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LÜT – Mersmak

2021 - Indie Recordings
punk rock / power pop

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Tracklist

1. Mersmak
2. Strictly Business
3. LÜTetro
4. Ingenting Å angre På
5. Bangkok NonStop
6. We Will Save Scandirock
7. Homme fatale
8. VIEPÅ
9. Krei.
10. INDIÄ


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Ora che l’onda lunga del rock scandinavo si sta dissipando, con i Turbonegro allo sbando, il loro ex-cantante non messo tanto meglio con un mediocre progetto che pare più un tributo ad Alice Cooper che altro, Hellacopters e Gluecifer sepolti da un pezzo e i Kvelertak persi in se stessi (e anche qui l’ex-cantante della band Herlen Hjelvik ha dato in testa, votandosi al viking metal più telefonato dell’universo) tocca ad altri riportare la luce sulle fredde lande norvegesi.

Altri chi? I LÜT. Scoperti per caso – come spesso accade per le migliori cose in assoluto – e qui giunti al loro secondo album, sconosciuti ovunque (ma non sfuggiti a quello spulcione di Lars Ulrich che ne elogiò il debutto ed a Nate Newton dei Converge che li inserisce tra i suoi migliori ascolti del 2020), figurarsi a queste latitudini col rock in generale ridotto ad una barzelletta da reality show in prima serata o una boutade social, in patria si sono presi una nomination ai Grammy, perché non è raro che in certi Paesi la musica, seppur “alternativa” non sia solo più un epiteto da quattro soldi e venga presa sul serio.

Mersmak, però, non è una copia carbone di ciò che fu il genere tra ’90 e primi ’00, ma un misto sfiancante di quanta più roba possibile, ovviamente il tutto imperniato sul chitarrismo, che non vuol dire riffoni tirati e basta, ma tutto un ventaglio di situazione assurde. Non si prendono sul serio, questi norreni, ma quel che suonano è ciò che di più serio si possa trovare. Il rock dorme? E loro lo svegliano, stuzzicandolo con gigatoni di pop-punk, punk rock e basculanti ramate hardcore, di quello che all’ottantiana lotta preferisce il cazzarismo degli anni Novanta ma comunque pungente.

La title track ha i corettoni presi in prestito dai Bad Religion e il sole della California (parte dell’album è stata registrata proprio lì, come dimostra pure la copertina) che si staglia sugli assoli fuzz e Bangkok Nonstop (titolo spaziale) picchia sui denti e si veste di un manto epico, una pelliccia glitterata, cosa che non fa l’arrembante Strictly Business, che pare più un proiettile punkettone che si pianta dritto nel cuore, al contrario di Homme Fatale, che se fossimo nel 1995 in Inghilterra vedremmo schizzare su in classifica appena dietro a Charmless Man, Disco 2000 e Don’t Look Back In Anger.

Il bello è che se le backing vocals sono classiche e ben calibrate, la voce principale è sgraziata all’estremo (ma non immaginate la virulenza di Hjelvik, anche se l’idea è quella), eppure funziona anche nelle situazioni più marcatamente pop, tipo VIEPÅ, dal refrain che trasuda malinconia o We Will Save Scandirock, che lì per lì potrebbe sembrare una sparata a dir poco sfacciata ma che, finito l’album, vi sembrerà la verità pura e semplice: i LÜT sono qui per salvare qualcosa dal dimenticatoio. Ce la faranno? Ascoltate INDIÄ e conoscerete la risposta.

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