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Copertine brutte e dove trovarle

Nel magico reame della musica, spesso non sono le orecchie a fare il primo incontro con quello che, in fondo, dovrebbe essere il nodo cruciale della questione ovvero, beh, la musica. Parlo, l’avrete ben capito da voi, degli occhi. Accadeva, in tempi antichi, che ci si recasse in questi luoghi fatati che solevano chiamarsi Negozi di Dischi, posti che in epoca moderna stanno divenendo sempre più leggendari e, prima ancora di sentire una sola nota di quel che passava in filodiffusione, ci si desse un’occhiata attorno, scandagliando gli scaffali alla ricerca di qualcosa di nuovo, che ci catturasse sin dalla copertina, soddisfacendo la vista, portandoci a girarlo, a leggere chi fosse il produttore, l’etichetta, i titoli o qualsiasi altra informazione, utile o meno, vi fosse stampata, per capirci qualcosa. Ovviamente c’era sempre la persona già con le idee chiare, o l’indeciso che metteva a dura prova il negoziante.

L’arcano incantesimo di innamoramento o disamoramento avveniva in quell’attimo, l’istante preciso in cui occhio, mente e cuore si allineavano conducendo l’avventore a chiedere al Mastro di Musiche seduto dietro al bancone, se solerte e appassionato, di poter ascoltare qualcosa di quel piccolo (o grande, dipende dal formato) oggetto che si stringeva tra le mani, ansiosi di capire se ci si aveva visto giusto. Letteralmente. A volte sì, spesso no. La Storia della Musica Moderna è piena zeppa di esempi di album splendidi sin dall’involucro, e gli Adepti di tutte le generazioni – almeno fino alla penultima disponibile – si sono lanciati in lunghe Guerre ideologiche su quale fosse la copertina più bella di tutte, quella che ha reso un disco nell’immaginario collettivo, che anche i Non Istruiti riconoscessero al volo. O hai vissuto nella famosa Caverna del mito, oppure a colpo d’occhio assocerai il prisma in campo nero a “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, l’immagine diafana in blu e “godente” di donna ad “Erotica” di Madonna, la banana e la zip dei pantaloni di Warhol donati a Velvet Underground e Rolling Stones, il bambino in piscina che cerca di prendere l’esca pecuniaria a “Nevermind” e la candela “Daydream Nation“.

Cosa succede, invece, quando quel che vediamo ci repelle? Ci fermiamo? Forse un tempo ci saremmo spostati altrove, a meno che non si fosse trovata una recensione stampata sull’altrettanto mitica Carta Stampata, oppure avremmo amato in egual modo un album micidiale, avvolto in un involucro non all’altezza della sua nomea e beltà. Sì, tante sono le possibilità, quasi quanto le penne e le matite, le macchine fotografiche e i computer che hanno dato vita a mostri e dèi stampigliati su un libretto, una sleeve, dietro la sottile patina di plastica di un jewel case. Facile dire “questa copertina è iconica”, ma lo è anche sostenere “cazzo, ma che è ‘sto schifo?” Difficile a dirsi, a farsi, a non lasciarsi condizionare, nemmeno ad ammetterlo, soprattutto quando si tratta di mostri sacri. È più semplice, in effetti, lasciarsi andare a grasse risate nel momento in cui la “copertina di merda” appartiene a qualche singolo tremendo del passato, roba dimenticata da Dio e da chiunque altro, assurda e oscena, da gruppi metal che definire underground non basterebbe a balzane oscenità country dall’America profonda, temporalmente e spazialmente. Cosa provate, invece, quando ad essere messo “alla gogna” dell’arte visiva brutta è un disco che amate o di una band/artista che idolatrate? Beh, scopriamolo assieme.

Radiohead – Pablo Honey

Poco importa se a me questo disco non piaccia, nemmeno Creep, e che quest’ultima sia invisa pure a Thome Yorke, “Pablo Honey” è indubbiamente uno dei dischi più importanti di tutto l’alternative rock, se non altro è l’album che ha dato l’occasione ai Radiohead di diventare ciò che sono oggi, nel bene ma anche nel male. Ciò detto, Stanley Donwood ci avrebbe messo ancora un paio d’anni a giungere in soccorso per rendere non solo appetibile l’impianto grafico della band dell’Oxfordshire, ma vero e proprio elemento inscindibile alla musica. E infatti il loro debutto sulla lunga distanza è accompagnato da quello che, purtroppo, vediamo in copertina. Avete presente il sole con viso di bimbo dei Teletubbies? Ecco, il livello di “terrificanza” è il medesimo. Al di là della foto, i font fanno male all’anima. Anche i colori. Tutto.

Linkin Park – Hybrid Theory

Sono passati 21 anni (ugh) ma non dimenticherò mai quanto mi piacquero i video di Papercut e One Step Closer, il primo orrorifico (un pizzico di Tool qui e là) e il secondo fanta-urbano/wuxia. Così quando comprai “Hybrid Theory” rimasti un attimo interdetto dalla copertina. Possibile che si potesse far di peggio? Ha tutto comunque un senso: nelle interviste che lessi all’epoca – quando di un disco ancora ci interessava tutto, dall’artwork ai rumori di fondo della registrazione – Bennington e Shinoda spiegarono che l’orripilante soldato/libellula che regge la bandiera era, chiaramente, un ibrido e parlava della loro musica, un ibrido anch’essa. Aggressiva e melodica. Seh, ok, chiamatissima. Frank Maddocks (l’artefice) ha aggiunto, di recente, che all’epoca lui e i nostri erano in fotta con Banksy, Obey e un pizzico di costruttivismo Sovietico ed eccoci qui. Banksy ce lo vedo, ma il resto? Quelle lettere che svolazzano qua e là? Dio mio…

Deftones – Adrenaline

Anche nel caso dei Deftones scegliere non è stato semplice, dato che l’arte visiva non credo sia mai stato il pezzo forte della band di Sacramento. Per anni si è pensato che quello in copertina fosse un enorme clistere, e invece è un’altra cosa, altrettanto disgustosa: una peretta (di base la stessa roba) con cui si dovrebbe eliminare il muco dal naso dei bambini. A posto così.

Pink Floyd – The Endless River

Quando uscì, “The Endless River” fu accolto con giubilo e sospetto in egual misura. A mettere tutti d’accordo fu il dipinto posto in front cover. Meme di tutti i tipi, sfottò su come somigliasse alla copertina di un numero qualsiasi de La Torre di Guardia. Null’altro da aggiungere, vostro onore.

Tool – Undertow

Una dura lotta tra “Opiate” e “Undertow”. Il prete alieno piazzato sul libretto dell’EP di debutto dei Tool è quanto di più brutto io abbia mai visto in vita mia. Mi sento di dire, però, che la copertina del primo album dei californiani sia pure peggio. Ok, è una scultura di Adam Jones ma, siamo onesti, le foto contenute nel libretto sono moooolto più interessanti. Purtroppo non sarebbe stato venduto da nessuno, prova ne è la riluttanza di certi grandi distributori dell’epoca, scandalizzati dalla foto della donna obesa e di Moe, maiale appartenuto al chitarrista. Sappiamo quanti danni possa fare la censura, ed eccone qui uno bello grosso.

The Cure – Boys Don’t Cry

Quand’ero poco più che sedicenne suonavo in una band che faceva per lo più cover, alcune di queste proprio della band di Robert Smith. Comprai il CD e i miei occhi vennero trafitti da questo collage tremendo, dedicato a Fire In Cairo, che comunque è uno dei pochi pezzi dei Cure di questo periodo che mi piace sul serio. Potevo prendere “Three Imaginary Boys”, ora che ci penso. Quella copertina sì che spacca.

Aerosmith – Get A Grip

Non sono mai stato un estimatore dei Gemelli Tossici e degli altri compagni d’avventure, ma alcuni dischi degli Aerosmith mi fanno muovere il culo, e non poco. Tra questi c’è di sicuro “Get A Grip”. Il problema è quella mammellona di mucca piazzata lì, con l’orecchino, che all’epoca fece sbiellare svariati gruppi animalisti. La band si giustificò dicendo che, ovviamente, è stato aggiunto digitalmente. Sì, ma fatelo bene il lavoro, altrimenti gli animalisti non saranno gli unici ad avere problemi nel guardare questa cover. Vabeh, siete perdonati giusto per quel pezzone che è Eat The Rich o il rutto cosmico in apertura alla title track.

Afterhours – Hai Paura Del Buio?

Uno dei miei album italiani del cuore, che ha superato indenne tanti anni di ascolti. So che lo stesso sarà per voi, ma vi immagino in piedi sulla sedia a maledire il mio nome. Poco male. Nella discografia degli After in materia di “copertine brutte” non c’è che l’imbarazzo della scelta, ma questa Claudia Schiffer agli esordi, presa da un catalogo, le batte tutte. La pelle splendida c’è, la copertina no. Vi prego.

U2 – Zooropa

Ne avrei potute scegliere, di copertine degli U2 (tipo quella di “Pop”), ma “Zooropa” mi ha sempre fatto piegare in due. L’astrobaby, le Stelle della bandiera UE, in questo afflato di “europeismo musicale”, quasi mitologico che, in fin dei conti, ha sempre caratterizzato Bono e soci (eccezion fatta per “The Joshua Tree”, che comunque ha una copertina splendida) e che, per ovvie ragioni, battezza quello che, a mio modesto parere, già non è un grand disco. Comunque sempre meglio di “Pop” e di svariati altri successivi. Il fatto che sullo sfondo di questo layer sgranato ci sia un richiamo alla cover immortale e gigantesca di “Achtung Baby” non fa che peggiorare la situazione.

Smashing Pumpkins – Zeitgeist

Nella loro prima incarnazione – quella che definiremmo originale – gli Smashing Pumpkins sono stati ben più che attenti alla cura dell’arte figurativa che li circondava, un contesto fiabesco che attingeva ad un passato benché prossimo pur sempre remoto. Tornati dopo uno stop di sette anni, cambiata la line-up per 2/4, cambiano pure le abitudine. La copertina di “Zeitgeist” non è nemmeno lontanamente paragonabile a quanto visto finora. L’artista Shepard Fairey aveva ottime intenzioni, mostrando la sua visione di un mondo che s’incammina verso la fine, a braccetto con il surriscaldamento globale. Purtroppo il risultato è sotto gli occhi di tutti, nonostante le buone intenzioni.

Subsonica – Microchip Emozionale

L’unico scambio che effettuerei tra “Microchip emozionale” e “Microchip temporale” è la cover. Tanto la modella è la medesima (Midori Tateno). Lo sfondo mi ha sempre disturbato e continuerà a farlo ancora per tanti anni. Il concept, però, è indubbiamente perfetto. Erano gli anni delle grafiche di questo tipo, una fantascienza (“Il quinto elemento” come faro nella notte) che della dozzinalità di quella di trent’anni prima aveva mantenuto i mezzi “cheap” e gli accostamenti incauti. A suo modo, perfetta…insomma…

Puscifer – V Is For Vagina

Di nuovo Maynard, questa volta con la sua creatura Puscifer. Il disegno che campeggia sul fronte del disco – già battezzato da un titolo che fa dell’oscenità ben poco segreto – fa rabbrividire. Divenuta l’Eddie del (fu) side project del cantante dei Tool, qui nasce ad opera di Eddie McClintock, le cui capacità artistiche non devono essere eccelse. E infatti…

Blonde Redhead – Misery Is A Butterfly

La (splendida) foto di Carlo Mollino, celebre architetto piemontese del secolo scorso, presa e sbattuta in una cornice da incubo e, come tocco finale a rendere il tutto persin peggiore, i due (tremendi) tipi diversi di font utilizzati per logo della band e titolo di uno dei dischi più belli della musica alternativa tutta…

Korn – Untouchables

Tre milioni di dollari per concepire questo album e l’unica idea che si è avuta per l’artwork è questa? Sicuri? Quant’era rimasto, in cassa, a fine registrazione?

Mazzy Star – So Tonight That I Might See

Tanto intenso e delizioso l’album, quanto inconcepibile la copertina. Cos’è? Perché?

Nirvana – Incesticide

Perdonami, Kurt, il tuo talento era immenso, anche graficamente ed è pur vero che la miglior arte è quella controversa, ma non ce la posso fare. Ci ho ragionato, ma a disturbarmi più di tutto è il logo della band, che sul cofano di una Fiat degli anni ’80 non avrebbe sfigurato.

Mogwai – The Hawk Is Howling

Avete presente le magliette che si vendono in certi negozietti a certi metallari e/o hippie e/o newagers ecc.? Ecco, ho il timore che i Mogwai ne abbiano qualcuna nell’armadio e deve piacergli pure parecchio. Altrimenti non mi spiegherei tutto questo.

Elio e le Storie Tese – Cicciput

Gli Elii ci hanno sempre abituato a libretti e sleeve veramente pregiati nel loro essere orripilanti: “Elio Samaga…”, “Italyan, Rum, Casusu Çikti”, persino “Craccracricrec”, ma “Cicciput” è davvero oltre. Gli occhietti su sfondo blu intenso, lasciati lì, lo rendono sia estremamente riconoscibile che assolutamente inguardabile. Resta, comunque, l’ultimo album immenso della band milanese.

Faith No More – Angel Dust

Davanti un bell’airone, su sfondo blu, e gli ornitologi a far festa, sul retro un macello. Continuano i dischi che fanno impazzire gli animalisti di tutto il mondo. Il titolo svolazzato è un tocco di classe. Come no.

Sepultura – Kairos

Sì, sì, lo so, questo non è un album fondamentale, e nemmeno bello. Ma la mia domanda è semplice: “Come siamo passati dall’artwork di ‘Chaos A.D.‘ a questo scempio che starebbe bene cucito addosso a qualche band speed metal di quart’ordine?”

Zwan – Mary Star Of The Sea

Tale album, tale artwork: confuso. Cosa voleva fare, Billy? Di certo le distanze dagli Smashing Pumpkins le ha prese. Eccome. Guarda lì.

The Dillinger Escape Plan – Miss Machine

Il concetto di miss machine è chiarissimo, i quadretti bianchi su sfondo verde fanno molto math, ma il resto no. No. No, davvero, no. Va bene l’arte povera, la collage art very hardcore ma anche meno.

Slayer – Show No Mercy

Il Capro agghindato che pare uscito da un fumetto di Conan degli anni ’70, la scritta fiammeggiante, il logo. Il titolo del disco è una promessa, perché qui di misericordia non ne vedo, nemmeno per gli occhi.

Failure – Magnified

Qui, però, c’è una sfida tutta anfibia: peggio il secondo album dei Failure o “Frogstomp” dei Silverchair? Difficile, vero?

Nick Cave and the Bad Seeds – Abbatoir Blues / The Lyre Of Orpheus

Sin da “From Her To Eternity” le copertine di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds hanno avuto il volto del loro fondatore su ogni libretto. Ci sta, con la sua idea di essere rockstar atipica (e/o artista) sarebbe stata la scelta giusta per ogni singolo disco e questo non solo per scelte puramente stilistiche, ma anche perché quando non l’ha fatto il risultato è stato se non disastroso, quasi. Tra tutte le cover floreali e bucoliche (non c’è solo questa, nossignori) quella di “Abbatoir Blues/The Lyre Of Orpheus” è di gran lunga quella che più lascia interdetti. La foto piantata lì, in una cornice beige ruvida al tocco, è straniante, che manco nei peggiori magazine dedicate al giardinaggio. Eppure Tom Hingston ha firmato l’art di “100th Windows” dei Massive Attack, e quello è decisamente bello. Mah.

Xiu Xiu – A Promise

Che io ami Xiu Xiu non è ignoto, e ultimamente ho riempito queste pagine con svariate prove di quanto appena sostenuto. Ciò detto Jamie Stewart e le cover non hanno mai avuto un gran rapporto, diciamo, apollineo. A dimostrazione di ciò, su tutte, spicca la foto di “A Promise“. A metà strada tra Terry Richardson e Nobuyoshi Araki, e voi direte: “Beh, figo”. E io vi risponderei: “Ripetetelo fissando la foto in questione per un minuto buono e poi rispondetemi ancora una volta.”

Hüsker Dü – New Day Rising

Non riesco a pensare a nulla di più imbarazzante a tema “animali controluce che fanno cose e finiscono sulla copertina di un album bomba”. Anzi, no, c’è pure quella del singolo di Everything’s Ruined dei Faith No More (vi tocca googlare, da bravi). Però quella mi fa ridere. Questa un po’ meno.

Beck – Mellow Gold

Survivor From The Nuclear Bomb“, questo il titolo della scultura che campeggia nell’art del disco che lanciò Beck nell’Olimpo delle star, seppur alternative, nel lontano 1994. Certo, potremmo imputare la tremenda riuscita dell’operazione alle sostanze psicotrope e alla troppa birra, ma poi Beck ha continuato a darci dentro, in questa direzione. Pensate a “Odelay” e “Midnite Vultures“. Però quest’ultima, stranamente, non mi è mai dispiaciuta. Mah.

blink-182 – Cheshire Cat

Chissà se prima dell’avvento di Instagram le foto di gattini avevano lo stesso effetto micidiale che hanno oggi. La risposta potremmo ottenerla da chi di voi ha comprato questo album prima dell’avvento di internet. Personalmente la prima cover che vidi del trio fu la famigerata che ritraeva la pornodiva Janine Lindemulder vestire i panni dell’infermiera del liceo. Quando, andando a ritroso mi imbattei in questo album (ma anche “Dude’s Ranch“) rimasi alquanto deluso. Forse volevo altre pornostar (ero adolescente, non rompete), o forse pensavo solo che questa fosse ciò che è: una copertina brutta. Lo scorso anno DeLonge, pur non facendo più parte dei blink, la definì la “worst album cover ever”. High five, Tom!

