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Back In Time

“Pet Grief”, il pop sospeso dei Radio Dept.

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Ai tempi di “Pet Grief“, per qualcuno, i Radio Dept. non hanno già più bisogno di presentazioni. “Lesser Matters”, pubblicato tre anni prima, nel 2003, era stato accolto con grande favore dalla stampa di settore, presentandosi come un’ispiratissima raccolta di canzoni in saldo equilibrio fra indie (dream) pop scandinavo e shoegaze, segnate da atmosfere sognanti, nostalgiche, sospese, costruite per mezzo di strutture piuttosto semplici, ma senza concedere deroga alcuna alla varietà.

Tra l’esordio e “Pet Grief” ci sono tre anni e alcuni EP, ma Johan Ducanson e Martin Larsson aka Martin Carlberg ripartono dagli stessi fondamentali, senza stravolgere una proposta che appare già matura e artisticamente granitica: dodici brani condensati in meno di quaranta minuti, di influenza shoegaze, ma ancora ammantati di pop, stavolta in misura leggermente maggiore rispetto agli inizi, approdano in quel dream pop di cui i Radio  Dept., in quel periodo, sono già rappresentanti autorevolissimi.

A introdurre c’è uno strumentale avvolgente, It’s Personal, scandito da una batteria gentile, che ammicca ai Cure e sembra scivolare in maniera naturale verso la titletrack, la cui evoluzione electro e timidamente ballabile suggerisce qualcosa sui Radio Dept. che verranno, in particolare quelli dell’ultimo “Running Out of Love“, ma i tratti distintivi sono quelli di sempre: una voce leggermente distaccata e cullata da un’atmosfera melliflua, la cui distensione finale tocca già le corde del cuore. A Window si regge sul consueto intreccio di chitarre e tastiere e sull’inesorabile ed educatissimo pulsare di una batteria che riesce a mantenersi sempre estremamente funzionale al contesto, sigillando un’apertura non affatto distante da quella – fulminante – di “Lesser Matters“, mentre i ricami di tastiere e pianoforte di I Wanted You to Feel the Same sono l’ennesima autentica prova di quanto i ragazzi di Lund riescano a esaltarsi nella semplicità, con un sottotesto onirico di rara delicatezza.

Tra i pastelli caldi degli altri due strumentali, South Side e Gibraltar, è stipato l’epicentro emozionale di “Pet Grief“, con The Worst Taste in Music, ennesima gemma pop, nel suo instancabile rincorrersi di tastiere, di echi sottili e di aperture nel finale, Every Time e What Will Give. Se la prima abbraccia schemi da ballad, con una melodia irresistibile e una tensione naturale verso lo shoegaze più dolce, la successiva What Will Give arriva come un pugno nello stomaco, dipingendo un’atmosfera ovattata e deliziosamente rarefatta, al netto di un palpitare apparentemente inquieto, con l’ennesima melodia mortifera, il cui climax emotivo coincide con il ritornello che si spegne, spianando la strada a una cascata di miele. Sleeping In sembra incalzare timidamente l’ascoltatore, in un paesaggio dai colori tiepidi e sfocati, prima delle trame pulite incastonate nel synth pop di Tell e del timido languore di Always a Relief, più immediata ed eterea, che si colloca perfettamente in chiusura di un disco dei Radio Dept.

Nella produzione – purtroppo sempre più sporadica – degli svedesi, “Pet Grief” è, senza dubbio, il capitolo più divisivo: non di rado indicato dai fedelissimi come migliore album dei Radio Dept., “Pet Grief” non ha saputo mettere d’accordo la critica come aveva fatto il suo predecessore, alternando giudizi estremamente positivi e sonore bocciature. Un’analisi lucida potrebbe prendere le mosse dal fatto che al secondo full length del duo di Lund può difficilmente essere riconosciuta la stessa urgenza di “Lesser Matters“, che sapeva inserirsi perfettamente in una fase storica in cui il paradigma stesso dell’idea di pop stava cambiando e in maniera anche piuttosto radicale.

Altrettanto vero è che “Pet Grief” corre qualche rischio in meno rispetto ad altri lavori, ma la grazia di un pop disegnato con un ventaglio di soluzioni apparentemente ristretto rimane perfettamente intatta: la proposta artistica dei Radio Dept., nel suo attingere allo shoegaze e al dream pop, nei suoi mirabili intrecci di chitarre e tastiere, nelle sue ambientazioni e nei suoi umori sempre riconoscibili, ma mai davvero troppo simili tra loro, conosce con “Pet Grief” un altro momento brillante.

E oggi, quindici anni dopo, ascoltarlo a freddo può essere un’occasione per riscoprirne la bellezza.

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