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Back In Time

“Oversteps” degli Autechre, un luogo costruito a metà

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Che la macchina Autechre sia una solida alternativa al marasma contemporaneo oppure ne costituisca l’espressione più convincente è impasse che si coglie ogni volta che il duo di Rochdale decide di incidere le proprie evoluzioni sonore come lascito per un pubblico che negli anni è diventato sempre più vasto.

Nel fare un passo indietro attraverso la longeva carriera degli Æ non si può non parlare di “Oversteps“, opera particolarissima al tempo, venne dopo l’eccessiva e debilitante ritmicità di “Untitled” e i risultati, forse peggiori, di “Quaristice“.

Ideale collimatore anche dei precedenti “Confield” e “Draft 07.30“, due tra i lavori più discussi e riusciti, il decimo album in studio invidia di questi la complessità compositiva e in minor misura la capacità di emergere con singoli brani, che qui appaiono maggiormente melodici e non più esclusivamente “sismici”.

In “Overtsteps” si ha l’impressione che l’interazione delle atmosfere nasca da una finzione piuttosto che da un’esperienza concreta, i rinvii a sonorità orientaleggianti sono numerosi, ma le texture fisse in informatica non esistono, cosicché ad un iterato ascolto l’album pur sradicandoci dal torpore con brani come inlanders oppure qplay che riecheggiano di emblematicità non estranee ad album precedenti e più osannati, non è comunque capace di far crollare la terra sotto i nostri piedi come in passato.

Se va dato atto che gli Autechre sono riusciti a inasprire il nostro udito, e soprattutto le nostre menti, attraverso un incedere di destrutturazioni definite dalle aritmie anni ’90 e che oggi “Oversteps” viene considerato LP tra i più ricchi dal punto di vista melodico, non si può a posteriori che far emergere unicamente le pluralità coesistenti all’interno del cervello (non) ematico elaborato da Rob Brown e Sean Booth.

L’album del 2010 è infatti un campo minato dove le sinapsi sono rade e mal distribuite, prova di bravura misurata e quindi avara, vive di ascensioni musicali presunte, disseminate qua e là in un sentiero forse troppo tenue, rivelandosi inaddomesticabile e soprattutto poco efficace. Sulle certezze trascorse non cadono che gocce stagnanti e che smussano, senza comunque intagliare, tutti i meriti acquisiti da una carriera, ad oggi, ultra ventennale.

Oversteps” segna perciò un percorso leggermente in salita che si dipana in numerose pause, forse troppe, in cui la mistica dell’ascolto rilassa sì, ma solo nel finale, dove krYlon e Yuop rappresentano gli unici brani significativi, oltre i passi interposti lungo la strada, ma lasciando ai fan l’amarezza di un luogo non completamente raggiunto.

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