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Xiu Xiu – OH NO

2021 - Polyvinyl
avant pop

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Tracklist

1. Sad Mezcalita (Sharon Van Etten)
2. I Cannot Resist (Deb Demure / Drab Majesty)
3. The Grifters (Haley Fohr / Circuit des Yeux)
4. Goodbye For Good (Greg Saunier / Deerhoof)
5. OH NO (Susanne Sachsse)
6. Rumpus Room (Angus Andrew / Liars)
7. Fuzz Gong Fight (Angela Seo / Xiu Xiu)
8. I Dream of Someone Else Entirely (Owen Pallett)
9. One Hundred Years (Chelsea Wolfe) [The Cure cover]
10. A Classic Screw (Fabrizio Modonese Palumbo / Larsen)
11. It Bothers Me All the Time (Jonathan Meiburg / Shearwater)
12. Saint Dymphna (George Lewis Jr. / Twin Shadow)
13. Knock Out (Alice Bag)
14. A Bottle of Rum (Liz Harris)
15. ANTS (Valerie Diaz)


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Ci sono giorni difficili. Periodi, anni, vite difficili. Sensazioni strane. Dischi difficili e strani. Poi c’è Xiu Xiu e dentro Xiu Xiu c’è Jamie Stewart. Dentro Jamie ci sono tante di quelle cose difficili che è difficile enumerale tutte. “OH NO” prende forma in uno dei momenti difficili della vita in cui si perde qualcosa, qualcuno, in cui si allontana e si chiude tutto fuori. I demoni interiori prendono il sopravvento e tenerli a bada è complicato, ancor di più se si è soli. Ma Jamie solo non è, non più. Gli amici lo hanno salvato.

Lo dicevo altrove, il pop di Jamie Stewart e di Angela Seo arriva dall’inferno, lì si sviluppa e trova un suo sfogo all’esterno, si incide su disco, anche se non sempre riesce nell’intento. Gli anni migliori di Xiu Xiu sono alle spalle da molto, ma che il duo non abbia nulla da dire è tutto tranne che vero. Per smuovere le acque ci sono sempre gli amici, si diceva prima, ed eccoli qui, a tendere una mano, a prestare voce e presenza, a portare il fardello assieme a Jamie. Un disco di duetti, “OH NO”, ancora lontano dai grandi fasti avant-pop che furono, ma un po’ più vicino a quanto di grande fu fatto.

OH NO” è un lavoro con una sua grandeur, un lirismo ingombrante ed è sia croce che delizia, per usare un luogo comune, cosa quanto mai distante da Xiu Xiu, sì, perché non si sa mai dove si verrà trasportati, di certo ciò che si sa di sicuro è che dentro ad ogni storia troveremo tanto materiale. Forse troppo. Un album in cui è evidente, e probabilmente più di tanti altri, che meno stramberie sono coinvolte, più la bellezza si affaccerà alla finestra, mostrandosi in tutta la sua maestosità. Io, che di stranezze sono ghiotto, sono anche stanco di sentirne dove par siano in eccesso, ed è proprio questo il caso, quel qualcosa che non fa vibrare le corde giuste arriva, a spezzare la tensione che si spande in lungo e in largo. Owen Pallett e Deb “Drab Majesty” Demure non riescono in alcun modo a far librare in volo I Dream Of Someone Else Entirely e I Cannot Resist, anzi, le affossano, sembrano essere ospiti (le canzoni) non invitati ad un balletto sfavillante e oscuro allo stesso tempo. Ma se c’è sempre un’eccezione alla regola, quella è A Classic Screw, distruzione industriale e disgregazione rumoroide che trova come partner ideale Fabrizio Modonese Palumbo.

La pompa magna con cui apre i giochi Sad Mezcalita è quella che ci vorrebbe in ogni disco pop che si rispetti, con tanto di ritornelli radiosi, strofe subacquee e le voci di Jamie e Sharon Van Etten che prima fanno botta e risposta poi si prendono per mano, esattamente come nel granuloso indie mostro Saint Dymphna (George Lewis Jr. sugli scudi). Greg Saunier, uno di famiglia da sempre, porta ancora una volta la sapienza acida dei Deerhoof all’interno di Xiu Xiu e fa di Goodbye For Good una ballata borderline (tra visioni di piante pronte a strangolare e un mondo che non ha bisogno di nessuno, tantomeno di te), struggente, asfissiante e dura come l’acciaio. Nella delicata It Bothers Me All The Time ci sono noisate di troppo (ancora quella sensazione di imbucate alla festa) a infrangere un sogno semi-acustico di puro lusso, ma quando si spengono e rimane la carne nuda e minimale, Jonathan Meinburg a dare appoggio cristallino, sullo sfondo in uno spazio tutto suo, la luce brilla.

Anni ’80 come piovesse sbottano su Rumpus Room, brillante scoppio synth-pop, e quale migliore compagno se non Angus Andrew, che pare alter ego dello stesso Stewart, tanto sono complementari, e nella stessa decade, ma in funzione di una strisciante ballata elettrica, prende vita Fuzz Gong Fight, Angela Seo interprete eccelsa. Un duetto che non mi aspettavo affatto quello con Chelsea Wolfe, ed è così tanto soddisfacente sentirla tornare alle sonorità di “Pain Is Beauty” (e non con tutte le chitarracce di “Hiss Spun”) alle prese con una cover: One Hundred Years ritorna alla luce sfocata catturata da “Pornography” dei Cure, Jamie sembra nato da una costola di Robert Smith, cosa pazzesca, dolore e darkwave, e vien voglia che i due si trovino ancora, magari per un progetto a parte. Belle figlie di Bowie sono poi A Bottle Of Rum e Knock Out, la prima con Liz Harris, popstar (senza star) d’eccezione, la seconda con la veterana punk Alice Bag, che ci mette tutta la sua strapotenza arty e mostra denti e nervi.

Come sempre, e come già sottolineavo prima, troppa roba e tutta che tira in direzioni diverse per far sì che un album come “OH NO” sia facilmente digeribile, ma, si sa, l’easy listening non è di casa, varcata la soglia della magione di Xiu Xiu. Si sente, però, tutta la necessità di buttar fuori il male che ha attanagliato il suo creatore. Selezionando accuratamente, però, ne esce qualcosa di classe. È un lavoraccio, io ve lo dico, ma ne vale la pena, anche se è tutto tranne che perfetto e il passato è passato, non c’è proprio nulla da fare.

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