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Back In Time

“To Record Only Water For Ten Days”, alla fonte della luce e del futuro

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Non è dalla nascita dei social che i fan si interessano più della vicenda umana di una rockstar (o sedicente tale) che della discografia. John Frusciante è l’emblema di questo modo di farsi i cazzi altrui: con la scusa del personaggio pubblico i fan, che di norma sono quelli classici dei RHCP, troppo appiattiti sul corpus della band di Kiedis (che più altalenante non si può e, ad un certo punto, anche noiosa come il sermone di un prete di 200 anni per gamba, per di più ubriaco, la domenica mattina) per accorgersi di qualsiasi altra cosa, come i solisti del Fruscio o di Flea. Aggiungeteci pure la stampa, che gli scribacchini hanno sempre pronto in canna un paio di articoli preimpostati recitanti “John Frusciante è di nuovo uscito dal gruppo” e “Frusciante rientra nei Red Hot” e avrete un quadro completo, ah, sì, a parte il famoso libro di un famoso scrittore italiano che, ad oggi, non comprendo come abbia fatto a raggiungere un tale successo.

Non offendetevi, e se lo fate, oh beh, sapete perfettamente che ho ragione, e incazzandovi mi darete ragione. Ciò detto, ogni volta che John si prende del tempo per se stesso e per le proprie personali inclinazioni artistiche, lo fa con gran stupore di chiunque vada oltre l’universo simil-funk e kiedisiano, al punto da creare un suo spazio personale, e un seguito collaterale. Quando la vita si insinua (al di là di fan impazziti e stampa di settore avida di scoop) nei dischi di un artista crea situazioni capaci di arricchire un discorso: se “Niandra LaDes And Usually Just A T-Shirt” mostrava al mondo l’amore di John per Daniel Johnston e il periodo difficile legato all’eroina e ad una condizione mentale sul filo del rasoio, il momento in dà vita a “To Record Only Water Of Ten Days” è quello della svolta umana, in cui i demoni sono alle spalle e lo spirito si rinnova, trovando un suo posto nel mondo che non guardi dritto in faccia alla fine. Ricordo un’intervista su MTV, di quel periodo, in cui il chitarrista rispondeva laconico ma sorridente all’intervistatrice che aveva chiuso con la droga, ma sentiva la voce degli spiriti. Beh, qualcosa era rimasto, e qualcosa tornava e si muoveva avanti.

Qui si definisce il sound frusciantiano, quei cori che nella band madre fanno da contraltare al resto finalmente prendono forma definitiva, dando luogo a qualcosa di splendido. Non è sopito l’amore per Johnston, ma si tramuta in qualcosa di più raffinato, completo, incantevole, persino. Ci sono tanti mostri, alle spalle di Frusciante, e nell’acqua diluiscono la propria esistenza. Si isola, John, e isolandosi, con un registratore da quattro soldi li guarda tutti negli occhi, lo sguardo che si perde fuori dalla finestra a chi attende il malanno, canta “Leave my lonely mind a cell / Keep flowing on a drill / I keep holding on to myself”. Le chitarre elettriche si fanno distanti, il lo-fi una religione tutta sua, l’elettronica si insinua, la voce un tocco di spettri lontani, leggera, sofferta, innamorata, disincantata, disperata. Non sembra nemmeno membro di una delle band rock più blasonate e ricche del pianeta quando, su Remain, si strugge “I can’t go on, I’m lost / I’ll be there turning on and off”, mentre attorno si aprono parentesi sintetiche tra techno e kraut (tornerà, con Trickfinger e l’album “Maya”, e i fan lo insulteranno, dimentichi del passato, o forse mai interessati, fissati con ‘ste chitarre).

Going Inside, poi, è John che ti osserva e rassicura, che non importa quanto tu sia lento, quanto tu non ce la faccia, c’è sempre altro fuori di qui, e la musica si fa infinità, infatti è un singolo, quello con cui anche io, nel lontanissimo 2001 venivo introdotto al suo mondo, che m’interessava molto di più della californicazione. Gli incontri, nella sua vita, implicano un intreccio, qui con Vincent Gallo, come lui già eroe sotterraneo di tutta una schiera di alternativi, e si influenzeranno a vicenda, qui i video girati dal regista per Frusciante, di là Frusciante che si infila nelle sonorità di “When”, uno scambio più che equo. Influenze inaspettate, come quelle che si rincorrono su Fallout, prima radioheadiana (qualche tempo dopo ammise di essere fan della band di Yorke, il quale selezionerà un altro Red Hot per i suoi Atom For Peace, e il cerchio si chiude) e poi depechemodismo, in un mare acustico e raggiante, specchio della solitudine amara di With No One e il consiglio di lasciar andare quello che non c’è, distante, passato, per una nuova esistenza.

Così sono passati vent’anni da quando il nuovo Frusciante si è mostrato al mondo, registrando solo acqua per dieci giorni, e l’acqua, si sa, è necessaria per la vita, lava via tutto, anche solo qualche goccia può salvarti. E in questo disco c’è un immenso fiume a cui dissetarsi, su cui navigare dando un’occhiata a riva, voce, chitarra, drum machine e la tempesta alle spalle. Che importa se è dentro o fuori, importa che ci sia. E John c’era, e c’è ancora.

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