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“Spanking Machine”, il primo grande salto delle Babes In Toyland

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C’era una volta la Summer of love. Nella primavera del 1967, il distretto di Haight-Ashbury – un quartiere di San Francisco – diventa il centro del mondo in fatto di aggregazione pacifista, rinascimento culturale e spirituale e nuova linfa da conferire alle generazioni future: il movimento hippy è seriamente intenzionato a conquistare il mondo. Dieci anni dopo, tra New York e Londra, a raccogliere il testimone sono i punk, personcine con tutt’altre intenzioni ma che in comune con i fautori della vita lisergica hanno la volontà di sovvertire un ordine costituito. Nel primo caso il nemico era la politica imperialista statunitense, manifestatasi in tutta la sua vergognosa inefficienza nella campagna vietnamita; nel secondo, l’obiettivo da colpire era il sistema inteso nel suo complesso di regole sociali, culturali, economiche e religiose.

Hippy e punk hanno vissuto ostentatamente e ostinatamente in modo eccessivo, collegati tra loro da diversi comuni denominatori che ruotano intorno all’umana libertà: libertà di drogarsi, di vestirsi in modi non convenzionali, di fare sesso con chiunque per il solo piacere di farlo. Arriva un momento però in cui la vita chiede il conto, che spesso e volentieri è talmente salato da diventare insostenibile per le tasche vuote dei protagonisti della lotta.

La generazione settantasettina è ormai adulta a fine anni ’80. Le donne e gli uomini di quei tempi, vissuti senza freni, si guardano allo specchio oppure intorno e non possono fare a meno di constatarne le conseguenze: devastazione fisica e psicologica dovuta all’abuso di droga e alcol, ferite indelebili lasciate da innumerevoli violenze sessuali, molte donne hanno sperimentato più volte cosa vuol dire abortire, anche clandestinamente. Ma c’è anche chi porta avanti imperterrito i temi degli ultimi, come i diritti della comunità omosessuale, il senso sociale della monogamia, il femminismo in tutte le sue sfaccettature.

È da queste ceneri culturali che nasce ciò che musicalmente prende il nome di grunge. Tra i due movimenti culturali antesignani, il grunge pende maggiormente dal lato del punk, se non per un fatto semantico, sicuramente dal punto di vista musicale: riff di chitarre che rasentano il rumore, batterie indemoniate e un leader che dal suo pulpito urla slogan insultando chiunque. E se il punk prendeva spunto dall’hard rock e dal garage, il grunge è discendente diretto delle nuove (e ultime) forme di punk.

La scena grunge – non saremo certo noi a dirimere la questione se si tratti di un genere musicale vero e proprio o di un semplice movimento, ci interessa poco – inizia a prendere forma a Seattle, una città portuale dello stato di Washington che non soffre certo della frenesia delle grandi metropoli citate. Grazie all’intuizione di due discografici locali, Jonathan Poneman e Bruce Pavitt, nasce l’etichetta indipendente Sub Pop Records, un pentolone dal quale in pochi anni sbucano i Temple Of The Dog, i Green River – dal cui scioglimento nasceranno i Mudhoney e i Mother Love Bone – e i Melvins. Il tutto è racchiuso, ovviamente, nel quadrilatero formato da Soundgarden, Pearl Jam, Alice In Chains e Nirvana.

Fino a qui la storia è ben nota. Ma cosa succede se il movimento grunge assume sembianze femminili? Gli hippies hanno avuto tantissime testimonial, da Janis Joplin a Laura Nyro, passando per Michelle Phillips e Cass Elliott dei The Mamas & The Papas e la chiacchieratissima Grace Slick dei Jefferson Airplane. Nondimeno il punk, con le varie Patti Smith, Chrissie Hynde, Debbie Harry e chi più ne ha più ne metta. Quando il movimento grunge si tinge di rosa (si fa per dire) prende il nome di riot grrrl, scritto con tre erre come a simulare il ringhio di una ragazza ribelle, riottosa appunto. Uno dei gruppi più rappresentativi si forma a Minneapolis e la sua storia è formata da una concatenazione di eventi evidentemente casuali, ma che messi insieme generano una narrazione perfetta.  

Kat Bjelland, chitarrista autodidatta originaria di Salem, vive un’adolescenza travagliata tra i genitori che si separano, la scoperta di un padre biologico che però non la vuole conoscere e un primo scorcio di vita in cui per vivere accetta di fare anche la spogliarellista. Si trasferisce prima a Portland, dove conosce Courtney Love ed inizia a maturare l’idea di formare una band dopo aver visto un concerto dei Wipers, poi a San Francisco, la patria della Summer of love.

