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Back In Time

“Overkill”, il trampolino di lancio dei Motörhead

Chiudiamo gli occhi e immaginiamo per qualche minuto di ritrovarci nel 1979. Un anno di piena transizione, dove il nuovo si scontra con il passato in una lotta di quartiere piuttosto accesa. Gli equilibri mondiali stanno mutando vertiginosamente, le tensioni della Guerra Fredda sembrano non affievolirsi, l’era della Thatcher è appena stata inaugurata in Inghilterra, le grandi utopie sessantottine sembrano cadere e ridimensionarsi sotto nuove correnti reazionarie.

È proprio in questo clima difficile che, il 23 marzo, esce “Overkill” dei Motörhead. Si tratta di un gruppo emergente che si sta facendo strada con il proprio sound ruvido, graffiante e grezzo. È il loro secondo album, registrato in pochissimo tempo tra il dicembre del 1978 e il gennaio del 1979 e che porterà il gruppo al successo dopo un notevole periodo di gavetta precedente che li aveva portati quasi allo scioglimento. Quasi volendo ricalcare l’aria che si respirava nel Regno Unito e non solo, il gruppo, formato da Lemmy Kilmister, Eddie Clarke e Phil Taylor portano avanti uno stile che si affianca bene sia al punk rock nascente di quegli anni, ma anche alle sonorità metal e speed metal.

La copertina, del grafico Joe Petagno (il quale curerà molte altre copertine dei loro album), ricorda molto gli artwork dei colleghi Iron Maiden e ci mostra fin da subito le intenzioni dure e metalliche della band. Dai titoli di testa, rappresentati dal brano Overkill (uno dei primi esempi di doppia cassa per la batteria), ai titoli di coda con Limb From Limb, quando si ascolta il secondo capitolo della discografia di questa band si ha a che fare con un trio che stupisce particolarmente sotto il punto di vista tecnico. Siamo infatti alla fine degli anni ’70, una nuova mandata di grandi musicisti pionieri di tecniche e di generi innovativi come Eddie Van Halen (il disco di debutto “Van Halen” è uscito solo un anno prima) sta attirando e ribaltando completamente l’attenzione del pubblico. Le influenze chitarristiche di quest’ultimo, in effetti, non mancano; lo stile incisivo, denso, elaborato e la velocità stessa delle note sono solo parte del cambiamento chitarristico-musicale che si stava delineando.

L’abilità alla batteria di Phil Taylor permea interamente tutte le tracce e ci proietta in un mondo, quello dei Motörhead, fatto di ritmi sostenuti, di stacchi improvvisi, di brevi ma importanti assoli. Un esempio importante, tra i tanti presenti nel disco, è indubbiamente la batteria del brano Metropolis, la nona traccia del disco. Riguardo a Lemmy Kilmister, il leader del gruppo, si potrebbe dire tanto e allontanarci molto dal seminato. Possiamo solo sottolineare quanto, la particolarità vocale, il personaggio e l’uomo s’imposero al pubblico mondiale proprio in questo periodo e grazie alla fortuna di questo album. Non potremmo non citare anche le “martellanti e distorte” note del suo stile bassistico, le quali, sostenute in una combo micidiale dalla batteria di Phil “Philty Animal” Taylor, formano un nucleo-groove originalissimo, unito al già citato stile chitarristico “forzuto e adrenalinico” di Eddie “Fast” Clarke.

Lemmy Kilmister mantenne costantemente il ruolo di “colonna portante” del progetto. Dai suoi albori ai suoi diversi cambi di formazione fino alla fine sancita dai membri stessi a causa della sua scomparsa nel 2016, dopo varie complicazioni sopraggiunte negli anni precedenti. Ad oggi “Overkill” rimane un titolo molto evocativo per gli amanti del genere, e dopotutto è uno dei migliori riconoscimenti attribuibili ad un album. La sua capacità di proiettarci in un anno di transizione e di stordimento dagli eventi potremmo addirittura sentirla particolarmente vicina oggi, 23 marzo 2021, un periodo altrettanto singolare in fatto di transizioni e cambiamenti su tutti i fronti.

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