Impatto Sonoro
Menu

Playlist

I FOUGHT THE NET AND THE NET WON: i limiti della libertà e il dominio dei social

Cancel Culture is bad religion run amuck
Nick Cave

Ne avete letto tutti, la vicenda che coinvolge Marilyn Manson ed Evan Rachel Wood è solo l’ultima delle tante ultimamente rese pubbliche e divenute fatti di cronaca. Non approfondiremo la questione in sé solo perché la rete già pullula di ogni tipo di informazione riguardante l’accadimento. Ecco, la Rete. Il punto di questo articolo è proprio quello. Il modo che ha la Rete, da qualche anno a questa parte, di sostituirsi alla giustizia, creandosene una tutta sua, divenendo una sorta di tribunale inappellabile fatto di notizie che si rincorrono, a corollario della notizia principale.

Post, tweet, retweet, un vortice di cannibalismo mediatico che distorce e condiziona il senso di giustizia dei fruitori della Rete, univoco e volto esclusivamente a rendersi partecipi di qualcosa che non compete loro, spingendosi perfino a rinnegare di essere mai stati fan di questo o quell’artista. L’importante, è che il crimine, o supposto tale (saranno gli inquirenti a decidere, la giustizia, quella vera, non noi o voi, non un sito o chiunque altro) sia relevant sui social media, altrimenti è come se non fosse mai accaduto.

La giustizia, quella vera

Quanto alla possibilità di continuare a godere del lavoro artistico di individui che hanno commesso – effettivamente, con condanne sul groppone – crimini di varia portata, vi sembra un comportamento corretto? Per noi sì. È un mero punto di vista, come pensare che la cancel culture sia una piaga.

Non ce ne vogliano i colleghi che nei mesi scorsi ad esempio hanno deciso di prendere le distanze pubblicamente da Burzum, annunciando di cancellare dalle proprie pagine ogni riferimento all’artista in questione, perfino recensioni o articoli sui suoi vecchi dischi. Capiamo la scelta, quasi sempre obbligata, d’altronde viviamo in Rete, lavoriamo in Rete, e la Rete non sente ragioni, se il grande pubblico si offende la risposta è cancellare. Riteniamo però difficile comprendere che si debba dire ad alta voce qualcosa che già si sapeva. Parlando di Varg Vikernes, la scoperta dell’acqua calda del suo essere razzista e sostanzialmente un pazzo è diventata recentemente novità solo per la Rete generalista, chi lo conosce già sa. Quello che ci lascia di stucco è che, finché essa non se n’è accorta, il fatto che fosse un omicida sia stato ampiamente ignorato, o derubricato. Nessuno si vergognava di ascoltare i suoi album, né di sghignazzare osservando i vari meme che lo ritraevano. Anche noi ci siamo visti costretti a farne a meno, a malincuore, ma non prenderemo mai le distanze da un cazzo di nulla.

Trve Norwegian Jail Metal

Il punto focale del discorso cade sul fatto che, deo gratias, tutto ciò cui stiamo assistendo, almeno in campo musicale, non è retroattivo, altrimenti ci troveremmo davanti al più grande esercizio di censura mai visto prima. La follia è che è lo stesso pubblico che all’epoca sbalordiva dinnanzi agli atti censori in campo musicale, anche quando album, artisti, singole canzoni o video erano pieni zeppi di riferimenti sessuali, non sempre lusinghieri, oggi non perde occasione di indignarsi per i motivi opposti.

Viene da chiedersi: come selezionate di cosa vergognarvi oppure no? Burzum, vergogna. Phil Anselmo? Non mi pare. Marilyn Manson? Dischi gettati nel cesso, subito. Queens Of The Stone Age? Pare che il fatto che Nick Oliveri sia stato arrestato e condannato per violenza domestica (e abbia scontato una pena derivata dal patteggiamento) e che Josh Homme sia stato ripreso diverse volte mentre metteva le mani addosso ai fan o a distruggere l’attrezzatura di chi era lì per fotografarlo, quindi per lavorare, non abbiano intaccato l’amore pubblico per “Songs For The Deaf“. Noir Désir? Il fatto che Bertrand Cantat (per i più distratti era il cantante della band francese) abbia tolto la vita alla moglie non vi impedisce di riempire di like chiunque posti Le vent nous portera. E non potreste trovarci più d’accordo di così. Fatelo, perché è una canzone splendida.

Le vent nous portera…in galera

E continuate anche a leggere Burroughs e Bukowski, pur ricordandovi che il primo si è reso colpevole dell’omicidio della moglie e il secondo, in mezzo a una sterminata quantità di capolavori, scrisse diversi racconti di stampo sessista. La lista è lunga, molto lunga.

Qui a casa nostra, tutti ad esempio ci siamo un po’ risentiti della foto di Giovanni Lindo Ferretti al fianco di Giorgia Meloni, ma questo suo cambio di casacca (vero fino ad un certo punto, soprattutto per quanto riguarda la faccenda religiosa) non ci ha portato a smettere di ascoltare i CCCP o i CSI, non ci abbiamo pensato nemmeno per un istante, anzi, giustamente le due band continuano a suscitare fascino e interesse, macinare like sui social, eppure abbracciare Giorgia Meloni ha un significato tutto tranne che nascosto: significa appoggiare, fisicamente, un pensiero che nessuno ha timore di bollare come neo-fascista. Il video incriminato di Burzum però ha più peso. Molto più peso, almeno per la rete, almeno per la cancel culture. E ci dà persino noia chiamarla così, sarebbe meglio definirla ipocrisia, perché lo è, a conti fatti.

Fedeli alla linea anche quando non c’è

Perché ipocrisia? Perché tutto gira attorno a feed e trend, anche quando un pensiero è giusto, sensato. Condannare sessismo e razzismo è ciò che, da sempre, la controcultura ha fatto. Cos’altro ha fatto, la controcultura, dagli anni ’60 a questa parte? Liberare l’arte dalle catene della pudicizia, del perbenismo di facciata. Cos’è tornato in auge oggi? Proprio quel perbenismo di facciata che per anni e anni abbiamo criticato.

Se questo atteggiamento fosse stato il medesimo anche in passato nessuno avrebbe perdonato il periodo “fascista” di David Bowie, o smesso di ascoltare Paint It Black dopo aver scoperto le foto di Brian Jones in uniforme nazista, accusato Zappa di sessismo per i continui riferimenti al sesso, anche poco edificanti (secondo gli standard attuali), nonostante il pentimento dei Beastie Boys si sarebbero bruciate in piazza le copie di “Licensed To Ill” (nel loro libro donne, femministe, ragionano sulla cosa e dicono “il disco è comunque bellissimo”, invitando a ragionare, contestualizzare), Eminem non sarebbe campione di incassi in streaming, eppure i suoi primi testi erano roba da “white trash”, perfetti per gli elettori di Trump, Courtney Love la lascerei fuori, viene mal vista da sempre, eppure la si critica anche per i suoi modi discinti sul palco (perdendo di vista il punto focale), anzi no, la inseriamo proprio per questo.

Ma no signor Bowie, non faccia gesti

Potremmo andare avanti per settimane a fare esempi di cose che la Rete ritiene essere dannose, ma forse pure a ragione, perché abbiamo seriamente perso la capacità di comprendere e contestualizzare, di ragionare e informarci.

Va ribadito un’altra volta, non stiamo difendendo nessuno. Come dicevamo, saranno gli inquirenti e la giustizia a decidere per gli atti perpetrati da taluni personaggi. Ciò che invece queste persone (in molti casi condannabili e in effetti condannate) hanno creato, eccome se lo difendiamo. Anzi, vi sfidiamo con una playlist piena zeppa di canzoni che oggi la Rete e il terribile tribunale dei Social condannerebbero per le azioni nefande dei loro creatori o più semplicemente per i loro contenuti sconvenienti. Che farete? La metterete su?

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati