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Benvenuti al “Morrison Hotel”, la tempesta è inclusa nel soggiorno

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Alla vigilia delle registrazioni di “Morrison Hotel“, i Doors erano davvero quattro Cavalieri nella Tempesta. In particolare, Jim Morrison era ormai considerato l’uomo più pericoloso d’America, il nemico pubblico numero uno, il Lucifero del rock’n’roll. I fatti del Dinner Key di Miami seguivano i Doors come uno spettro: Morrison era entrato in scena completamente ubriaco, e sul palco aveva trasformato il concerto in un personale e deviato  ‘breviario del caos’. Seguirono denunce per oltraggio al pubblico pudore, ubriachezza, blasfemia, atti osceni e una “marcia per la decenza pubblica” organizzata dal conduttore Jackie Gleason, con l’approvazione di Nixon. L’anima puritana d’America gli aveva messo l’FBI alle costole, alcune radio non passavano più i pezzi del gruppo, tutte le date dei concerti erano state annullate, e i fan erano rimasti delusi dal precedente “The Soft Parade“, un album che aveva snaturato l’essenza della band nel tentativo di correre dietro a “Sgt. Pepper ” dei Beatles. Una rock’n’roll band sull’orlo di una crisi di nervi, più o meno, e un Morrison ormai vicino all’ultimo capitolo del proprio ‘manuale dell’autodistruzione’. Nonostante la situazione da purgatorio, i Doors di “Morrison Hotel” si fermarono giusto a pochi passi dal capolavoro.

Morrison Hotel” aveva poco di psichedelico e masticava il rock-blues come ai vecchi tempi, senza però le allucinazioni perverse e disperate dell’epocale esordio, e per certi versi fu la loro Notte Stellata. L’album conteneva anche alcune delle loro migliori canzoni, a cominciare dallo sballo garage-boogie di Roadhouse Blues, con Morrison che celebrava le promesse di libertà della strada e della notte, e spalancava la visione di un triste presagio  :”…il futuro è incerto e la fine sempre vicina…”. Robby Krieger suonava il riff di chitarra come se da un momento all’altro qualcuno dovesse tagliargli le mani, e Ray Manzarek portava il piano tack dei Beach Boys dalla spiaggia al deserto. I Doors non avevano mai suonato così bene. Nell’incanto romantico di Queen Of The Highway Jim Morrison si nutriva di una malinconia senza veli, col wurlitzer di Manzarek che inseguiva la consolazione di una ballata jazz. Si parlava di una principessa e di un mostro vestito di pelle nera: lei era Pamela Courson, compagna storica di Jim Morrison. Indian Summer era distesa e sognante, con Morrison che cantava languido protetto da una melodia da cielo stellato, come pure in Blue Sunday, una serenata scandita dalle spazzole soffici del batterista John Densmore.

Il suono funky della grandiosa Peace Frog mischiava cronaca e poesia. Partiva dagli incidenti avvenuti alla convention democratica del ’68 a Chicago, e arrivava a rievocare un episodio avvenuto quando, da bambino, Jim Morrison aveva assistito ad un incidente ad un camion pieno di lavoratori indiani. L’immagine di quei corpi sparsi ovunque sulla strada che stavano sanguinando a morte accompagnò per sempre il cantante, che tempo dopo raccontò : “…. io ero solo un bambino, e un bambino è come un fiore con la testa scossa dal vento… penso davvero che in quel momento l’anima di uno di quegli indiani, o forse gli spiriti di molti di loro stessero correndo in giro come impazziti e siano balzati nella mia testa e io ero come una spugna pronta ad assorbirli…..”.

Waiting For The Sun era misteriosa ed ipnotica, una canzone che aveva a che fare con la primavera e la rinascita, guardava al cielo e aspettava il sole per spalancare un varco nel buio.You make Me Real era un blues’n’roll sbruffone che implorava amore e Ship Of Fools dava uno sguardo acido alla follia autodistruttiva del genere umano. Ai Doors era piaciuta molto la copertina del primo disco di Crosby, Stills & Nash seduti sul divano e così decisero di fare qualcosa del genere. Ray Manzarek individuò una locanda economica al 1246 di South Hope Street a Los Angeles che incredibilmente si chiamava proprio Morrison Hotel. Il fotografo Henry Diltz fece il resto. Dopo il servizio fotografico i Doors andarono a bere qualcosa all’Hard Rock Café, dove vennero scattate le foto per il retrocopertina.

Morrison Hotel” era un road trip che finiva dalle parti di Laurel Canyon, in una locanda dove servivano la birra migliore della città e un vecchio jukebox mandava il blues di un angelo bello e dannato che aveva sfidato gli dèi.

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