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Interviste

Mondi lontanissimi: il multiverso pulsante di Bruno Dorella

Una delle costanti dei chiacchiericci da club musicale è quanto sia empiricamente impossibile, almeno in Italia, mantenere un’integrità musicale, critica ed umana attraverso i decenni ed uscirne vivi. Bruno Dorella è la dimostrazione vivente che il perseguire e nutrire le proprie pulsioni artistiche, per quanto assurde e virtualmente distanti possano essere fra loro, e farne un lavoro, è possibile.

Lo sgusciare costantemente fuori dalle bolle delle definizioni, l’essere al di là di una visione insiemistica del mondo musicale, dove tutto viene spremuto e filtrato dagli algoritmi, viene in qualche modo chimicamente sintetizzato e riversato nell’esperienza creativa, trovando via via nuova sagome di incarnazione.

Bruno Dorella resiste da sempre e per sempre all’usura del tempo, sembra anzi che con gli anni l’urgenza della sperimentazione (ovvero di sperimentare se stessi per espandersi ed esplorarsi dal di fuori e dal di dentro) si sia fatta ancora più monolitica e radicale. C’è qualcosa di sciamanico nell’estetica musicale di Bruno Dorella, qualcosa che somiglia ad un’impellenza ancestrale che si materializza ed invigorisce quando scorre il suono. L’Etica/Estetica di Bruno Dorella trova l’apogeo della propria espressione nel suono, nell’esperienza musicale in sé, per sé, ma sopratutto per e con gli altri.

Ma è la dimensione live che disegna lo spazio sacro, dove si (ri)trova sempre (in ognuno dei suoi progetti) la stessa passione incendiaria, manifestata al suo massimo splendore nella cura del suono, nel senso teatrale della performance, nella comunicazione, nella comunione.

Ciao Bruno e bentrovato sulle pagine di Impatto Sonoro. È stato sicuramente un anno molto difficile da vivere, ed assimilare del tutto. Come hai passato questi ultimi 12 mesi?

Come molti altri musicisti avevo un calendario fittissimo di concerti e progetti, più o meno tutti naufragati a causa della Cosa. Ho fatto in tempo a finire il tour di “Bruto Minore” dei Ronin (almeno la prima parte), e la Cosa è arrivata proprio all’inizio del tour di “Miasma” degli OvO, che era appena uscito. Siamo riusciti a suonare fino all’ultimo giorno possibile in Italia, Francia e Belgio, ma poi abbiamo dovuto arrenderci e rientrare, perdendo almeno 60 date. Ho passato bene il primo lockdown. Nelle nostre vite frenetiche e stressanti, trovarmi obbligato a fermarmi, per quanto doloroso a livello musicale, mi ha fatto anche bene. Ho colmato una lacuna professionale importante, ovvero ho imparato a usare un software per produrre musica, ho messo ordine nel mio catalogo digitale, insomma ho fatto cose utili che richiedono tanto tempo a casa, un lusso che non avevo mai avuto. Anche l’estate è stata bella, vivo al mare, quindi ho potuto andarci ogni giorno, e ho suonato tutto sommato abbastanza. A posteriori posso anche dire che, sebbene non tutti i concerti fossero in condizioni ottimali, e sebbene il pubblico seduto e distanziato fosse straniante (soprattutto per gli OvO), sono felicissimo di averli fatti, per come poi sono andate le cose. Mi ero poi organizzato un autunno live bello intenso, ho suonato fino all’ultimo giorno utile, e poi è finita, la Cosa ha vinto di nuovo. Quei concerti che ho fatto tra il 30 Giugno e il 24 Ottobre non me li dimenticherò mai. Il secondo lockdown mi ha beccato molto peggio, non se ne vede la fine, e quando si tornerà a suonare questa volta si dovranno fare i conti con tantissime realtà che non avranno potuto reggere a un’inattività così prolungata (e non sostenuta dalle istituzioni), e avranno chiuso.

Tiresia – foto: Andrea Fiumana

7 band attive contemporaneamente e 2 progetti solisti. Come si gestisce questa vita?

Me lo chiedono spesso, ma guarda, senza figli, e con la fortuna di poterlo fare come lavoro, non è così difficile. Non ricordo dove ho letto una dichiarazione di Ennio Morricone in cui gli chiedevano qualcosa di simile, e lui ricordava i ritmi di lavoro a cui doveva sottostare Johann Sebastian Bach, concludendo di essere praticamente un disoccupato, se paragonato al maestro tedesco. Ecco, senza volermi accostare a nomi così fuori portata, ti dico che la mia indole è paradossalmente pigra. Mi piace quello che faccio, e quello che mi piace è tutto ciò che so fare. Sono una totale nullità in ogni aspetto pratico della vita, ma ho innegabilmente una visione musicale molto lucida e una quantità apparentemente inesauribile di idee. Per la precisione i progetti attivi sono 8 (Bachi Da Pietra, GDG Modern Trio, Jack Cannon, OvO, Ronin, Sigillum S, Tiresia, e quello a mio nome) e ti dico che portarli avanti è un piacere, e se potrò ne farò ancora altri. Anzi, non solo ti dico che quello che faccio è solo una piccola parte di quello che vorrei fare, ma ti annuncio anche la nascita di un nuovo progetto. La neonata label Osci Edizioni ha appena fatto uscire una compilation (Boarding Songs) che battezza il mio duo con Giovanni Lami, chiamato CADE.

I tuoi progetti nascono per essere organismi mutanti pronti a cambiare pelle o c’è un processo/progetto filosofico ben preciso dietro ad ognuno di essi?

Chiariamo innanzitutto che tutti i progetti sono molto diversi l’uno dall’altro. Non mi piace riciclarmi cambiando nome ma riproponendo la stessa zuppa con un’altra spezia. Suono generi e strumenti molto diversi nei vari gruppi. Banalmente, se voglio iniziare un nuovo progetto in un genere e/o con uno strumento che ancora non ho affrontato, avrò bisogno di farlo con persone nuove, e questo automaticamente darà vita a una nuova creatura. Invece per i miei progetti solisti è determinante il processo, ma anche l’esigenza intima che me li fa intraprendere. Jack Cannon ha un suo peculiare percorso mentale e un suo proprio processo creativo che non riconosco nei miei altri, deve per forza essere una cosa a sé. Ronin ha anche un suo processo preciso. Aggiungi che non sono particolarmente interessato a fare dischi a mio nome. Non voglio che la gente segua me, ma i diversi progetti. Quando mi dicono “non riesco a seguire i progetti di Bruno Dorella” il mio conto in banca piange, ma una parte della mia intima essenza è felice. Voglio che la gente segua gli OvO, o i GDG Modern Trio, o qualunque dei miei gruppi, perché gli piacciono, non perché ci suono io. Infine considera anche la longevità di alcuni progetti: 20 anni gli OvO, 19 i Ronin, 16 i Bachi Da Pietra, 35 i Sigillum S (in cui suono “solo” da 6..). E’ naturale che ci sia un’evoluzione, e che si cambi pelle, sia a livello creativo, sia di line-up (ne so qualcosa coi Ronin..). Insomma, le variabili sono tante, ma le idee sono di più, per cui non mi preoccupo.

GDG Modern Trio foto: Enrico Martinelli

Mi sembra che il denominatore comune di tutti i tuoi lavori sia l’attenzione certosina al dettaglio, in ogni tuo disco si sente la dedizione totale alla cura del progetto in corso. È una cosa che ti viene naturale o un lavoro che richiede un metodo?

Dipende. Negli anni ho acquisito esperienza e ho capito che a volte nei dettagli ci si perde. Ho rovinato dei dischi per star dietro ai dannati dettagli. A volte è meglio lasciarli andare e rimanere focalizzati sull’insieme. La dedizione totale c’è sempre, ho un approccio sempre molto attento e a volte anche maniacale, ma ho anche imparato a mollare ogni tanto. Ne traggono giovamento la salute mentale, i rapporti con gli altri e, alla fine, anche i dischi.

Che consigli daresti ad un neofita che vuole approcciarsi alla tua discografia? Da dove cominciare? Ci consigli un titolo per ogni progetto?

Gli auguro buona fortuna, innanzitutto. Comunque in generale direi di partire dai Ronin, magari da uno dei “brutti anatroccoli” che hanno ingiustamente avuto meno attenzione dalla critica, come “L’Ultimo Re”. Poi passare ai Bachi Da Pietra, un disco della fase “sussurrata” (direi “Non Io”) e uno di quella “urlata” (forse “Quintale”). Quindi provare il salto nel vuoto con gli OvO, certamente la fase recente, quella in cui abbiamo dato ai dischi la stessa attenzione che dedicavamo ai live, a partire dunque da “Abisso”. Hai visto che bravo? Non ho mai detto “l’ultimo album”! Cosa che invece devo fare per gli altri progetti, perché al momento con tutti loro ne ho fatto uno solo, anche se tutti hanno il nuovo disco in lavorazione. Quindi “The Art Of Space Colonization” dei Sigillum S, “1/4inch-XLR” di Jack Cannon, “Spazio 1918” di GDG Modern Trio, “Estatico” di Tiresia e “Concerto Per Chitarra Solitaria” a mio nome.

