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Architects – For Those That Wish To Exist

2021 - Epitaph Records
metalcore

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Tracklist

1. Do You Dream Of Armageddon?
2. Black Lungs
3. Giving Blood
4. Discourse Is Dead
5. Dead Butterflies
6. An Ordinary Extinction
7. Impermanence
8. Flight Without Feathers
9. Little Wonder
10. Animals
11. Libertine
12. Goliath
13. Demi God
14. Meteor
15. Dying Is Absolutely Safe


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Ci sono nomi legati al mondo dell’arte, che essa sia musicale, letteraria, cinematografica, che vanno a braccetto con il sostantivo “qualità”. Attenzione, non “quantità”: quella la si lascia agli altri, a chi preferisce la magniloquenza alla sostanza e alla concretezza, alla forza dei contenuti e dei messaggi. Ecco, gli inglesi Architects appartengono alla categoria degli extraterrestri, di quelli che scendono sul nostro pianeta per consegnarci ciclicamente prove discografiche di altissimo livello. La band di Brighton ha colpito allo stomaco con il mathcore degli esordi per poi arrivare al cuore con il metalcore che li ha resi sostanzialmente gli ambasciatori globali di questo genere ormai (purtroppo?) morto e sepolto. La figura carismatica e mai banale di Sam Carter, la potenza di una sezione strumentale perfetta in sede live, ma soprattutto i contenuti personali e sociali dei testi sono solo alcuni degli ingredienti che fanno degli Architects uno degli act più rilevanti del panorama heavy mondiale.

Dalle dissonanze di gioventù (“Nightmares”, “Ruin”, “Hollow Crown”) agli intrecci dati dalla somma di breakdown che hanno fatto scuola e ritornelli da crowd surfing (“Lost Forever/Lost Together”), fino all’inserimento di dettagli decisamente più elettronici e sinfonici (“Holy Hell”), il percorso è stato lungo e tutt’altro che semplice. I Nostri hanno dato prova di saper superare le mode che proprio loro stessi avevano alimentato e creato – basti pensare al “blegh” utilizzato da Carter, diventato prima un meme e poi un vero e proprio marchio di fabbrica per tutto il “core” degli ultimi dieci anni -, rimodellando il sound senza mai perdere intensità ed emotività.

Ed è proprio per questo motivo che il nuovo lavoro di studio firmato Architects e intitolato “For Those That Wish To Exist” riesce a inserirsi senza sfigurare all’interno della discografia finora rilasciata. Avevamo lasciato la band con il lutto al braccio per la prematura scomparsa di Tom Searle, anima del gruppo e deus ex machina dell’intero progetto, e ora la ritroviamo con quindici brani che abbandonano – almeno contenutisticamente – il dibattito interiore tra vita e morte. L’album si muove su due binari che di fatto hanno necessità di incontrarsi, per il bene dell’umanità: da un lato il grido d’allarme/la critica nei confronti dello stato in cui versa il nostro pianeta, dall’altro una chiamata al risveglio delle coscienze di ognuno di noi. Il Noi come risorsa data dalla spinta interiore dei singoli, ma anche la collettività vittima di se stessa e della distruzione che ciclicamente si porta appresso. Gli Architects hanno sempre sfruttato in positivo la propria posizione nel mondo mainstream per veicolare messaggi di un certo peso, e va dato credito alla band di Brighton per non aver ceduto il passo nel corso degli anni.

Per quanto riguarda gli aspetti prettamente musicali di “For Those That Wish To Exist” sarebbe riduttivo descriverne il risultato come straordinario e pienamente riuscito. L’obiettivo è quello di andare oltre il metalcore, di andare oltre la musica heavy in quanto tale: archi e fiati si sposano con il pop elettronico e i cori da arena, mettendo da parte per la quasi totalità dell’album i tecnicismi dei lavori precedenti. Colpisce soprattutto il lavoro dietro ai fusti di Dan Searle, capace di confezionare da solo l’intero sound di questa nuova prova di studio. Il fatto di abbassare la tensione e di portare l’ascoltatore a cantare l’album a squarciagola senza trovarsi un breakdown dietro l’angolo può essere visto come un piccolo successo artistico per nulla scontato. I brani entrano in testa e ci rimangono a oltranza, soprattutto quando i ritornelli esplodono con tutta la loro teatralità e potenza radiofonica, come a uscire dalle cuffie o dallo stereo, prendendo vita di fronte a noi.

Approcciarsi all’album alla ricerca dei vecchi Architects potrebbe causare qualche delusione: il sound più heavy della band lo si ritrova in una manciata di tracce (devastante il featuring con Winston McCall dei Parkway Drive in Impermanence) perché a farla da padrone è la metamorfosi del quintetto in un qualcosa di superiore a quanto già proposto in passato. Animals, Discourse Is Dead, Giving Blood, Demi God…i titoli dell’album potrebbero essere presi separatamente e concepire dei singoli a sé stanti senza alcun problema, tanta è la bellezza intrinseca che sprigionano. Fra pochi anni gli Architects compiranno due decadi di attività: un nuovo capitolo si apre ora, con una giovinezza 2.0 tutta da vivere.

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