Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Altin Gün – Yol

2021 - Glitterbeat
anatolian rock

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Bahçada Yesil Cinar
2. Ordunun Dereleri
3. Bulunur Mu
4. Hey Nari
5. Yüce Dag Basinda
6. Kesik Çayir
7. Arda Boylari
8. Kara Toprak
9. Sevda Olmasaydi
10. Maçka Yollari
11. Yekte
12. Esmerim Güzelim


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Per chi non ne avesse mai sentito parlare, gli Altin Gün (“giorno dorato” in turco) prendono forma ad Amsterdam nel 2016 con la decisione di Jasper Verhulst – bassista di Jacco Gardner – di mettere in piedi una band specializzata in revival turco anni Sessanta/Settanta. Un paio di annunci Facebook ben piazzati ed ecco recrutati due musicisti autoctoni, Merve Dasdemir e Erdinc Ecevit, rispettivamente voce e saz (un liuto a manico lungo). Aggiungeteci chitarra (Ben Rider), batteria (Daniel Smienk) e percussioni (Gino Groeneveld) ed ecco a voi una delle più fortunate formazioni psichedeliche contemporanee.

Per assurdo, la parabola degli Altin Gün ci ricorda decisamente quella degli australiani Tame Impala: se “On” (2018) era il loro “InnerSpeaker“, grezzo ma onesto, mentre “Gece” (2019) il loro “Lonerism“, più maturo e pungente, questo “Yol” è senza ombra di dubbio il corrispettivo di “Currents“, un lavoro destinato a dividere, intriso di groovyness anni Ottanta, che sacrifica le sei corde per far spazio a sintetizzatori e drum-machine. Una manovra tattica, che apre le porte ad un pubblico più ampio e che arriva (non a caso) all’apice di popolarità della band, con live shows sold-out in tutta Europa, dalla Turchia (dove sono allo stato attuale la rock band numero uno) all’Olanda passando per Francia e Inghilterra.

Ora, per un amante delle chitarre come me (inutile nascondersi), ci sono voluti davvero diversi ascolti per apprezzare a pieno questo terzo capitolo degli Altin Gün. Tuttavia devo ammettere che, nonostante la sferzata sintetica, il quintetto turco-olandese ci ha beccato ancora. Se “On” ci raccontava del caldo entroterra anatolico, un pianeta rosso punteggiato da palme e pseudo-Meteore, e “Gece” della misteriosa notte turca, con la silhouette della città avvolta nella nebbia ed illuminata dal riflesso di tre sottilissime lune, “Yol” (“la strada”) ci introduce invece alla periferia del capitale. Amsterdam o Istanbul? Poco importa.

In “Yol” troviamo come d’abitudine melodie folk tradizionali (Yekte, ad esempio, è una canzone della città di Kayseri, mentre Arda Boylar è originaria di una regione dei Balcani che faceva parte dell’impero Ottomano) riadattate a costrutti psych e rivisitate in salsa disco-funky. Se la splendida Ordunun Dereleri arriva direttamente dall’universo Daft Punk (neanche a farlo apposta), Bulunur Mu sembra invece attingere dall’energia robotica dei Devo. Notevoli anche gli intermezzi più propriamente funky (Hey Nari e Kara Toprac), ma le vere highlights del disco sono senza ombra di dubbio Yüce Dağ Başında e Kesik Çayır, che ci ricordano il brillante debutto omonimo del duo londinese Jungle (2014). Il rischio di tanta groovyness? Suonare come macchiette di sé stessi (Maçka Yolları).

Anno dopo anno, quello degli Altin Gün diventa sempre meno un omaggio alla musica tradizionale turca (Selda Bağcan, Barış Manço, Erkin Koray) e sempre più una creatura che brilla di luce propria, pronta a infestare i dancefloor di tutto il mondo con il suo incontenibile mix di tradizione, integrazione e innovazione. L’ingrediente segreto? Un pizzico di fortuna.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni