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Suez – The Bones Of The Earth

2021 - Cagnin Records
alternative rock

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Tracklist

1. Hard To Say
2. We Are Universe
3. Robert
4. The Bones Of The Earth
5. Harriette
6. Hit The Man
7. Humanity Is Dead
8. Best Place
9. Kobane


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Dopo otto anni di silenzio lontana dalle scene, la band alternative rock Suez da Cesena torna con grande grinta e voglia di stupire in questo nuovo album in studio intitolato “The Bones Of The Earth” per l’etichetta Cagnin Records. Il disco è frutto di anni di cambiamenti e giornate vissute in sordina, che hanno lasciato un marchio indelebile e una ferita profonda all’interno del nucleo. Come un risveglio improvviso, la band si trova davanti un mondo diverso, colpito da qualcosa di assurdo e, dopo un attento studio, cerca di riprendersi ciò che aveva perso dopo l’ultima fatica “Illusion Of Growth“, pubblicata nel lontano 2013.

La band si presenta con una formazione classica composta da quattro elementi: Luigi Battaglia alla voce e ai synth, Ivan Braghittoni alle chitarre, Marcello Nori alla batteria, Manuel Valeriani al basso. I Suez sono un gruppo unito che si immerge nella propria quarta opera con la maturità raggiunta dopo più di vent’anni di carriera. L’album viene anticipato da due singoli eclettici e di spessore – We Are Universe e Humanity Is Dead – che lanciano da subito segnali interessanti per un ritorno in grande stile. Nelle nove composizioni che completano questo lavoro troviamo un grido di dolore delicato e l’interesse ancora lucido a continuare a sognare la ricerca di una nuova vita per un mondo migliore.

L’apertura delicata e sognante di Hard To Say si avvolge su un paradiso personale, che in modo sensibile incastra la linea vocale magnetica. La ritmica della chitarra in chiave acustica libera vibrazioni uniche sopra il tappeto magico del synth. A seguire, il primo singolo We Are Universe danza come una triste sinfonia, in ricordo di giornate difficili al centro dell’universo. Il brano nasce dalla visione di un uomo siriano che ritrova i propri figli in un campo di rifugiati e li bacia attraverso il filo spinato, un’esistenza terribile che nonostante tutto cerca di trovare il lato positivo delle cose. Robert invece è una composizione energica che gioca molto con le melodie ricercate e le influenze di artisti come Gaslight Anthem e Nick Cave. La struttura preziosa subisce un crescendo enorme nella parte centrale del brano, fino all’esplosione finale da brividi.

La title track è dedicata ad Alan Kurdi un bambino siriano di tre anni, un’ennesima vittima innocente simbolo della crisi europea dei migranti, a lui si uniscono tutti quelli che lottano e che non ce l’hanno fatta. La traccia si innalza nell’aria come una sinfonia struggente, dove la voce del frontman lascia una timbrica di notevole fattura. Il noise graffiante di Harriette fa l’occhiolino a Robert Smith e ai suoi monumentali The Cure. Il tiro corposo del brano riflette su un ambiente delizioso che colora parabole d’immenso su una nuova luce godibile. Il passaggio finale si libera su di un muro sonoro dalle tinte dream pop.

In Hit The Man si tratta un argomento delicato rispetto al quale spesso continuiamo a far finta di niente, ed è il simbolo di una cerchia di persone che tentano ogni volta di mascherare i problemi. Il tempo distorto e macchinoso si culla sul groove meticoloso del basso con un gusto maturo importante. Verso la chiusura ci soffermiamo sul secondo singolo uscito il mese scorso, con un impatto leggero e drammatico. Humanity Is Dead è il brano migliore di questo lavoro incentrato sulla desolazione dell’umanità che continua a crollare sotto i continui colpi di questa società confusa e indifferente. In Best Place notiamo tutta la cultura musicale della band e il grande feeling che mette nella creazione delle proprie opere ormai da anni. Una buona traccia orecchiabile e originale da tenere d’occhio. Chiudiamo con Kobane che racconta la storia di Ayse Deniz Karacagil, la ragazza morta in battaglia sul fronte siriano dal forte spirito coraggioso, messa in luce anche dal fumettista ZeroCalcare nella sua graphic novel “Kobane Calling”. Un altro episodio triste da ricordare con grande attenzione.

I Suez fanno centro in maniera decisa e perfetta, il suono familiare che si crea all’interno di questo disco fa riflettere ed è un qualcosa che apre la mente su percorsi oscuri e delicati, su tematiche politiche che non avranno mai la giusta risposta, spingendoci a continuare a lottare senza guardarsi mai indietro.

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