Ronin – foto: Christoph Brehme

Quali sono gli artisti che hanno segnato la tua formazione adolescenziale? C’è un artista in particolare che ti ha fatto decidere di diventare musicista?

Mio cugino Mauro a 11 anni mi regala una chitarra classica e una cassetta degli U2 (War da un lato, Unforgettable Fire all’altro). Da lì inizia tutto, ho la perfetta, esatta consapevolezza che farò quello nella vita. Il mio sogno è imparare l’arpeggio di Sunday Bloody Sunday. Siccome sei mesi dopo lo so fare, decido di provare con qualcosa di mio, e formo la mia prima band, durata due prove. Intanto ascolto gli Iron Maiden suonando la batteria su materasso e cuscini, ignaro del fatto di star sviluppando proprio quella tecnica che uso ancora oggi: tutta con le mani. A 19 anni, dopo il naufragio di una band promettente in cui suono, sbando nelle mie convinzioni e appendo la chitarra al chiodo. Tutti i miei idoli a 19 anni avevano già fatto il primo disco, io ormai sono vecchio. Per fortuna però quell’anno esce “Souls At Zero” dei Neurosis. E mi si apre davanti il suono che sognavo, e che credevo non esistesse. Capisco che si può fare qualunque tipo di musica, basta immaginarlo. Riprendo fiducia. Vado a vedere qualunque concerto, ma non ho più una band. Nel 1997 mi propongono di suonare la batteria nei Wolfango. Le mie uniche esperienze sono il materasso con gli iron Maiden e qualche minuto strappato ai batteristi dei miei ex gruppi durante le pause in sala prove. Ai Wolfango vado bene così. Però, siccome sono piuttosto scarso, devo trovare un mio suono. Per fare qualche soldo lavoro come facchino a concerti, fiere e traslochi. In un trasloco la cliente ci dice “potete tenervi i dischi, ingombrano troppo, io ho ricomprato tutto in cd”. Tra le varie chicche che eredito c’è “No New York”. Mai sentito niente del genere. Quando sento i Teenage Jesus And The Jerks ho l’illuminazione: sembro io! Suono tribale, adrenalina punk, niente cassa. Ho trovato il sound del Bruno Dorella batterista. Riassumendo dunque: U2, Iron Maiden, Neurosis, Teenage Jesus And The Jerks sono state le svolte fondamentali.

C’è qualcosa che senti di non aver ancora compiuto a livello artistico? Qualche identità sonora che hai a cuore ed alla quale vorresti approcciarti?

Ho un elenco in continua evoluzione di cose che ho iniziato o vorrei iniziare a fare. Lunghissimo. Ci sono decine e decine di idee che non ho ancora sviluppato, e anche qualche follia. Ne prendo una a caso dall’elenco: un disco di improvvisazione per piccola orchestra, in cui i musicisti conoscano la tonalità (o il modo) dei brani, il tempo, ma non il tema portante, che conoscerei solo io. Cazzata? Può darsi. Ma vorrei vedere in che direzione andrebbero loro, rispetto a quella che avevo stabilito io. Cose così. Ne ho anche di più sensate, eh. Ma anche di più bizzarre.

Riascolti mai i tuoi dischi?

Per un po’ devo staccare. Dopo averli pensati, suonati, registrati, mixati, masterizzati, provati per il live, suonati.. Devono starmi lontano almeno un paio d’anni. Poi riesco a riapprezzarli. Un’importante eccezione è stata il disco di Jack Cannon, il primo in assoluto che io abbia fatto totalmente in solitario. Ho continuato ad ascoltarlo sin da subito, non mi ha mai annoiato o infastidito, credo proprio che tutto sia come doveva essere, almeno per me. A volte è sorprendente riascoltarne alcuni dopo 15, 20 anni. Alcune cose che trovavo imbarazzanti ora sembrano una bella fotografia di quello che ero, del mio percorso. Altre cose che trovavo grandiose ora suonano ingenue o datate.

