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Back In Time

“Rise And Fall Of Academic Drifting”, vent’anni di un classico del post-rock

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I rise my hands
I’ve just praied all the time, wasted time again

All’inizio dei 2000 il post-rock, per mano di Mogwai e Godspeed You! Black Emperor su tutti, si va cristallizzando, inquadrandosi in regole e stilemi che danno forma concreta ad una definizione fin troppo ampia, che fin lì aveva raggruppato realtà le più disparate, accomunate dal fatto di uscire tutte in qualche modo dagli schemi ormai rigidi e stretti del rock tradizionale. Sappiamo tutti oggi cosa sia il post-rock, e solo al sentirlo nominare, si materializza nella mente un’idea di musica ben precisa e concreta, che se forse tradisce gli ideali iniziali di ribellione creativa, non svilisce di certo la sua ineguagliabile e peculiare emozionalità.

Non è certo sbagliato inserire tra i protagonisti di questo lungo e suggestivo processo anche i Giardini di Mirò, che con il loro album di debutto “Rise And Fall Of Academic Drifting“, pubblicato a gennaio del 2001 su Homesleep Records, diedero un autentico scossone alla nostrana scena indipendente dando vita alla via italiana del post-rock, di cui tra i nostri confini all’epoca non si registrava ancora traccia. La band proveniente da Cavriago, Reggio Emilia, nonostante un nome che mi ha sempre ricordato qualche band progressive dei decenni precedenti, aveva uno sguardo internazionale che nessuno dei colleghi dell’epoca poteva vantare. 

Può essere una sensazione strana riascoltarlo oggi, a 20 anni di distanza dalla sua uscita, oggi che tutto ciò che i Giardini di Mirò rappresentavano in quegli anni, e anche il post-rock stesso, ci sembra normale, ma che invece era davvero straordinario. Nel tempo, alla maniera odiosa e italiana di etichettare tutto con superficialità, molti si sono affrettati a definire i Giardini di Mirò “i Mogwai italiani”, svilendone la portata e relegandola nel limbo delle svariate derivazioni del post-rock. “Rise And Fall Of Academic Drifting“, invece, è un autentico classico del post-rock e può tranquillamente sedersi al tavolo dei più grandi senza sfigurare, anzi ha perfino più di qualcosa da insegnare.

C’è una naturalezza estrema e innata nel modo in cui il sestetto emiliano gioca con una tensione emotiva che lungo tutti i 52 minuti del disco fluttua impalpabile ma travolgente e tocca sfumature le più distanti possibili, stravolgendo più e più volte le carte in tavola con svariati elementi: esplosioni di rumore, ma anche archi, fiati, sintetizzatori, arpeggi psichedelici e il sorprendente uso della voce, su tutte quella di Matteo Agostinelli degli Yuppie Flu, in Pet Life Saver, uno dei pezzi italiani più belli di sempre.

I Giardini di Miró erano insomma la prova che in Italia si era – di nuovo – pronti per uscire dagli steccati e per partecipare attivamente al consolidamento di un genere così creativo e suggestivo ma che fin lì aveva piantato radici solo a migliaia di chilometri di distanza. Provate a riguardare la memorabile esibizione della band negli studi di Mtv Supersonic: i sette minuti e oltre di A New Start andavano oltre qualsiasi canone televisivo, non solo per la durata, quanto piuttosto per l’intensità di una prova stupefacente che sembrava venire non da fuori dei confini nazionali, ma direttamente da un altro mondo.

Rise And Fall Of Academic Drifting” è uno dei dischi che ha accompagnato una parte cospicua della mia vita, si lega ad alcuni ricordi indelebili della mia esistenza, ed è forse per questo che però anch’io fatico a considerarlo un monumento. I monumenti sono ingombranti, spaventosi, intoccabili, li mettiamo su un piedistallo a brillare di luce propria, rivolgendogli di tanto in tanto un’occhiata riverente, timorosa e distratta. “Rise And Fall Of Academic Drifting“, come quello immortalato nella splendida copertina realizzata da Giacomo Spazio, è invece un abbraccio luminoso e confortevole da non dimenticare mai.

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