararsi in modo adeguato per non avere poi sorprese in momenti critici. È importante anche dare meno fastidio possibile al pubblico che vuole avere una visuale completa del palco.

Voglio tornare un attimo sul calendario“Sottopalco 2021”. Ho notato che tutti e dodici gli scatti sono stati realizzati in località del Lazio ad eccezione di uno come mai questa scelta?

Dato che sono di base a Roma è normale che abbia molto più materiale scattato nella mia città o nelle zone limitrofe. Gli scatti presenti nel calendario sono stati realizzati in situazioni in cui avevo un’ottima libertà di movimento. Se si scatta in tranquillità è molto probabile che le immagini escano migliori. Nel mio archivio sono presenti altrettante valide istantanee eseguite in altre città italiane. L’Italia ho potuto girarmela un po’ tutta seguendo tantissimi gruppi ed eventi.

Ogni concerto è un’esperienza preziosa, diversa e irripetibile in cui anche il pubblico ha un ruolo importante. Quale è la tua opinione riguardo ai concerti in streaming?

Uno show deve permettere uno scambio di energia tra l’artista e il pubblico. È proprio questa relazione che amo immortale attraverso la fotografia. Un concerto mandato in streaming senza pubblico è un’altra cosa. Sarà apprezzabile se viene ripreso bene ed ha un sonoro dignitoso. Soprattutto in questo in questo periodo con una pandemia in atto è un ottimo ripiego. Io ancora ad essere sincero non sono mai riuscito a vedere uno spettacolo in streaming dall’inizio alla fine.

Il futuro della musica è solo una questione di nuove contaminazioni o è possibile che venga fuori qualcosa di davvero nuovo? Ma è mai esistito qualcosa di davvero nuovo, o le novità sono solo incontri tra elementi del passato?

Non mi considero un critico musicale anche se avrò visto e immortalato centinaia di concerti fra progetti italiani e internazionali. Osservo il musicista e mi focalizzo su quello che riesce a trasmettermi attraverso la sua performance. Personalmente prediligo il rock alternativo ma non mi precludo nulla a priori. Ogni tanto mi avvicino a generi che prima mi erano totalmente estranei come ad esempio l’elettronica, il metal o il rap. Secondo me se un artista ha un’attitudine interessante sul palco può averla interpretando ogni genere musicale. Mi colpiscono da sempre i gruppi nuovi che tentano di emergere. Tuttavia mi auguro che prima o poi le chitarre rock possano riemergere dal dimenticatoio nel quale sono scivolate negli ultimi anni.

Infine mi permetto di farti una domanda su coloro ai quali hai dedicato il mese finale del tuo calendario “Sottopalco 2021”: Il Teatro degli Orrori una band incredibile con uno dei frontman italiani più carismatici di sempre Pierpaolo Capovilla. Cosa ti è passato per la testa quando si venne a sapere del loro scioglimento?

Il loro scioglimento era nell’aria già da tempo. Mancava solo l’ufficialità della notizia che purtroppo è arrivata nell’estate del 2020. Per un fan di vecchia data come me è stato un duro colpo e faccio ancora fatica ad accettarlo. Ho seguito come fotografo Il Teatro degli Orrori dal disco di debutto “Dell’impero delle Tenebre”. Siamo legati da un rapporto di amicizia e di stima reciproca. Sebbene siano dei musicisti incredibili hanno anche dei caratteri complicati e non mi sono stupito della fine del progetto. Sarò onesto per l’amore incondizionato che nutro per loro sono sicuro che questa storia non sia ancora finita. Mi aspetto prima o poi di rivederli di nuovo tutti insieme sul palco. In questo momento storico ce ne sarebbe tremendamente bisogno.

Foto: Pasquale Modica

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