OvO – foto: Erika Schneider

I tuoi progetti si sono spesso intrecciati col mondo del cinema. È un ambito che segui? C’è qualche film che ti è piaciuto negli ultimi anni?

Mi piacerebbe seguirlo di più, ma adoro il cinema e adoro lavorare sulla musica per film. Negli ultimi anni tanta roba ottima arriva dall’Oriente, in particolare dalla Corea e Taiwan, con i film di Chung Mong-hong (A Sun), Kim Sung-hoon (Rampant), Yeon Sang-ho (Train to Busan / Peninsula), Bong Joon-ho (Parasite). Ho scoperto i film italiani dei fratelli D’Innocenzo (Favolacce) e quelli americani dei fratelli Safdie (Uncut Gems). Ora molte risorse ed energie si sono spostate sulle serie. Mi piacerebbe provare anche lì, capire come funziona questo contesto più dilatato (più puntate, una durata complessiva di solito oltre le 5 ore) ma anche più ristretto (una puntata dura meno di un’ora).

Ci sono dei registi per i quali faresti colonne sonore ad occhi chiusi?

Mi piacerebbe lavorare con bravi registi italiani come Crialese, Garrone, Sorrentino, o i già citati D’Innocenzo, si fa ancora tanto cinema importante in Italia. Poi ok, se la domanda ammette anche il sogno a occhi aperti ci sono anche Lynch, Jarmusch, Tarantino, i Fratelli Coen, Clint Eastwood, Zhang Yimou… Sto esagerando, fermami.

A questo punto ti chiederei anche di consigliarci qualche disco che ti ha colpito dell’anno appena concluso.

Ti dico quelli che mi vengono in mente perché odio le classifiche. Sono usciti tanti bei dischi di roba pesa. Da Lord Mantis a Coilguns, da Pigs Pigs Pigs ecc a Vile Creature, da Necrot a Venomous Concept, da Ulthar a Uniform, da Mortiferum a Wake. Il mondo si è accorto di Nyege Nyege grazie ai Duma (o viceversa). Tra la roba hip hop mi sono piaciuti molto Vegyn, il nuovo Shabazz Palaces, anche Run The Jewels ok, anche se è stato troppo sbandierato. Ovviamente l’ondata BLM ha portato molta visibilità, anche hipster, alla black music. Alcune cose sono state anche sopravvalutate, credo, mentre ho amato molto i lavori di Makaya Mc Craven, Thundercat, e nel jazz Nubya Garcia (ma anche Rob Mazurek, che è bianco). A proposito, dal Giappone nel jazz molto interessanti Bonjintan e il duo di Grubbs con Taku Unami. Tra le cose hipster innegabilmente ottimi i dischi di King Krule, Fiona Apple, Torres, Bedroom. Le mie cose preferite però sono successe nel mondo elettronico, anche con piglio dance. Dalla Danimarca Nuri e Whomadewho, poi Black Meteoric Star, il vecchio Robert Hood che ancora non ne sbaglia una, Flore, ma soprattutto i nuovi Amnesia Scanner e Rival Consoles, che hanno diviso i fan della prima ora, ma a me sono piaciuti immensamente. Non cito gli italiani perché sono tutti amici e non sarei lucido nelle scelte.

Pensi che tutto questo tempo passato nell’impossibilità di fruire di concerti/mostre/rappresentazioni teatrali/possibilità di stare in una sala cinematografica stiano disabituando le persone alla pratica di queste attività o ne stia fomentando il desiderio?

Mi piacerebbe poter dire il contrario, ma purtroppo temo che stia disabituando la gente ad andare di persona a vedere le cose. Era già una tendenza in atto prima, anche se alcuni dati opportunamente manipolati cercavano di dimostrare il contrario. Soprattutto il mondo delle piccole produzioni (piccoli concerti, mostre off, film indipendenti, teatro contemporaneo, ecc) stava agonizzando. Chissenefrega se la gente era attratta dai grandi eventi. Il mondo dell’arte più vitale stava già agonizzando. Quindi temo il peggio quando torneremo alla “nuova normalità”. Logico che l’arte non morirà, la musica non morirà. Ma dovrà adeguarsi a un post, che al momento non saprei prevedere.

Grazie per il tuo tempo!

Grazie per la tua passione, so che è reale e quindi preziosa.

Jack Cannon – foto: Fabrizio Testa

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