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Youth Code x King Yosef – A Skeleton Key In The Doors Of Depression

2021 - Autoproduzione
EBM / industrial

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Tracklist

1. Claw / Crawl
2. Burner
3. Looking Down
4. Head Underwater (feat. Matt Pike)
5. The World Stage
6. A Mother's Love
7. Deathsafe
8. Finally Docked


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Sono passati cinque anni da quando mi innamorai di “Commitment To Complications” e da allora gli Youth Code sono diventati una presenza insostituibile sul mio stereo. Sara Taylor e Ryan George sono stati in grado di riaccendere la fiamma EBM che mi bruciò in petto durante l’adolescenza, spenta dall’inutilità delle band che andavano a formare un universo che pareva aver chiuso i battenti (quantomeno per il sottoscritto) con Wvmpscvt e Hocico, e che di certo non riusciva a guardare oltre i propri piercing.

Il duo californiano di questi problemi non ne ha, e sperimenta a più non posso, non si ferma mai ad un passo dal proprio Io, riuscendo a non cedere il passo, costruendo soluzioni che non arretrano dalla virulenza iniziale, andando a ricoprirla di malessere sempre più strutturato. Nuovi orizzonti si dipanano su “A Skeleton Key In The Doors Of Depression”, nuove soluzioni, vecchie sensazioni di oppressione e devastazione post-apocalittica. King Yosef, al secolo Tyves Yosef Pelletier, produttore visto già dalle parte di XXXTentacion (!) ed Alice Glass è complice e assieme artefice di questo nuovo corso. Non pago di prestare alla causa l’ugola e le grida che ne fuoriescono, ma scrive – bene – e produce – meglio ancora. I brani che nascono da questo Triangolo delle Bermude comparso al centro di una metropoli perennemente immersa in un buio innaturale risentono pesantemente di un gusto industriale estremamente sporco e pericoloso, come se Broadrick/JK Flesh prendesse si materializzasse tra le fila dei Full Of Hell, in una sterminata coltre di ferocia incontrollabile.

Non solo beat a concussione, ma tutto un universo in espansione verso e oltre il limite di genere, spesso palla al piede che inchioda a terra chiunque vi si avventuri. Yosef e Sara si completano nel loro rabbioso assalto vocale, quest’ultima però scopre di poter fare molto di più: le incursioni melodiche sono abrasive quanto basta per entrare di prepotenza in un reame punkadelico, e nel gioco delle aperture spaziali c’è il ritornello di Burner che spezza la tensione spingendo il brano in aria. L’epopea sperimentale diventa pop marcescente su The World Stage, in un dualismo tra furia e contemplazione e sospensione aerea. Doom e carni straziate si rincorrono nella lenta marcia infernale di Deathsafe, con la coda melodica che rallenta il delirio, Taylor sempre più ispirata, sempre più libera di lasciarsi alle spalle le riserve sul suo cantare. La presenza della chitarra demolita di Matt Pike sull’incendiaria Head Underwater stupisce, un assolo che è una ferita da arma bianca data in verticale, divide le acque elettroniche che si riassestano nel numero da club BDSM Looking Down, roboa, striscia si inerpica su per la schiena e fa ondeggiare.

A Skeleton Key In The Doors Of Depression” è sonorità giuste in tempi sbagliati, che viviamo a fatica, ma ne traduce tutta l’oppressione e l’asfissia in una manciata di brani che non mancano di far male e che si muovono verso il futuro. È for fans only? Certo che sì, ma non mi sorprenderei se ne arrivassero di nuovi e se un domani lo spettro compositivo di questa amalgama artistica non osasse spingersi ulteriormente in là. Io tenterei una scommessa.

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