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Tash Sultana – Terra Firma

2021 - Sony Music
indie / songwriting

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Tracklist

1. Musk
2. Crop Circles
3. Greed
4. Beyond the Pine
5. Pretty Lady
6. Dream My Life Away (feat. Josh Cashman)
7. Maybe You've Changed
8. Coma
9. Blame It On Society
10. Sweet & Dandy
11. Willow Tree (feat. Jerome Farah)
12. Vanilla Honey
13. Let the Light In
14. I Am Free


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Quando un artista fa il botto al debutto, si dice sempre che la prova successiva è cruciale: ti puoi confermare o ti puoi bruciare. Il modo classico per bruciarsi consiste nel ripetere la formula precedente, ma senza la stessa ispirazione. Opzione che molti scelgono perché in fondo e’ la più facile. Tash Sultana decide invece di sparigliare e sorprendere. In questa nuova uscita (la seconda in versione LP), non compare più il multi-strumentista/guitar-hero/one-person-band da cui aspettarsi la performance strabiliante, il solo alla Hendrix, oppure un’altra epica hit per il nuovo millennio (vedi Jungle). No. Siamo approdati su “terra ferma”. Niente più shredding o improvvisazioni (vedi Big Smoke), ma canzoni ben confezionate e prodotte che possono funzionare come lounge music di sottofondo. Un rischio: la musica di sottofondo può diventare irrilevante.

In questo album, Tash assomiglia più ad Alicia Keys che a Jimi Hendrix. In “Terra Firma”, i lick di chitarra appaiono sparsi dappertutto, ma non si cerca più d’impressionare con la tecnica, bensì si punta all’amalgama complessivo dei suoni, alternandosi sotto i riflettori con tastiere e fiati. La voce risalta maggiormente nell’economia complessiva della musica e Sultana sembra aver acquisito più sfumature rispetto al passato: non certo al livello di Alicia Keys, ma i passi avanti si vedono.

La traccia strumentale iniziale Musk ancora mantiene alcuni accenti psichedelici da rock classico cui ci aveva abituati e che ritornano qui e li’ anche nelle tracce successive. Ma, complessivamente, il resto del viaggio suona contemporaneo e innovativo, ad un ascolto attento, tra fusion, R&B, hip-hop. Niente più reggae e il blues e’ più lontano. L’artista si concede anche un paio di collaborazioni esterne per arricchire la propria palette musicale, come in Willow Tree in cui si fa accompagnare dal rapper australiano Jerome Farah.

Dall’album traspaiono maturazione e apparente serenità, delle quali l’artista ringrazia il lockdown: “un sogno avveratosi”, lo descrive. “Guardandomi dentro ho trovato pace”. E racconta di 200 giorni di isolamento nella campagna australiana per creare l’opera. Si concede quindi dei testi molto personali che raccontano dell’amore per la sua compagna (Pretty Lady, Let the Light In), della propria salute mentale (Crop Circles) e di come gestisce fama e successo (Greed). Alcuni brani brillano, con melodie tenere innestate su atmosfere alla Bon Iver: Dream My Life Away ad esempio, rimane impressa dal primo ascolto. L’intero album scorre molto bene, con un flusso organico di suoni, più che in passate prove. Però alcuni brani appaiono superflui. Per muovere un appunto, 60 minuti di musica e 14 tracce sono un po’ ridondanti: ad un certo punto si accusa stanchezza e si rischia, appunto, l’irrilevanza.

Forse è presto per giungere a conclusioni sul risultato complessivo, quindi. Se le prime apparizioni di Tash Sultana, su You Tube ancora prima che su disco, colpivano come un pugno allo stomaco, la musica di “Terra Firma” è fatta per essere assaporata nel tempo. Ma, qualitativamente, ci sembra di poter azzardare che la prova sia stata superata. Se anche l’interesse del pubblico verrà confermato, l’artista australiano vedrà certificata la sua indipendenza artistica dal modello con cui si era imposta. Speriamo che la tournée europea prevista in autunno (una data in Italia) si potrà svolgere. Sultana viaggia ora con una band a supporto, prendendosi un altro rischio, essendo la sua immagine fortemente legata al “one-person-show” che le diede la popolarità iniziale sui social.

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