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“Fastidio” di Kaos non è per tutti, ma è essenziale

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Bisognerà uccidere” “Ucciderò” “Bene”.

Questo disco inizia con l’adattamento televisivo d’un romanzo di Salgari e finisce citando Bukowski. Kaos ha sempre letto molto, si capisce e l’ha detto più volte. Si può parlare di lui senza scadere nella retorica e nel già sentito? No, non credo. Stesso discorso per quel microcosmo permalosetto che è l’hip hop italiano? Eh sì, temo proprio di sì. Di “Fastidio” invece, parlo sempre molto volentieri.

Un titolo così ruvido, diretto, inequivocabile, scomodo… Fastidioso. Eppure da quando, ormai chi se lo ricorda più con precisione, ebbi modo di iniziare a dedicargli numerosissimi passaggi in ogni dispositivo per la riproduzione musicale abbia mai posseduto, non ho mai potuto fare a meno di sentire, talvolta molto tra le righe, altre esplicitamente esternato, un sacco… Di amore. “Grattate via la superficie di un cinico: quasi sempre vi troverete un idealista deluso”, diceva tal George Carlin.

Come fai a non mangiare disillusione e cagare disappunto quando, qualcosa a cui per anni hai dedicato gran parte del tuo tempo (non sempre così tanto libero), a cui ti lega, si può dirlo tranquillamente, un debito di gratitudine, viene fagocitato da un meccanismo subordinato alle logiche dello spot pubblicitario e dei franchising negli outlet? Qualcosa di cui sei stato tra i pochi a intuire subito la dignità, trovando al contempo un modo per darne ai tuoi giorni. Certo, a venticinque anni certe passioni genuine e veraci, ti portano a farne una questione personale, sempre e comunque. In genere col tempo si rivede, si risoppesa, si rivaluta, si ridimensiona. Ma quando hai inciso te stesso su qualsiasi materiale, con qualunque alfabeto, quel momento rimane leggibile e interpretabile da tutti quelli avvezzi a quel tipo di linguaggio. Se ne rimanga compiaciuti o meno.

Nel rap l’originalità e lo stile sono o meglio, secondo me dovrebbero essere, tipo… Tutto. Si potrebbe mai confondere la voce di Marco Fiorito con quella di qualcun altro? C’erano altri che scrivevano così, in un italiano (quasi) da Accademia della Crusca, armoniosamente mescolato con gli slang della propria cerchia, nel ’96? La risposta a entrambi i quesiti è un: “No”, secco e inappellabile. Tra l’altro tecnicamente ineccepibile, per chiunque abbia una minima infarinatura di nozioni quali metrica, figure retoriche e sillabazione. Ne ho conosciuti tanti che non ci hanno mai capito niente ma se ne riempiono la bocca nei cerchi di freestyle perché tanto, anche stasera ragazze nada. Bisognerà pur farlo passare il tempo in qualche modo.

Dicevamo, l’amore. Per la vita, come da titolo di un brano. Anche se a volte, si ha la consapevolezza domani sarà peggio. Per la musica, ovvio. L’aerosol art, i libri, i fumetti, il cinema… Sono tutte cose futili, potrebbe obiettare qualcuno. No, non lo sono. In misura variabile dalla minuscola all’immensa, sono strumenti per scandagliare sé stessi e allenare l’empatia e il ragionamento. Aghi che permettono a ragazzi che faticano a comunicare di rompere la propria bolla d’isolamento. Non sarà mai poco, non sarà mai futile. Ci sono anche Neffa che assembla le basi, Deda che lascia ai posteri una strofa capolavoro, Gruff che scratcha di prepotenza e ci giurerei, tutto contento. Ad ascoltarlo bene “Fastidio”, è anche il racconto di un’amicizia.

Il flow spigoloso, l’estrema ricercatezza dei riferimenti e la qualità così così così di registrazione e mix non rendono di sicuro tutto comprensibile di primo acchito. Un po’ il bello è anche quello, a dire il vero: non è per tutti. Nemmeno per molti, non qui almeno. Ci si consola sapendo che sappiamo, disse colui che dieci anni prima si nutriva di fastidio.

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