1. Naked Convulsions
2. Lust Of Death
3. Theorem
4. I 8 Indifference
5. Asthenic Rite (feat. Fritz Welch, Luca Benedetto)
6. Revolution
In realtà piatte e chiuse e pavide, che non sentono più l’esigenza di spingersi oltre, ogni individuo che acquisisce forma è, in quanto tale, atto rivoluzionario. Il nome Extrema Ratio, in tal senso, è dunque perfetto e che a latere del titolo “A Dangerous Method” campeggi la scritta “in six AKTIONEN” assume un significato importante, se non necessario.
Extrema Ratio è una calamita che attira a sé veterani di quel pensiero non allineato che in Italia ha dato i natali a tanti progetti che hanno lasciato una cicatrice indelebile nella mente di chi non riusciva a trovare pace ad immergersi solo a metà (o anche meno) in quella che, sempre più a sproposito, viene chiamata “musica alternativa”, smettendo i panni di un significato artistico o il proprio opposto, in funzione del nulla assoluto. A venire attirati al nucleo ci sono .xlaidox., voce e parte del tutto di un mondo hardcore che è stato segno di rivolta qui come pochi altri posti al mondo, dietro al microfono di Right In Sight e in line-up dei miei concittadini Indigesti nell’ultimo “In Disparte”, Alessandro Cartolari, avanguardia jazz ex-Anatrofobia, Valdjau Katportha, che nella scena HC ha sempre sguazzato e che ha prestato le sue idee elettrogene a chiunque ne avesse bisogno e Diego Rosso, dietro le pelli degli allucinanti Ex-p. Le singole parti diventano collettività, e, in extrema ratio, danno vita ad un unicum, nel 2021.
Le parole, in questi anni d’oscurantismo volontario, sgorgano a fiume ma hanno un unico, grande problema: sono vacue. Non vengono scelte, vagano libere ma senza un significato e attraversi significanti deleteri. .xlaidox., invece, usa le sue ponendo a monte un ragionamento, le orchestra ad arte e con naturalezza, non solo, prende anche quelle altrui e le fa sue, e le fonti che ispirano le sei azioni del disco hanno padri che della profondità hanno fatto il proprio metodo (pericoloso, non a caso): Pasolini, Gramsci, Mao-Tse Tung e Burroughs. Le dilania, le stende, le grida e le consuma. Le rende reali. Nella mareggiata jazzcore si infrangono follie, il suono è granuloso, si blocca in cesure pesanti e riparte in ambito apocalittico. Il sassofono spicca e spacca, poggia su intelaiature violente, come nastri che si inceppano e, incendiandosi, trovano sbocchi sempre più duri e virulenti, tra synth che insinuano lanciandosi in ritmiche harsh-techno e batterie asfissianti, di nuovo urla e sospiri, rigurgiti e disperazione, prese di posizione, antagonismo nel vero senso del termine, straziando l’ascoltatore, spazzando via l’indifferenza, portano a fondo in incubi fatti di carne e metallo.
“A Dangerous Method” è il risultato di una necessità, una scossa che deve, giocoforza, essere movimento, in un’astrazione che codifica il delirio in musica (letteralmente) concreta, dura come il cemento, pesante come il pensiero.