Yeah Yeah Yeahs – Mosquito

Gli Yeah Yeah Yeahs riuscirono, nel 2013, a battere in bruttezza l’artwork di “Fever To Tell“. Che dire, pare una versione moderna degli Sgorbions, ma pure peggio. Non saprei che altro aggiungere, gli occhi li avete.

Nine Inch Nails – Year Zero

Dite quel che volete ma a me non è mai piaciuta. E inizialmente manco il disco mi piaceva, ci ho messo un po’ a digerirlo e a farmelo andar bene (non è accaduto con parecchie altri a firma Reznor, ma sono punti di vista). Chissà non accada pure con questo lavoro di Rob Sheridan. Però, bei colori eh.

Einstürzende Neubauten – Tabula Rasa

La foga artistica che ha sempre contraddistinto Blixa Bargeld lo ha spinto a prendere decisioni di ogni tipo, e ogni scelta è fatta scientemente e non a caso. Cionondiméno siamo certi che questa natura morta con insetti di varia entità ad opera del pittore Ambrosius Bosschaert II, detto il Giovane (anche a suo padre piacevano le nature morte, ndr) fosse quella giusta per un discone come “Tabula Rasa“? Non ce la posso fare.

Litfiba – Desaparecido

Tutti d’accordo sul fatto che “Desaparecido” sia un disco gigante? Ok. Assodato ciò passiamo al fatto che la band di Renzulli e Pelù ci mise del bello e del buono e diede la possibilità ai propri fan di scegliere come trafiggersi gli occhi. In alcune stampe il disco è uscito coronato da un bel letto di sassi, comodi e di classe, in altre una foto del gruppo completata dal titolo in un font che è tutto un programma. In pratica, Litfiba, qualsiasi cosa facciate, vi tirano le pietre.

Pantera – Reinventing The Steel

Facciamo un gioco: chiudete gli occhi e sull’aria di Risate a denti stretti degli Elii cantate “Un uomo entra in un falò…SFRAAASH”. Ora apriteli e guardate la foto di copertina di “Reinventing The Steel“. Sapete qual è la cosa bella (sempre ammesso ce ne sia una)? Non è un fotomontaggio. Questo tizio, durante una festa a casa di Phil Anselmo si è davvero gettato tra le fiamme impugnando una bottiglia di whiskey (Darwin Awards ante litteram). Però è censurata, per evitare la pubblicità occulta. Magnifico.

Queens Of The Stone Age – Era Vulgaris

La mia prima scelta era “Lullabies To Paralyze” ma poi, gettando uno sguardo alla mia collezione di dischi, l’ho visto. Il mio cervello aveva rimosso in toto “Era Vulgaris“, e un motivo ci sarà. Il primo è che salvo solo Make It Wit Chu – ma questa è un’altra storia – ma appena dopo vengono quelle due lampadine. Quella pirata è qualcosa di…di…io non…

Immortal – Battles In The North

“C’è qualcosa di black metal brutto anche per gli standard?”. A questa domanda, postami dal mio omonimo ed esimio collega Fabio Gallato, e dopo un po’ di mente locale (difficile scegliere una copertina brutta in mezzo a letteralmente una marea di copertine orrende) mi è tornata in mente questa. Gli Immortal, qui, sono indecisi: vogliono far paura o diventare modelli? Dimostrare di essere tremendi (il logo della band) o goticamente “sontuosi” (quella B nel titolo…)? Anche loro non lo sapevano, e quindi, perché scegliere? Me li immagino intenti a suonare i migliori hit degli Abba.

Swans – To Be Kind

Ci sono ben poche cose che m’imbarazzano nella vita. La copertina di “To Be Kind” è una di queste.

Death Grips – No Love Deep Web

Andiamo, sapete benissimo tutti che sotto il rettangolone nero della censura si cela l’attrezzo di Zach Hill con su scritto a pennarello (mi auguro indelebile) “No Love Deep Web“. Amo questo disco (lo trovai avvolto in un sontuoso contenitore di pelle nera in un centro commerciale di Amsterdam, per dire), ma l’unico che ho per descrivere la reazione che sono certo chiunque abbia avuto vedendo l’oscena copertina per la prima volta è il seguente:

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