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Back In Time

“Sign O’ The Times”, ovvero come lasciare un segno nel tempo

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Artista camaleontico, polistrumentista, grande intrattenitore: stiamo parlando di Prince conosciuto anche come “il folletto di Minneapolis”, sicuramente tra gli artisti più completi che la musica abbia mai avuto. La sua discografia è immensa (39 album in studio più innumerevoli progetti paralleli), negli anni 80 raggiunge l’apice del successo con album come: “1999“, “Purple Rain”, “Parade” e “Sign O’ The Times“.

Questa premessa era essenziale per presentare un’artista a mio avviso poco considerato in Italia, forse per l’ecletticità del suo genere musicale ben poco commerciabile nel nostro paese, il che è un peccato perché ci ha regalato dei sublimi capolavori tra cui nel 1987 il doppio album “Sign O’ The Times“.

Prendendo il disco tra le mani per la prima volta si resta ipnotizzati dalla copertina, quello che salta subito all’occhio è il mezzo volto di Prince nell’angolo destro, sembra stia andando via con un’espressione sicura di sé di chi sa di aver fatto un disco che resterà nella storia. La batteria sullo sfondo e la sua immancabile ed eccentrica “cloud” guitar buttata per terra. Nel retro copertina, prima della tracklist, troviamo scritto a caratteri cubitali  “Prodotto, arrangiato, composto ed eseguito da Prince”, a ribadire che tutta la sua musica è autoprodotta.

Nel periodo a cavallo tra il 1986 e il 1987 Prince stava lavorando ad un album solista che avrebbe dovuto chiamarsi Camille (creando un suo alter ego donna) e ad un album con la sua band: i Revolution. Con lo scioglimento dei Revolution, condensò tutto in un doppio album ed è così che nacque il disco che oggi ascoltiamo.

La prima traccia è la title-track: un suono minimale e psichedelico con la voce solenne di Prince. Questa è una delle poche volte in cui l’artista tratta temi di attualità come l’Aids, la droga, la lotta tra gang; argomenti scottanti in quegli anni. Si inizia a ballare  con Play In The Sunshine e Housequare, quest’ultima accompagnata da magistrali percussioni.

Il tema del sesso è sempre stato centrale nei suoi lavori e in questo album lo ritroviamo in: The ballad of Dorothy Parker, It e Hot thing dove i fiati e un basso sintetizzato animano la seconda parte del brano. Slow love è la classica canzone che a quei tempi poteva far parte di una compilation in musicassetta, da sfruttare in auto con la tua amata per passare una piacevole serata.

Arriva un momento nella vita di un uomo in cui si ha paura di affrontare il resto della vita da soli, è questo il tema trattato in Forever In My Life, dichiarazione d’amore mascherata da un ritmo funky cantato a canone. Classici pop anni ‘80 molto accattivanti sono U Got The Look e Strange Relationship. If I Was Your Girlfriend, invece, è un brano che conferma la sua innata capacità di racconto e recitazione dei testi, già dal titolo non riusciamo a capire se la storia è raccontata dal punto di vista di un uomo o di una donna e non riusciremo a capirlo neanche ascoltando il brano.

Siamo quasi a fine album, potremmo pensare di aver già ascoltato i pezzi migliori e invece Prince ha in serbo ancora qualche sorpresa, sono in arrivo forse i brani più potenti dell’intero lavoro. A partire da I Could Never Take The Place Of Your Man, una delle più belle canzoni che Prince abbia mai scritto, brano pop rock, che ricorda vagamente Little Red Corvette, con un assolo di chitarra che non ha nulla da invidiare a quello di Purple Rain e una seconda parte strumentale che lascia un alone di mistero su questo brano rendendolo in qualche modo “più colto”, sei minuti di puro godimento; ascoltare per credere. The Cross invece è una stupenda preghiera stile classic rock da cantare a squarciagola in un concerto allo stadio. Dopo un pezzo live non poteva esserci un epilogo migliore di Adore, slow jam “alla Prince” dove l’artista spinge le sue corde vocali a note altissime e conferma il suo posto nell’olimpo dei grandi musicisti e intrattenitori.

Non si può etichettare con un solo genere il disco, Prince spazia per diversi generi creando sedici brani, che si amalgamano perfettamente tra di loro creando un mix che non stanca mai. Sono passati tre anni da “Purple Rain, la musica negli anni ‘80 si evolve a ritmi impressionanti ed un  avanguardista come Prince non poteva restare a guardare: l’utilizzo di drum machine e sintetizzatori, creano nuove sonorità e lasciano spazio alla sperimentazione. Per chi volesse approfondire consiglio di ascoltare la ristampa del 2017 pubblicata per il trentennale dell’album, ricca di demo e tracce scartate dagli altri lavori.

Spero di avervi trasmesso un po’ della mia ammirazione e devozione per questo Artista (volutamente con la A maiuscola) che ha dato tanto alla musica e “Sign O’ The Times” ne è la conferma. Un disco che ha davvero lasciato un segno nel tempo.

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