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I Nailbomb preparano l’assalto: “Point Blank” nel cuore industriale del metal

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Nei pochi anni che dividono “Chaos A.D.” da “RootsMax Cavalera sapeva che non tutte le sue influenze avrebbero trovato un luogo sicuro in cui crescere e svilupparsi in casa Sepultura. Non tutta la violenza e l’antagonismo. Non tutti i suoi pensieri e la rabbia. Il thrash metal mutante che di lì a poco avrebbe cambiato le regole del gioco non sarebbe stato sufficiente.

Galeotto fu l’incontro con Alex Newport, uno che di ferocia ne sapeva e ancora ne sa a pacchi, che ancora oggi non ha il giusto riconoscimento per aver dato vita ad una delle migliori band noise rock dei Novanta, quei Fudge Tunnel di cui si seguita a parlare sottoterra, dalle parti del nulla. Galeotto fu l’incontro, sì, e tutta la necessità di punk ed estremizzazioni della materia industriale, come altrove da qualche anno a quella parte stavano facendo anche Al Jourgensen e Jello Biafra coi Lard, la risposta sull’asse Brasile/Inghilterra fu la nascita dei Nailbomb.

Non ho mai pensato che “Point Blank” potesse essere in alcun modo paragonabile all’assalto sepulturiano al potere costituito o alla denuncia sociale che Cavalera stava portando avanti attraverso il porto di mare che era la musica estrema. Parlando con Trey Spruance circa thrash metal e punk in un’intervista, mi disse una cosa che ritengo essere più che reale, ovvero che nei contenuti di hardcore e punk, in un contesto di confronto antipolitico, si facessero “nomi e cognomi” dei propri nemici, mentre al metal toccava scandagliare gli aspetti introspettivi e i risvolti che hanno sull’animo delle persone le porcherie perpetrate da governi e lo scempio delle guerre. Cavalera, per me, è sempre stato l’anello di congiunzione delle due cose, Coi Nailbomb ancora di più.

Un progetto estemporaneo, al quale non necessitava né un reale seguito né una storia futura, era l’arma migliore per espettorare l’odio che restava sepolto, sebbene già ampiamente espresso altrove. Inoltre vi era quell’amore industrial per Ministry, Skinny Puppy, NIN e Front Line Assembly che premeva per uscire. Le voci dei due padroni di casa si completano: le urla di Alex stanno a terra, danno corpo e propulsione, sembrano alienate, quelle di Max sono l’animo punkeggiante, sporche e ultima vestigia prima di “Roots”. Tutto straight in your face, veloce quando serve, mid-tempo cataclisma se necessario, sample che piovono da ogni dove, invettive incarognite indirizzate alle violenze sul campo di battaglia portate avanti da una vita dagli Stati Uniti, da Nagasaki e Hiroshima al Vietnam e oltre, e, cosa più importante, gli sputi dritti sul volto del Vaticano, infervorati dal credo cristiano che Cavalera non ha mai nascosto. Dimostra come un credente possa incazzarsi ancor di più quando vede il suo Dio utilizzato per compiere uno scempio dietro all’altro, che siano le operazioni di insabbiamento riguardanti la pedofilia o, come noi italiani dovremmo ben sapere, l’appoggio di certi personaggi legati alla Chiesa Cattolica Romana a oscenità mafiose e disgustose empietà politiche.

Resta intatto, quel senso di impotenza interiore che sbatte contro le pareti della gola e si dà alla macchia appena fuori dai denti, perché un mondo di merda come questo, non può che alimentare paranoie e infezioni psichiche, cosa che non ha smesso, né smetterà di fare. Questo è “Point Blank”. Gus Van Sant sceglierà Wasting Away per una scena del suo film “To Die For”, Nicole Kidman passa davanti ad un gruppo di metallari tra cui campeggia un giovanissimo Joaquin Phoenix, rendendo ancor più assurda l’esistenza di un album così ampiamente sconosciuto, buttato su una pellicola da grande schermo.

Una copertina impossibile da ignorare, anche questo era “Point Blank”, la canna di un fucile appartenuta ad un soldato statunitense puntata alla tempia di una donna Vietcong, la disperazione per le nefandezze della guerra, scelta di rimando al monaco in fiamme dei Rage Against The Machine, scelta per dare una sentenza univoca nei confronti del peggiore degli scenari possibili, un percorso di morte e distruzione al quale l’umanità non vuole smettere (né mai smetterà) di imboccare.

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