Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

A Winged Victory For The Sullen – Invisible Cities

2021 - Artificial Pinearch Manufacturing
modern classical / ambient

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. So That The City Can Begin To Exist
2. The Celestial City
3. The Dead Outnumber The Living
4. Every Solstice & Equinox
5. Nothing Of The City Touches The Earth
6. Thirteenth Century Travelogue 
7. The Divided City
8. Only Strings And Their Supports Remain 
9. There Is One Of Which You Never Speak 
10. Despair Dialogue 
11. The Merchants Of Seven Nations
12. Desires Are Already Memories 
13. Total Perspective Vortex


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

Marco Polo

Nel 2019 Dustin O’Halloran e Adam Wiltzie, con il loro terzo album “The Undivided Five”, si erano presentati dopo 5 anni sulla scena ambient senza indugi. Ed oggi tornano a farsi sentire, ed ogni volta che questi due signori decidono di produrre qualcosa, beh, bisogna riscrivere il metro di giudizio e spostarlo di qualche centimetro in più.

Ispirati dall’artista Hilma af Klint per la precedente produzione, questa volta fonte di creatività è l’opera di Calvino. Infatti, l’album pubblicato il 26 febbraio scorso, “Invisible Cities”, prende il nome dall’omonimo libro del narratore italiano del ‘900, ed è la colonna sonora per una produzione teatrale multimediale del 2019 commissionata dal Manchester International Festival e diretta da Leo Werner, per la rappresentazione teatrale dell’opera di Calvino.

“Le città invisibili”, pubblicata nel 1972 fa parte del periodo combinatorio dell’autore, la narrativa combinatoria prevede che la posizione centrale è quella del lettore, che “gioca” con l’autore, nella ricerca delle combinazioni interpretative nascoste nella sua opera e nel linguaggio. Ogni capitolo è il dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, il quale chiede a Marco Polo di descrive città del suo impero, alle volte reali altre immaginarie.

Nelle descrizioni fatte dall’esploratore, le città rappresentano la complessità e il disordine della realtà, la sensazione che si ha leggendo quanto narrato da Marco Polo è che il suo intento sia quello di ripristinare un ordine al “caos del reale”. Ma queste città sono anche sogni, le cui fondamenta sono i desideri e le paure, in questa realtà descritta dalle parole instillate da Calvino a Marco Polo, la sfida del lettore è riuscire a cogliere le regole e le prospettive ingannevoli di queste storie.

O’Halloran e Wiltzie chirurgici come sempre riescono nella loro produzione a racchiudere il senso di questo percorso attraverso città invisibili, reali o semplicemente costruite nella nostra mente. Bisognerebbe fare un esercizio per allenare la nostra fantasia, mettere le cuffie far partire l’album, non in riproduzione casuale, e camminare per le vie della nostra città, reale o immaginaria.

Questo album è un crescendo di emozioni, una tenda che si apre timida alle prime luci delle giornate di marzo, sembra chiedere il permesso di prenderci per mano ad accompagnarci lì, in quei luoghi delle nostre città che amiamo ma anche e soprattutto in quelli che odiamo. Gli accordi di pianoforte e le atmosfere dolci e vorticose conducono l’ascoltatore nell’esplorazione, i suoni dell’orchestra sembrano sciogliersi, come liquefatti, dietro la tenda polverosa, dell’inverno appena trascorso, che abbiamo scostato ad inizio album.

Dalla prima traccia in poi, se pur in cerca di quiete, Wiltzie e O’Halloran sfidano l’ascoltatore nello stesso modo in cui Calvino sfida il lettore. Questo viaggio tra le città di Marco Polo e le nostre, parte con So That The City Can Begin To Exist, il cui ritornello è un insieme tra pianoforte e sintetizzatori, perfetto, semplice e lineare, come i primi orizzonti che scorgiamo appena ci mettiamo in viaggio. Ogni brano di questa opera si lega al precedente, come a voler ricordare la struttura dell’opera di Calvino in cui, ogni capitolo finisce con un dialogo tra i protagonisti, così ogni suono si lega ad un altro, componendone uno nuovo che a sua volta si scompone per crearne sfumature a cui l’orecchio non smette mai di abituarsi.

È come un fil rouge che prende l’ascoltatore dalla prima nota e lo conduce all’ultima passando per scenari che inquietano in Thirteenth Century Travelogue e che lasciano a loro tempo spazio alle visioni surreali di The Celestial City. Non manca l’elettronica e questo ci piace, perché ogni viaggio che si rispetti, ogni passeggiata all’interno delle nostre città è fatta da momenti di riflessione, ascolto e ripartenza. 

There Is One Of Which You Never Speak apre la scena con gli archi e il pianoforte, immaginate un lungo viale alberato, di cui non vedete la fine, lo percorrete e ad ogni passo accanto a voi sorgono case, negozi, musei, teatri, palestre e parchi, tutto quello che vorreste, tutto quello che potrebbe rendere la vostra città, vostra, il tutto accompagnato da un crescendo di elettronica che costruisce ogni muro della vostra città.

A Winged Victory For The Sullen sono il duo, il cui album precedente era un trattato musicale sulla quinta perfetta, non potevamo, né immaginavamo di poterci aspettare di meglio. La loro musica raccoglie in ogni nota, arrangiamento, distorsione e fusione drammaticità e dolcezza. Accompagnare sul palco di un teatro un’opera di Calvino è una scommessa la cui posta in gioco è alta, ma nonostante la delicatezza del lavoro la loro produzione risulta infallibile, quasi eterea, proprio come l’album precedente. Sarebbe bello poterne godere a pieno la sua completezza a teatro con le voci dei protagonisti di oggi che rappresentano un capolavoro, di ieri sì, ma più attuale che mai.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni