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Steven Wilson – THE FUTURE BITES

2021 - Caroline International
pop / elettronica

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Tracklist

1. UNSELF
2. SELF
3. KING GHOST
4. 12 THINGS I FORGOT
5. EMINENT SLEAZE
6. MAN OF THE PEOPLE
7. PERSONAL SHOPPER
8. FOLLOWER
9. COUNT OF UNEASE


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Sono passati i tempi in cui il nome di Steven Wilson era custodito da pochi, nerd e amanti della psichedelia prima, giovani metallari più avanti, che piano piano hanno imparato a conoscere il geniaccio che si celava dietro i Porcupine Tree, band di culto che ormai comincia ad essere annoverata tra i grandi classici. Con il tempo la figura di Wilson si è stagliata sempre di più sul panorama musicale contemporaneo, diventando un’icona del prog moderno e raccogliendo nuove fila di ammiratori. Ma le sue traiettorie sono sempre imprevedibili, e la nomea di progghettaro forse non è il miglior biglietto da visita per una platea più vasta e scintillante. Già dal precedente “To The Bone” molta gente aveva cominciato a storcere il naso per il cambio di rotta, le sonorità spiccatamente pop e i ritornelli alla ABBA di Permanating avevano provocato non poca indignazione.

Ora, dopo una posticipazione di svariati mesi a causa del covid esce il capitolo successivo, “THE FUTURE BITES”, un album che affronta le principali insidie del mondo contemporaneo, come il dominio della tecnologia, il peso dei social network, la progressiva perdità di identità e l’affermazione di sé attraverso il consumo più sfrenato. Wilson nel corso degli anni ha dimostrato di saper portare avanti un discorso musicale e concettuale mai banale, basti pensare al magnifico “Hand. Cannot. Erase.” di qualche anno fa, o all’ormai antologico “Fear of a Blank Planet”, realizzato con i Porcupine Tree nel lontano 2007.

Ascoltando lo scorso lavoro solista si intuiva una transizione in atto, un abbandono di costrutti musicali affini al prog e tendenti a un certo pop raffinato, figlio degli anni ’80 e di nomi come Peter Gabriel, Kate Bush, Talk Talk o Tears for Fears (a detta del nostro), anche se il risultato è stato, a parte qualche bel pezzo, ben al di sotto di questa altisonante lista di grandi nomi. Ora “THE FUTURE BITES” mostra che la transizione è completa, il suono del Wilson anni ’20 è pop puro, le chitarre scompaiono quasi del tutto lasciando il posto a synth e manipolazioni elettroniche. SELF è il primo esempio, che apre (dopo il breve intro UNSELF) il disco ed introduce prepotentemente sia i temi centrali dell’album che il suo sound. Ritmi e pulsazioni digitali guidano la canzone verso atmosfere dance e quasi funk, con tanto di cori e bassi sintetici. La produzione è impeccabile, i suoni curatissimi, come ogni lavoro di Steven Wilson, ma qualcosa non funziona. Tutto sembra così piatto, così bidimensionale, il brano scorre senza particolari guizzi e al momento della conclusione non resta nulla. Questo è un bel problema, soprattutto se si parla di un artista che ha saputo dare vita a lavori sublimi, mondi musicali che anche dopo decine di ascolti rivelavano sempre qualcosa di nuovo, che ne legittimava il valore. Ora ci troviamo davanti soltanto un’ottima produzione, della quale però nulla ci attraversa, se non le mere onde sonore.

Proseguendo con l’ascolto abbiamo purtroppo la conferma delle sensazioni avute in precedenza. Il nostro Steven vuole sfornare taglienti singoli pop giocando a fare Prince ma del genio di Minneapolis ha ben poco, vuole creare atmosfere dark e acide ma non è di certo Trent Reznor. Ma sia chiaro, il problema non è l’assenza del prog, il fatto che non ci siano suite di 20 minuti o virtuosistici assoli di organo (cosa che forse è anche un bene), ma la qualità della scrittura di questo album. Dietro la cura dei suoni e dell’aspetto tecnico non c’è molto, il tutto si lascia ascoltare ma ahimé questo non basta. Anche il concept rimane fine a sé stesso, senza andare a fondo o svilupparsi in modo originale. I momenti più ritmati del disco si somigliano un po’ tutti, più il ritornello vuole essere “catchy” e orecchiabile più risulta irritante, e l’uso smodato del falsetto da parte di Steven di certo non aiuta. Quando il sound torna a ricordare episodi più “classici”, come l’acustica 12 THINGS I FORGOT, forse è anche peggio; senza elettronica e orpelli vari è ancora più lampante il drastico calo nella composizione dei brani. In questo caso ne risulta una ballata insipida, che ricalca schemi utilizzati in precedenza ma in modo molto minore e poco ispirato. Eppure nel passato anche recente Wilson ha saputo scrivere dei veri e propri gioielli pop (Lazarus, Insurgentes, Postcard, Trains, gli esempi sono molteplici).

EMINENT SLEAZE è un pezzo electro-funk dominato dal Rhodes e dal basso, che vorrebbe bucare la stratosfera ma non arriva neanche al terzo piano, KING GHOST vira verso atmosfere potenzialmente interessanti ma si stagna in una melensa e anonima rassegna di beats e tappeti sonori, accompagnati dall’ormai di casa falsetto, qui addirittura portato digitalmente un’ottava più in alto. Aiutatemi.

PERSONAL SHOPPER è il momento più ispirato dell’album, in alcuni momenti si avverte cosa sarebbe potuto essere questo disco con alla base una composizione più originale e ispirata, anche se siamo ancora lontani dal capolavoro. Anche FOLLOWER ha dalla sua un arrangiamento e dei suoni potenzialmente vincenti ma il tutto viene affossato da una linea vocale piuttosto imbarazzante, peccato. La conclusione, come di consueto, è affidata alla ballad intensa e catartica (in passato è stato il compito di Like Dust I’ve Cleared From My Eye, The Raven that Refused to Sing, Happy Returns e vi discorrendo) e COUNT OF UNEASE possiede tutti questi requisiti. Sembra un’evoluzione sintetica di Insurgentes ma pur non essendo un brutto pezzo ricorda nuovamente una versione un po’ sbiadita di episodi passati meglio riusciti.

“THE FUTURE BITES” è la prova che anche un personaggio di grande prestigio come Steven Wilson può perdere di vista l’obiettivo, facendo leva più sullo scintillante e lussuoso pacchetto che sul suo effettivo contenuto. E in questo discorso i generi non c’entrano. Percorrere nuovi sentieri e non cadere in continue reiterazioni della stessa minestra è ammirevole, ma se alla base la musica non regge allora tutto il resto crolla, che sia prog, pop, elettronica, metal o polka.

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