È qui che la sua vita cambia, come cambia la storia delle riot grrrl. Nel 1985, Kat e Courtney assistono ad un concerto delle Frightwig, un gruppo punk formato prevalentemente da donne e fondato da Deanna Ashley. La mamma dell’energica front-woman californiana, come facilmente intuibile, è stata hippy, e grazie a lei Deanna ha conosciuto di persona Joan Baez, Jimi Hendrix e i Beatles. Di lì a poco nascono le Sugar Babydoll: a Kat si accompagnano Suzanne Ramsey alla batteria e Jennifer Finch al basso. Ma dura poco, perché Jennifer si unirà ben presto alle L7 (altrimenti detto Hell’s Heaven) e Suzanne subirà il fascino di Courtney, dando vita alle Hole.

Lo zoccolo duro delle riot grrrl è quindi bello saldo per terra, all’appello manca solo Kat. Per nulla delusa dalla perdita delle compagne, si trasferisce nella tranquilla Minneapolis, scelta non casuale ma dettata dal desiderio di rompere definitivamente con il chiasso delle grandi città. Per la sua band ha bisogno di ragazze motivate, talentuose ma senza preparazione tecnica di base: sarà lei a pensare a tutto. Soprattutto, è alla ricerca di riottose che coscientemente hanno scelto di vivere nel piccolo centro del Minnesota.

Il tempo di frequentare un po’ la città, ed ecco che trova la ragazza che fa per lei. Si chiama Lori Barbero e fa la barista. E’ nata a Minneapolis ma per un periodo di tempo ha vissuto con la famiglia a Pearl River, una trentina di chilometri da Manhattan: la Grande Mela, in tutta la sua magnificenza, era visibile in lontananza dai balconi di casa sua. Nel leggendario CBGB, vive in prima fila il periodo più intenso della scena punk newyorkese – a metà degli anni ’70 – riuscendo a conoscere di persona perfino Patti Smith e NY Dolls. Ama la batteria, ma nessuno le ha mai dedicato tempo per insegnarle a suonare: è la partner perfetta per Kat. Manca ancora una bassista, così Lori ricorda di avere un’amica, Michelle Leon, che se la cava piuttosto bene.

La band è formata: si fanno chiamare Babes in Toyland, dal titolo di un’operetta di inizio secolo composta dall’irlandese Victor Herbert, oggetto di alcune riproposizioni cinematografiche Le più famose sono quelle di Laurel & Hardy nel 1934 e di Disney nel 1961, con remake nel 1987 interpretato da Drew Barrymore. Vengono subito osservate con molta attenzione dalla Sub Pop, ma siccome Seattle non è esattamente dietro l’angolo, firmano un contratto con la Twin/Tone Records di Peter Hallman, altra etichetta indipendente che però ha sede nella loro Minneapolis. Da lì ha preso il volo gente come i Replacement e i Soul Asylum.

Il primo capitolo discografico è travolgente, a partire dal titolo: “Spanking Machine”, la macchina per sculacciare. Lo stile è dalla prima all’ultima nota graffiante, spigoloso, ossessivo. Lori picchia in modo indiavolato su tamburi, cassa e rullanti, Michelle disegna bass-line incontenibili. E poi c’è Kat, che un riff lancinante dopo l’altro sfoggia un timbro vocale che la colloca a metà tra una Janis Joplin con le allucinazioni e una Debbie Harry elevata a una potenza indefinita.

L’inizio è senza scampo: Swamp Pussy parla apertamente di farla finita, intenzione che sa di reazione definitiva o di suicidio. Con He’s My Thing basta il titolo per fotografare la possessività di Kat nei confronti del suo ragazzo, che poi però la lascia e quindi merita tutti gli improperi di Pain In My Heart. I testi si fanno criptici in Vomit Heart, che parla forse di un’amicizia tossica, un rapporto che sfocia in una sorta di distopia di stati d’animo nella successiva Never.

C’è poi un dittico, composto da Boto (W) Rap e Dogg, dove l’odio, il masochismo e l’autolesionismo sono puri e incondizionati. Il passaggio successivo rappresenta uno sconfinamento nel punk più delirante e primordiale, quello violento, urlato, dai toni bruschi e sonorità arcaiche. E’ il caso di Lashes, You’re Right e del primo singolo Dust Cake Boy. Il finale è a sua volta sorprendente: Fork Down Throat è una malinconica ballad.

Il disco finisce nelle mani giuste, perché nel giro di qualche settimana Kat viene contattata da un entusiasta Thurston Moore. I Sonic Youth stanno per partire per il tour europeo di “Goo” e a loro non sembra per niente male l’idea di portarsi appresso le Babes In Toyland. Ma non è tutto, perché sempre dai Sonic Youth, in particolare da Lee Ranaldo, parte la proposta di produrre il nuovo album del trio di Minneapolis.

L’obiettivo – che poi si concretizzerà in grande stile – è quello di portare le Babes nel circuito delle major. La Reprise Records, storica etichetta newyorkese fondata da Frank Sinatra, era dietro l’angolo. Ciò che le Babes In Toyland matureranno nei successivi due anni prenderà forma con “Fontanelle”.

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