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Nick Cave & Warren Ellis – Carnage

2021 - Goliath Records
songwriting

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Tracklist

1. Hand Of God
2. Old Time
3. Carnage
4. White Elephant
5. Albuquerque
6. Lavender Fields
7. Shattered Ground
8. Balcony Man


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Durante il lockdown Nick Cave lo disse chiaramente che non era il momento di mettersi in mostra. Infatti era chiuso in studio con Warren Ellis. “Carnage” nasce nell’alveo dell’isolazionismo forzato, obbligatorio, necessario. I momenti di dolore, personale o collettivo, sono la benzina forzosa di ogni artista con la A, e più ne metti più la macchina correrà, e correrà veloce, se si tratta di questi due signori.

Urgenza come parola d’ordine, unico modo per descrivere un album come “Carnage”. Brutale, dicono loro. Non hanno torto, perché di brutalità è intriso, non ci sono le stratificazioni di “Ghosteen”, men che meno la spettrale dismissione di “Skeleton Tree”, ci sono due uomini che guardano fuori dalla finestra e vedono la Fine. Le storie vengono da sé, con un bel po’ di cinismo, volendo. È il punto chiave di tutto, un uomo sul balcone che scrive, legge e scrive ancora, osserva, ascolta il silenzio, lo abbiamo provato tutti quanti. Lui però scrive, e come scrive Lui, nessuno, o quasi. Questa volta? Come tutte le altre. O quasi.

Della bellezza intrinseca di quei due album, però, qua nemmeno l’ombra. No, non sarebbe possibile, mancano tutti i Bad Seeds, il loro apporto, sebbene le teste coronate e pensanti siano sempre e solo quelle di Cave ed Ellis. Manca anche tutta la fase di creazione, magari lenta, fangosa, dolorosa. No, il dolore non manca. Si sente, forte e chiaro, presente, come sempre, non ha mai abbandonato la testa del Re Inchiostro, e Warren lo sa descrivere, lo mette in atto. Non ci sarà tutto quel che non ci sarà, ma “Carnage” è un pozzo in cui cadere, si tocca il fondo ben presto ma in realtà la caduta è durata secoli. I pezzi compaiono come per magia, vuoi l’esperienza, l’affiatamento, ma eccoli, in fretta, ed eccone altri, più lentamente, ma pur sempre con l’urgenza di cui sopra.

La Venere di Botticelli con un pene che si mostra in White Elephant, pronta a sparare “in your fucking face”, che si fa gospel con le mani al cielo e sessantiana ma solo dopo essere passata al setaccio del serpentino rock sotterraneo che lo ha contraddistinto tante volte in passato, ai bei vecchi tempi di Old Time, atto sensuale (sessuale?), narrazione sporca e beat, ancora qualcosa che striscia e un addio, un motel, un’auto, qualcosa che non tornerà, uomini nuovi per ricordi antichi, e quando al sesso si frappone l’amarezza e l’addio, Shattered Ground s’insinua dolorosa nello spazio tra una lacrima e l’altra, negli occhi mani che salutano per un’ultima volta, la voce si fa rabbiosa, pronta a distruggersi da un momento all’altro. Carnage è uno spazio sconfinato incastonato anch’esso negli antri della memoria, un afflato corale che si riempie di fatalità, nell’ineluttabilità dell’immoto che impregna Albuquerque, come in un film della golden age di Hollywood, tra archi e rimpianti, non si può andare ad Amsterdam né in Africa né ad Albuquerque, a meno che qualcuno non ci prenda per mano e ci porti, lasciando il corpo lì dov’è.

Cave guarda sempre fisso al cielo, che ne discenda l’altissimo o una sua propaggine, come in Hand Of God, o sia un pensiero che ci fulmina, mentre ci viene chiesto come e perché siamo cambiati, Lavender Fields è un altro colpo di bacchetta di Ellis che muove l’orchestra mentre una figura diafana cammina con calma, verso il “kingdom in the sky”, lontano ma non irraggiungibile. Ed eccoli, i balconi, il simbolo della pazzia, è una ballad, Balcony Man, una ballad retrò, da night club all’inferno tra frasi ripetute alla follia, quella follia che chiude la porta dietro di noi, “And what doesn’t kill you just makes you crazier” in un silenzio dopo una tempesta in crescendo. Non piove più, ma il cielo è più nero che mai.

Carnage is coming. Anzi, è già qui.

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