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Wedge – Like No Tomorrow

2021 - Heavy Psych Sounds
hard rock

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Tracklist

1 Computer
2 Playing A Role
3 Blood Red Wine
4 Across The Water
5 Queen Of The Night
6 U’n’I
7 At The Speed Of Life
8 Soldier


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Quando troviamo un power trio sappiamo che sono in tre a suonare. Uno suona il basso, uno suona la chitarra e uno suona la batteria. Ogni tanto capita che ci sia un altro strumento e magari quello che suona il basso suona anche le tastiere. Ma non sono in quattro, sono sempre in tre. Perché uno suona due strumenti. E poi uno dei tre canta anche. I Wedge sono propio un power trio e sono proprio così. Uno suona la batteria, uno la chitarra e canta, uno il basso e le tastiere. Sono fanatici della musica degli anni settanta e quindi fanno una musica che sembra proprio quella degli anni settanta. Tipo del 1971. Quindi, è come ascoltare i Deep Purple o i Rush o Jimi Hendrix, ma anche MC5, Led Zeppelin o Humble Pie nel 2021. Quasi.

Let’s take a back step: “Like No Tomorrow” è il terzo album per i tipi di Heavy Psych Sounds dei teutonici Wedge; formatisi nel 2014 a Berlino per mano del chitarrista e cantante Kiryk Drewinski, del batterista Holger Grosser e del bassista e organista Dave Götz, girano l’Europa concertando per vari happening, dalla Norvegia alla Sardegna (Bukta Open Air, Desert Fest, Stoned from the Underground, Duna Jam, Burg Herzberg Festival) e si spompano in concerti di supporto per Fu Manchu, Blues Pills, Kadavar (DE), Orchid (USA), fino a giungere al loro zenit del 2020, un live per la serie TV tedesca Rockpalast in piena pandemia. Fine flashback.

“Like No Tomorrow” è caratterizzato dal sound che dominava le classifiche cinquant’anni fa e, come avrete capito, non stiamo parlando di Donna Summer e dei Village People, ma piuttosto di chitarre fuzz, di organi Hammond e Leslie cabinet. Creato in uno degli anni che verrà ricordato negli annali come uno dei più di m#r*a dei duemila e sfruttando al massimo la sinergia tra strumenti analogici e strumenti digitali, “Like No Tomorrow” è caratterizzato da un’attitudine rock/progressive bifronte, che da un lato scruta verso il passato, omaggiando e richiamando i gruppi più iconici del rock dell’epoca, al contempo fissando con preghiera di accettazione il futuro, generando un singolare cortocircuito nell’incontro/confronto con band come The Raconteurs, Hellacopters, Wallflowers, a loro volta ispirati dalla stessa musica dei settanta. I Wedge si disarticolano tra differenti generi, garage rock, progressive e chitarre psichedeliche e hard rock; è ben composto, ben suonato e ben arrangiato e crea un simpatico mélange tra testi moderni e atmosfera d’antan. Le otto tracce del disco, dai tre ai nove minuti di durata, hanno un gusto fresco eppure classico, un rock’n’roll positivo e ottimista, che racconta di migrazioni, di digitalizzazione e di computer, come fosse la colonna sonora di una festa di fattoni hippy, amanti della pace e dell’amore universale. Peace and love, sista!!!

Tuttavia, come spesso capita, anche le strade per l’inferno sono lastricate dalle buone intenzioni…per quanto sia un congegno fluido e dal buon appeal, per quanto non abbia difetti apparenti, sia energico e soddisfacente, il disco sembra privo di quel magico ingrediente in grado di trasformare l’ordinario in geniale, un oggetto in una meraviglia che, nel caso della musica, si traduce in una necessità oggettiva di ascolto ripetuto e continuativo. Piuttosto, i Wedge ricadono in una casistica comune, quella del coverage. Sì lo so, questa parola non esiste (non con questo significato), ma come definire il genere al quale appartengono band la cui musica, pur essendo originale, è estremamente simile a quella dei gruppi ispiratori? Tipo gli Audio 2 con Battisti.

“Like No Tomorrow” ha come pubblico elettivo giovani contemporanei all’oscuro dei più grandi capolavori dell’hard rock, ventenni che credono che il mondo inizi e termini con la propria adolescenza, interessati a un aroma più che a una musica. E poiché in questa fase, quella dell’invincibilità, ci siamo passati tutti, è bene che il giudizio sia lieve. Alcuni di loro, i più curiosi, utilizzeranno questo disco come punto di partenza per escursioni con la macchina del tempo alla ricerca delle fonti alle quali abbeverarsi con giusta sete. Gli altri, i poseur e i pigri, si accontenteranno di ciò che arriva in superficie, si innamoreranno dell’aspetto ottimistico e didascalico di queste canzoni, della soddisfacente copula tra analogico e digitale, di canzoni all’insegna de chi vuol esser lieto, sia; di doman non v’è certezza.

A differenza degli originali, che si sono fatti strada dentro le nostre teste con irrisoria semplicità, non è (a mio parere) un lavoro che indurrà a consumarci i timpani con ascolti ossessivi/compulsivi, ma piuttosto un buon balsamo in grado di scaldarci il cuore per un attimo, in una buia giornata invernale. 

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