Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Iqonde – Kibeho

2021 - Grandine Records
post-rock / math

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Ma’nene
2. Marabù
3. Edith Piaf
4. Lebansho
5. Gross Ventre
6. 22:22


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Questo iniziale 2021, pessimo in termini generici al momento come il passato 2020, è invece iniziato con una piacevolissima sorpresa musicale grazie agli Iqonde, nuovo progetto strumentale nato a Bologna nel 2019. Il nome della band, oltre ad essere sicuramente originale, ha un non so che di esotico così come il titolo del disco, “Kibeho“. Onestamente e gli chiedo scusa, ignoro il significato di entrambe le parole sempre se esistesse, ma vista la loro comunione di intenti molto chiara – “la band nasce dalla volontà di costruire un progetto musicale in cui si fondono il frastuono e le dissonanze del noise con l’immaginario dell’Africa Nera primordiale – direi che Iqonde, così come “Kibeho” si addicano molto all’anima del progetto.

Tuttavia, nonostante non sia sicuramente nemmeno lontanamente il massimo esperto di sonorità africane, non riesco a sentire l’Africa in questo disco se non fosse per la copertina del lavoro ed alla lontana per alcune percussioni e ritmi tribali che forse nella mente dell’ascoltatore potrebbero evocare l’immaginario dell’Africa Nera primordiale: se questo era l’intento effettivo in termini più di suggestioni che di vero e proprio retaggio musicale, allora ci siamo.

Finiscono qui le mie eventuali e probabilmente inutili perplessità, perchè “Kibeho” suona davvero molto bene, anche grazie all’efficacia dei brani sia dal punto di vista compositivo che di arrangiamenti. Il paragone più lampante che appare evidente appena parte il ritmo sincopato di Ma’nene, ma così anche nella successiva Marabù, è quello con gli Zu di qualche anno fa, per le progressioni ritmiche di basso martellante e per la batteria roccambolesca. Le assonanze con gli Zu le ritrovo anche in Edith Piaf, tanto che mi sarei aspettato da metà brano in poi di ascoltare il sax impazzito di Luca T. Mai.

La sensazione è che la band sia comunque composta da musicisti esperti o quanto meno capaci, nonostante il progetto sia relativamente giovane, e a parte qualche leggerissima e trascurabile sbavatura il disco è registrato in maniera impeccabile. I brani sono minimali, qui troverete esclusivamente chitarra, basso e batteria, ma la semplicità in questo senso paga in termini di efficacia: le composizioni sono ben strutturate ed articolate, nonostante i tanti cambi di registro all’interno di ogni singola traccia.

I generi toccati dal terzetto sono principalmente il post-rock/hc decisamente oscuro della inquietante Leblanshò, in cui si sente chiaramente l’influenza di un’altra band concittadina, gli Ornaments, ai quali si avvicinano molto spesso come sonorità, così come in Gross Ventre e nella conclusiva 22:22, dove si percepiscono anche sprazzi di math, ed in senso largo il noise di scuola Touch And Go, vedasi sotto la voce imponente Shellac.

Unica vera pecca è la durata del disco, troppo corto per il sottoscritto che avrebbe gradito almeno un altro paio di pezzi, visto il risultato eccellente. Concludo dicendo a gran voce: bravi e decisamente buona la prima, con la fervida speranza soprattutto di riuscire a vederli il prima possibile live!

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni