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(s)Trip: viaggio allucinante nella musica a due dimensioni, tra fumetto e animazione

“Cosa leggi?”

“Un fumetto.”

In risposta alla risposta, quella più blasonata di tutte ed ovvia è “Alla tua età? I fumetti/i cartoni animati sono roba per bambini”. Ha rotto il cazzo? Francamente sì. Dire che ha rotto il cazzo e ripeterla ha rotto a sua volta il cazzo? Certo che sì. Quindi che si fa? Non so, possiamo dire che anche “Boh, sì, suonare è un bell’hobby, ma poi?”. Pioggia di luoghi comuni, apri l’ombrello che sento pure puzza, non vorrei mai macchiarmi i vestiti buoni. Però è tutto vero, tutto ciò accade sistematicamente.

Va da sé, queste due realtà non potevano che incontrarsi e lo hanno fatto, tipo un milione di anni fa. È anche vero che nell’arco degli ultimi dieci anni le mode sono cambiate e l’immaginario fumettistico è entrato sempre di più a far parte della cultura popolare, racchiudendo in ciò benefici e il proprio esatto contrario, ossia delle incontrovertibili cascate di latte fuoriuscito dalle ginocchia all’ennesimo esperto di manga che ti sciorina la sua su [qui ci va il titolo del momento, presumo “Attack On Titans”] attraverso [e qui piazzateci il nome del social network che preferite].

Ma non scadiamo nel semplicistico. In taluni casi questo mondo viene vissuto come una semplice moda, tra fiere del fumetto divenute Mecca di neofiti, followers (nel vero senso del termine) e veri fissati (Veri Credenti o otaku o bonelliani o baoisti, ecc.), cosplayer che infestano l’internet e via discorrendo. Ma è anche grazie a ciò che tante perle da tempo perdute e dimenticate sono tornate alla luce, e dunque perché non ringraziare il vento modaiolo, una volta tanto? Lo stesso dicasi per la musica, in particolar modo per quella che un tempo avremmo potuto definire come “non allineata”. Pregi e difetti di questa ormai non più anomala situazione sono sotto gli occhi di tutti. Queste due realtà, però, è da davvero tanto tempo che incrociano il proprio cammino e, facendolo, hanno dato vita a mondi magnifici che vale la pena richiamare alla memoria, siano essi perduti o no.

MTV E LA TV: DA STUPID BOX A VASO DI PANDORA (PERÒ BELLO)

Quando nel 1997 nasce MTV Italia ho 11 anni, ma sono già parte di quella generazione che si nutre di televisione e cartoni animati. Per vicende personali in pratica ho due famiglie (la mia generazione è pure quella dei nuclei famigliari ultra-disfunzionali), ma i fumetti che girano in ambedue le case sono benzina vera e propria: Alan Ford, Sturmtruppen, Cattivik, Zagor, L’Uomo Ragno, Diabolik, Lupo Alberto, Rat-Man – scoperta che io e mio padre abbiamo fatto in contemporanea. A questo bagaglio incredibile ci aggiungo quello che tiro fuori dalla stupid box tramite le serie animate che le reti private mi regalano. Scopro gli X-Men (e non li lascerò più), Ken il Guerriero, Dragon Ball (direttamente dall’antichissima Junior TV), Sailor Moon, i Peanuts, Capitan Harlock. Il mio mondo si amplia e finisco per stressare ambedue i lati genitoriali (più nonna materna, chiaramente) per trovare i “giornalini” di questi personaggi pazzeschi. Ad ogni vacanza o sortita esterna alla mia fetida cittadina dell’oscura provincia piemontese rompo il cazzo per visitare quei luoghi mitici chiamati fumetterie, e le batto alla ricerca di qualunque cosa possa ampliare la mia visione. Ma è proprio con la trasformazione di Rete A in MTV che un nuovo mondo si apre davanti ai miei occhi. Sul subito non seguo sempre tutto ciò che il palinsesto dell’epoca ha da offrire, anche perché tanti programmi vanno in onda ad orari per me in possibili. Un paio d’anni più tardi, però, il miracolo. Anzi i miracoli. Plurale doveroso poiché a cambiare il corso del mio pensiero facendomi scoprire il mondo del fumetto e dell’animazione alternativa che collidono con quello della musica sono due serie, una più grave dell’altra.

Doppio Cornholio, doppio cocchiume per il mio culio

Mike Judge non lo sa, ma quando nel ’92 dà vita a Beavis and Butt-Head sta per cambiare le carte in tavola e due anni più tardi, con una serie tutta loro, descriveranno alla perfezione uno spaccato d’America che finirà ben presto per diventare uno sguardo sul mondo intero, quello dei teenager scoglionati, che fanno quello che facevamo tutti: bighellonare e guardare video musicali su MTV, per lo più heavy metal grunge, crossover, insomma, tutto ciò che di bello o assurdo c’era in quelle pieghe della musica. Il duo, però, ci aggiunge l’irriverenza dello spleen, portando all’estremo un comportamento definito da debosciati (e nel loro caso era la verità), anche quando non così spinto in là. Li scovo un più tardi, nel ’99, quando a doppiarli sono già Elio e Faso. Scoprirlo mi fece implodere, dato che poco tempo prima mio padre mi portò a casa dalla radio in cui lavorava una cassetta “rippata” dal primo LP di Elio e le Storie Tese, bruciandomi il cervello. Vedere cantante e bassista di una band già culto, già nei rispettivi olimpi di certa intellighenzia e comicità dare voce a questi due risultati della cultura alternatrash e dibattere su quanto siano fighi o coglioni o quanto li mandassero fuori video di Ministry, White Zombie, Soundgarden, Rollins Band, Nirvana e Tool è qualcosa che un adolescente che non ha idea di cosa sia internet e che vive in un buco del culo, beh, non so neanche cosa possa essere. Due mondi che collidono e dalla loro unione nasce una curiosità mostruosa, che dura ancora oggi. Due mondi di cui uno andava ancora scoperto. Tutto inizia qui.

Celebrity Deathmatch”, in qualche modo, si spingeva più in là ancora. Era già chiaro come l’emittente fosse distante anni luce da tutte le altre TV private, che facevano a gara per censurare anche la più innocua allusione sessuale, MTV se ne sbatteva e mandava in onda tutto in integrale, anche quando ad essere tirata in ballo era la violenza perpetrata tra esponenti di music-biz e stardom. Mi riempivo gli occhi della plastilina con cui erano modellati i protagonisti di ogni puntata, e mi godevo le gran mazzate allucinanti che si davano l’un l’altro. Sì, il meccanismo è molto semplice: musicisti e attori salgono su un ring per fronteggiarsi e dimostrare chi tra di loro fosse il più forte. La scelta degli sfidanti poteva nascere da un dissing, una diatriba vista in pubblico oppure dalla semplice follia inarrestabile di Eric Fogel e dei suoi collaboratori. Non dimenticherò mai la sfida tra Benigni e Mussolini, forse ispirata dall’uscita e il successo planetario de “La vita è bella”, o lo scontro tra Marilyn Manson e Ricky Martin, con tanto di esibizione del gruppo e video ufficiale di Astonishing Panorama Of The Endtime, inedito contenuto in “The Last Tour On Earth”, Beastie Boys e Backstreet Boys che si sfidano a bordo di due robottoni giganti oppure James Hetfield e Fred Durst che si suonano come due tamburi con tanto di cordoni elettrificati o la battaglia per eccezione dei fratelli Gallagher, entrambi stesi in un double KO d’antologia. Partivano telefonate con gli amici, scommesse su chi avrebbe vinto e chi fosse il più figo. E la censura (soprattutto quella dal basso) muta.

Pochi anni più tardi MTV diede il benvenuto al Sol Levante animato, con la sua Anime Night.

MOTTO HAYAKU!

Non posso nascondere quanto sia stato importante l’apporto che ebbe la musica di “Cowboy Bebop” nella mia scoperta del jazz. Composta da Yoko Kanno e suonata dai suoi Seatbelts, era un vero e proprio viaggio nei luoghi più profondi della black music. Tank! era letteralmente un carro armato e The Real Folk Blues, che chiudeva ogni puntata, una lamata al cuore. L’opening theme, con quel contrabbasso devastante, i fiati schizoidi, quasi una versione hard-bop della lanciatissima 21st Century Schizoid Man, poi, è diventato fissa di chiunque potessi cimentarcisi, persino in un concerto di Natale a Verona nel 2013. Anche se, diciamolo chiaramente, l’originale non ha rivali. Nemmeno dal vivo.

Le musiche dell’anime creato da Hajime Yatate finirono spalmati su più dischi, uno più bello dell’altro. D’altronde i giapponesi vanno ghiotti per qualsiasi cosa sia oggetto, perché non la musica? Di ogni anime che vi possa venire in mente c’è un corrispettivo in forma di colonna sonora, in vinile, CD, musicassetta, tutto. Se bazzicate nelle famigerate fiere del fumetto lì troverete, e io, scommetteteci le palle, ci ho perso delle ore nello spulcio. La fissa degli autori giapponesi per la musica occidentale, poi, trova il suo più grande estimatore in Hiroiko Araki.

Hirohiko uno di noi, indeciso su dove piazzare “Doggystyle”, “Prince 1999” e il debutto eponimo di Mariah Carey. Io li metterei vicino ai Mayhem, poi fai tu.

Era il 1999 circa e, finalmente, nella mia città aprirono una fumetteria, e io ci persi la testa. E le giornate. Ad ogni modo fu proprio durante un’incursione piuttosto approfondita che portai alla luce il suo lavoro pluridecennale “Le Bizzarre Avventure di Jojo”, disseminato di riferimenti musicali, fin troppi, un eccesso che lascia spiazzati. Dalla terza serie in poi il fumetto si popola di creature “ultraterrene” chiamate “Stand”, esseri di pura energia che scaturiscono dal corpo dei protagonisti del manga impegnati nelle imprese più disparate e dai nomi e riferimenti più vari che mai: Sticky Fingers, Killer Queen, Crazy Diamond, Limp Bizkit, Green Day, Spice Girls, Born This Way, King Crimson, Aerosmith, Bad Company, Sex Pistols, Moody Blues. Fu proprio grazie al titolo di uno dei numeri della serie che lo comprai. Si trattava di “Red Hot Chili Peppers”. E, devo ammetterlo, fu proprio grazie a questa collana che presi a cercare compulsivamente ogni gruppo, ogni artista, per comprendere perché fossero stati scelti, come in una caccia al tesoro. I creatori della nuova serie anime tratta dal fumetto, poi, hanno pensato fosse necessario seguire la linea dettata dal creatore, con sigle di chiusura che spaziano dagli Yes ai Savage Garden fino agli Enigma in un turbine di citazionismo senza fine. Una fissa, quella del genio di Sendai, che lo ha portato a farsi fotografare nella medesima posa del Duca Bianco di “Heroes” nientemeno che da Masayoshi Sukita, il fotografo che rese quella copertina immortale.

Tanto è fissato con la musica Araki quanto lo è per i mezzi di locomozione Akira Toriyama. Chi di voi non conosce Dragon Ball? Se non state annuendo, compiaciuti, persi nel fervore dei ricordi, state evidentemente mentendo oppure avete vissuta in una botola nel terreno fino all’altroieri. Ad ogni modo, questo amore indefesso per Fiat 500, aerei e dischi volanti di ogni tipo non ha impedito al buon Tori di farsi ispirare da una canzone per la stesura del concept del lungometraggio “Dragon Ball Z: la resurrezione di Freezer”: F dei Maximum The Hormone. Il pezzo, infatti, finì pure nel trailer giapponese, mentre qui in Italia la Lucky Red ebbe la bella idea di piazzarci la famosa sigla di Giorgio Vanni. Iconica, sì, ma non scherziamo. Tornando alla band capitanata da Maximum The Ryo-Kun, il brano prendeva spunto dal villain più terrificante della serie per descrivere, in una complessa allegoria, le brutalità del governo cinese ai danni del Tibet e all’attacco terroristico avvenuto per mano della setta Aum Shinrikyo nella metropolitana di Tokyo nel 1995. I fumetti, sempre roba per regazzini.

Torniamo su MTV Italia, alle anime nights. “Nana”, trasposizione animata del fumetto di Ai Yazawa (ve lo ricordate “Cortili del cuore”, sì?), andò in onda nel 2007 e la terza opening della serie si intitola Lucy cantata da Anna Tsuchiya. E allora, direte voi? Beh, non ci sarebbe nulla da dire, se non che ad affiancare la modella e cantante di Tokyo in quell’occasione in studio ci sono due volti a noi noti: alla chitarra Wes Borland, chitarrista dei Limp Bizkit (un altro che di fumetti deve averne divorati a bizzeffe, viste le variopinte mise sfoggiate e le grafiche che imballavano i dischi della band di Fred Durst) e Josh Freese, batterista di un miliardo di progetti, tra cui A Perfect Circle e Nine Inch Nails. Due session men da poco, no?

Prima di lasciare l’estremo oriente ancora una cosuccia: i produttori tedeschi dell’anime “Hellsing” decisero che il brano perfetto per la sequenza d’apertura era Aim 4. Non lo ricordate? Si tratta del singolo di punta dell’album mai realmente pubblicato dai Flint, side-project del purtroppo scomparso Keith Flint. Un vero prodigio.

FIGLI DI SULTANA E CALZINI CIUCCIATI

Venezia. a.D. 2000. Gita di terza media. Un albergo. Una televisione in camera, un gruppo di nerd. Si cercano i porno? Perché mai? Lì, liberi dagli orari e dal controllo genitoriale è possibile fare qualcosa di ben proibito: guardare “South Park”. Ne avevamo sentito parlare, visto gli spot su Italia1, ma nessuno di noi poteva star sveglio tanto per poterlo vedere, essendo fisso in seconda serata, per evitare travasi di bile alle famiglie per bene. In semicerchio davanti allo schermo attendiamo l’ora X e, cazzo, arriva. Già da come si apre non sembra assolutamente nulla di quel che avevamo visto fino a quel momento. Circa un anno dopo comprai il primo album dei Primus. In quell’istante avrei capito tutto quanto. Che il marciume americano poteva avere dei cantori perfetti, e quegli stessi cantori erano perfetti per lo schifo narrato attraverso Stan, Kyle, Cartman e Kenny. Un mondo apertamente osceno, che, censurato com’era qui da noi, dava ancor più senso a tutto.

A zonzo per la serie fanno la loro comparsa una marea di guest, non solo Isaac Hayes (che lascerà lo show a causa della puntata dedicata al suo credo, ovvero Scientology): i Korn in uno speciale di Halloween in pieno stile Scooby-Doo, pronti ad usare i loro “poteri korn” tramutandosi in pop corn e pannocchie, i Radiohead pronti a sfottere un ragazzino in lacrime reo di aver appena mangiato i resti dei propri genitori mischiati con del chili, Ozzy Osbourne, Elton John, DMX (di recente scomparso), Claypool e soci e Meat Loaf tutti sul palco per difendere Chef dal carcere e, ultimo ma non meno importante, Robert Smith, che arriva nella cittadina del Colorado per difenderla dall’attacco di Barbra Streisand, diventata per l’occasione un enorme kaiju. Sarà nota a tutti la rappresentazione poco lusinghiera dei canadesi all’interno della storia, cionondimeno i Rush aprirono alcuni loro concerti proiettando sullo schermo i quattro protagonisti intenti, con la loro cover band Lil Rush, a coverizzare Tom Sawyer. Peccato che Cartman cambi le liriche del brano, raccontando la storia di Huckleberry Finn.

Frank Zappa era il mio Elvis”. Così esordiva Matt Groening in un’intervista del 1992 a Guitar World. Il metodo “antagonista”, se così lo possiamo definire, o semplicemente absolutely free di Francesco (e del suo altro artista preferito, ossia Captain Beefheart, compagno di scorribande del compositore di “Yellow Shark”) pare aver avuto un ruolo determinante nella creazione dei “Simpson”, capolavoro del padre di una delle serie di strip più indie e irriverenti di fine anni ’70, ovvero “Life In Hell”. Ma è proprio con la famiglia gialla più famosa di tutti i tempi che l’artista porta alla luce i suoi eterogenei gusti musicali . È lecito pensare che ben pochi di voi (se non nessuno) si ricorderanno dei folli Oingo Boingo – io, ad esempio, li ho scoperti grazie a Jojo, e il cerchio si chiude – e di una loro canzone in particolare, ma alla prima nota del tema principale dei “Simpson”, scritto dal leader del gruppo Danny Elfman (che di recente ha annunciato l’uscita del suo nuovo album a 37 anni dal debutto da solista), e subito il vostro cervello comincerà a rimettere in fila tutte le puntate preferite del cartone animato.

Proprio all’interno della serie si sono avvicendati un gran numero di artisti. È fresca la notizia/polemica sull’apparizione poco lusinghiera che la serie ha voluto donare dell’ex-frontman degli Smiths Morrissey, qui ribattezzato Quilloughby (e doppiato da Benedict Cumberbatch), dipinto come un razzista – non che il Nostro non si sia dato troppa pena per non sembrarlo – sovrappeso e parecchio incattivito. Incattivito lo è diventato anche il vero Moz, la cui stizzita risposta non è mancata d’arrivare a presa visione della puntata “Panic On The Streets Of Springfield“. Se dalle nostre parti ancora non è giunta, ricordiamo invece tutti l’episodio “Homerpalooza”, con le comparsate di Smashing Pumpkins con tanto di pubblico in piena teen angst, Peter Frampton, Sonic Youth e Cypress Hill che ad un certo punto si vedono “costretti” a suonare la loro hit Insane In The Brain con l’Orchestra Sinfonica di Londra (scusaci tanto Fabri Fibra, ma “Magari fai il rap e ti presenti con l’orchestra”, per usare il famoso adagio, lo avevano già previsto i “Simpson” ben otto anni prima, eheh). Se questo non dovesse bastare, beh, a donare voce allo “spirito guida” contro cui inveisce Homer (“ALLA FACCIA TUA COYOTE SPAZIALE!”) nella puntata “Il viaggio misterioso di Homer”, allucinato da un chili atomico, è nientemeno che Sua Maestà Johnny Cash.

Fuggito dalla “quarta parete” Groening viene arruolato dallo staff del festival “All Tomorrow’s Party”, uno degli eventi più diabolici per quanto riguarda questo genere di concerti, dato che ogni edizione è curata da un pazzo diverso, per ben due anni (2003 e 2010) della compagine statunitense. Matt si porta appresso due signori carrozzoni di artisti, giusto per capirci: The Residents, The Mars Volta, Deerhoof, Iggy & The Stooges, Daniel Johnston (l’avrei detto), Sonic Youth (ovviamente), Carla Bozulich, Spiritualized, Boredoms, Hope Sandoval dei Mazzy Star, Cold Cave e parecchi altri di questa (o qualsiasi altra) risma, dimostrando che gusti ben più che raffinati.

TV PER RAGAZZI, TV PER STRAFATTI

Che Cartoon Network fosse una canale/casa di produzione per ragazzi solo sulla carta era cosa nota già negli anni ’90. Chi come me è cresciuto in quella decade si è imbattuto in almeno una delle produzioni di CN, rendendosi subito conto della distanza sia grafica (il mondo dell’animazione indie e delle strip depredato a piene mani) che ideologica. Storie imballate di follia e acido, mondi di confine e personaggi non allineati, anzi, outisder in toto. C’erano Ed, Edd & Eddy, creature di Danny Antonucci – che fu tra gli animatori del film-musical “Heavy Metal” – e come non vederci una sonora somiglianza con Beavis e Butt-Head, Mucca e Pollo, forse tra i personaggi più psicotici nell’intero lotto, il cui comprimario/villain era il Diavolo, perennemente nudo e col culo per aria, Johnny Bravo, nerboruto bellone mandato in bianco da ogni singola donna approcciasse (e lì altro che cat calling), Samurai Jack e il suo mondo cyberpunk che pagava dazio tanto a Gibson quanto a Moebius.

Con il Nuovo Millennio lo spirito psichedelico di CN non si è attenuato, anzi, le nuove creazioni dello studio spingevano oltre l’idea di pazzia a tutto campo, prendendo a piene mani dai comics indipendenti ma, soprattutto, della musica. Pendleton Ward sarebbe potuto essere un musicista, invece si è dedicato ai webcomics prima e, infine, all’animazione tout court e con il suo “Adventure Time” si è preso tutto, creando un vero e proprio culto. Oltre ai richiami grafici a certe mode (il chara design di Marceline, una vampira, è a pieno titolo emo, oltre a suonare un basso/ascia, come Gene Simmons dei Kiss), le musiche della serie andavano a pescare dalla musica minimale e lo-fi di fine ’90, inizio anni Zero, in particolar modo dall’elettronica, in una sterminata distesa di synth, ukulele, melodie che potrebbero essere uscite dalla penna di Yuka Honda e Animal Collective o, addirittura, Beck, arrivando a basare intere puntata su composizioni musicali.

Ma ad andare più a fondo nella citazione musicologica vera e propria è “Uncle Grandpa”, vero e proprio fiore all’occhiello della brutalità psych in forma animata. Se c’è un cartone animato che non dovrebbe passare su una TV per bambini/ragazzi è proprio questo, imbevuto di visioni mistiche, assurdità che sembrano prese in prestito dagli skit Nineties proprio di MTV, orrori figli (chissà quanto inconsapevoli) di Professor Bad Trip e Savage Pencil, lo show ha ospitato la creme della follia, da “Weird Al” Yankovich, passando per Andrew W.K., in una puntata interamente dedicata, beh, alla filosofia del party hard ma, soprattutto, i Melvins. King Buzzo e Dale Crover prestano voci e strumenti alla causa, suonando in un talent show con una ragazzina, sparandola dritta in un incubo strippato da dieci tonnellate.

Ad un certo punto la vena surrealista di CN è diventata tanto incontenibile da portare Mike Lazzo, uno dei programmatori del canale, a staccarsi dalla nave madre, concependo Adult Swim e da qui le carte in tavola sono decisamente cambiate. Non solo televisione, ma etichetta discografica, che ogni anno delizia gli ascoltatori con carrellate di singoli registrati ad hoc, che spaziano dagli Sleep ai Death Grips, fino a passare per Tim Hecker, i blackster statunitensi Absu, Mastodon, HEALTH, Bonnie “Prince” Billy e via dicendo. A far implodere AS è stato, senza dubbio alcuno, “Rick & Morty”. Senza alcun freno inibitorio, il cartone è violenza allo stato brado, anche emotivamente. Il finale della seconda stagione è straziante, e quale miglior pezzo se non Hurt dei Nine Inch Nails poteva commentarlo meglio? Nonno Rick e il povero Morty si lanciano anche in improbabili freestyle rap, tanto da approdare nel video di Oh Mama dei Run The Jewels, una combo senza senso.

Non so voi, ma di Stelle e Strisce io ne ho abbastanza, dunque, prima della chiusura finale in gran stile, tornerei nel caro Vecchio Continente, più precisamente in Francia. Marc Du Pontavice e i suoi partner dello studio Xilam sono stati, senza dubbio alcuno, punk prima di noi. A dimostrarlo ci sono gli svariati riferimenti come in “Oggy And The Cockroaches” (vi sento cantare la sigla in salsa ska-punk “scarafaggi skaskaska”, oh se vi sento) i cui protagonisti sono gli scarafaggi Joey, Marky e Dee Dee, che saprete benissimo essere 3 dei “fratelli” Ramone, ed il gatto Oggy, che mutua il suo nome da Iggy Pop. E proprio l’Iguana scrive e sbraita il pezzo Monster Men, sigla d’apertura di “Space Goofs” (nel quale compariranno anche, ovviamente in veste cartoonistica e non accreditati, Mick Jagger e Steven Tyler). Pensate il culo: anni fa, in una delle mie razzie musicomani, in un negozio di dischi sito a Milano trovai il singolo, che è un vero oggetto da collezione, con Iggy cartoonizzato e l’insert in pop art coi protagonisti della serie. Ci uscii di testa.

LA CARTA CHE RISUONA ALLA FINE DEL VIAGGIO

Dopo quattro giorni di scrittura arrivo al fondo di questo (s)trip. Forse un gioco di parole (potremmo mai definirlo così?) puerile, ma esattamente ciò che intendevo quando ho iniziato a scrivere questo fiume di parole (sìsì, cantate tutti). L’approdo ovvio, per me, è quello del Paese in cui sono nato e cresciuto, un Paese contradditorio, malato di tradizione, assetato di futuro anche nel suo recente passato. Paese che s’è buttato nel cesso ma che vive, o ha vissuto, tra le pieghe della carta ruvida, guardando altrove e spesso non sapendo riconoscersi. In questo Paese reale, ma nemmeno poi tanto, io trovai Pazienza e ne feci religione personale. Sì, lo abbiamo fatto quasi tutti, se non proprio tutti, che cazzo, perché mentire? Tanto che qualcuno s’è pure stufato, ma questa religione (che schifo, poi, chiamarla così) è potere secolare. Io, come quasi tutti, Zanardi me lo sono tatuato e ci ho scritto una canzone con un gruppo (ma non registrata, ci siamo sgretolati prima, per colpa mia, niente link, siete salvi), tutti i miei profili social mostrano quel naso adunco e ho una stampa appesa al muro. Sono come quasi tutti, se non tutti. Paz non era come tutti, anzi, nessuno. Nella musica e con la musica si legò, disegnò copertine pazzesche per artisti che non avrei mai detto, ma manco per il cazzo, tipo Amedeo Minghi, Enzo Avitabile, la PFM e, ohibò, Roberto Vecchioni. Un anno fa trovai “Montecristo” ad un mercatino, e lo comprai. Non l’avevo mai ascoltato, perché avrei dovuto, nel mio pensare ipocrita? Sbagliavo. L’artwork è gigantesco, c’è tutto, il gatefold si apre, diventa un quadro, si srotola ne La città senza donne, inscritta nei capelli di una donna, e la copertina, Vecchioni col cazzo al vento, un gargoyle tra gargoyle, e la sleeve, in quell’urbanismo brutale mortale, tutto suo, sempre suo, il western nei credits, tutto un mondo, in un solo album (che poi è bello, cazzo se è bello).

Ma non c’è solo questo, o l’amicizia coi Gaznevada (loro sì che, nella mia ristretta mentalità del cazzo da ragazzino, erano perfetti) e gli Skiantos. Tra le pagine sparse delle storie brevi troviamo tutti quelle citazioni ad una musica mostruosa, anche solo una scheggia, magari qualcosa che ha sentito di sfuggita, e allora ecco, dietro ad una caffettiera che ribolle, che si parla dei The Residents e del loro bestiale “Commercial Album”.

Ma non ci si può fermare qui, c’è la violenza anche quando si parla di musica, il rispetto in assenza dello stesso, e allora: “Una storia sui Beatles? Pfui! Cagate! Cagate! Roba da museo! Intrippi da arancione! Perché no una storia di NON musica?”, ma poi sente Vecchioni. Tutto torna. Si possono leggere poi scampoli di futuro, per noi presente, in “10 anni di rock”, con il perbene che sconfigge la vendita di dischi. O quella musica sci-fi di F. Stella, che suona prima la chitarronica e poi folgori sul palco, un concerto di poco più di mezz’ora, un alieno in un’Italia aliena e un’America che non esiste, eppure è qui.

In quella cricca, quella che diede i natali a Frigidaire, c’era Gaetano Liberatore. Nessuno chiamava Gaetano Gaetano, lo chiamavano e chiamano Tanino. Tanino e un altro di quei matti crearono RanXerox, poi solo Ranx per problemi con le fotocopiatrici, un cyborg coatto, strafatto di Vinavil, violento, libero. E quando si parla di libertà ecco che ritorna in ballo Zappa. Perché non dare a questo Tanino carta bianca per progettare la copertina di un album, “The Man From Utopia“, con Frank che diventa Ranx, sul davanti intento a spezzare una chitarra mentre scaccia un nugolo di zanzare a Segrate, sul retro a osservare gli sbirri attaccare i suoi fan, salutato persino da Wojtyla, ben adagiato sul suo trono dorato. Tanino prestò poi la sua penna alle situazioni più disparate: i newyorkesi skatalitici The Toasters, Ivan Graziani, Pacifico e pure “Roborama” di The Bloody Beetroots è opera sua. Giustamente.

A Davide Toffolo non arrivo subito. Su alcune cose sono una scheggia, su altre lento come la merda. È un arrivarci a fasi alterne. La prima è “Fandango” coi suoi Cinque allegri ragazzi morti. Il tratto mi stende, l’aria che si respira è di quel punk che divoro in silenzio, e lui fa lo stesso, tesse e intreccia il quotidiano con ciò che non accadrà mai, e fa tornare questi Gianni Boy, Sumo, Vasco, Mario e Sleepy, ognuno caratterizzato alla perfezione, musicato come dovrebbe, lì dove deve stare.

Ogni storia mi porta via. Passa poco e in TV, sempre quella, il fil rouge dell’articolo, vedo passare il video di Voglio armarmi. I Punkreas sono in mezzo al dibattito tra me e i miei amici, ma “Pelle” è l’unico disco che mi piace dalla prima all’ultima traccia, e quel video, leggo, è stato animato da Toffolo. Un motivo c’è sempre, dietro a tutto.

Passa ancor meno e a venire a galla, per me e solo per me, ovvio, il me sedicenne, Ogni adolescenza + Quasi adatti, e giuro amore ai Tre Allegri Ragazzi Morti, che poi sono il midollo della loro emanazione su carta, con El Tofo a creare, nel mondo reale personaggi inventati (pure prima di Jamie “Tank Girl” Hewlett e Damon Albarn e i loro Gorillaz, un tripudio di multimedialità), maschere riconoscibili in ogni dove, realtà interconnesse. Compro “La testa indipendente”, e lo incenso. Lo perdo. Mi dispero. Passa del tempo e mi viene regalato. Gaudio totale. Oggi esce la ristampa, presa al volo. Sono già passati vent’anni, ma l’amore di cui sopra fu pia illusione. Non mi piace null’altro dei TARM (o poco poco, tra cui “Allegro pogo morto”) e mi piaceranno sempre meno, ancora meno, fino a scomparire totalmente dal mio interesse. Però Toffolo mi rimane dentro. Ama Magnus, come non ricambiare.

Ci metto ancora di più a giungere al Dr. Pira. Ormai sono finito nel gorgo mostroide di quello che venne dopo il punk, dell’hardcore, nel nuovo millennio. Metà anni Zero e io e un amico portiamo alla luce un sito, quello de “I Fumetti della Gleba“. Scatarriamo i polmoni dal ridere, e lì vengono fuori lembi di musica. Anni dopo, tanti anni dopo, usai una citazione da lì estrapolata per introdurre una mia serie di articoli sul jazz: “‘Topo Gigio sei veramente fortissimo! Potresti venire a distruggere un concerto jazz?’ ‘Sì, certo. AAA’ SDRSH.” Questa l’anima di quei fumetti disegnati malissimo, che mi uccidevano senza pietà, fino alle lacrime. Tutte le regole sovvertite, la bellezza del cosmo delle strisce finita nel cesso e riemersa dal lavandino in un turbine di bellezza iconoclasta, e poi SDRSH.

Ma poi, che cazzo c’entrava l’hardcore, il post, il core, il post-core? Semplice. Compro “Pocapocalisse” dei Laghetto. Mi soffermo sulla copertina. Guardo bene. Guardo meglio. Eccoli là dietro, i Fumetti della Gleba, fatti malissimo, e stanno sul mio disco preferito di tutta quella gente lì, quello che dice “La massa è pirla! Non seguirla” e mette nel mirino Oriana Fallaci e lo fa nel modo più violento possibile. Lo mostro subito al mio amico. A lui i Laghetto non piaceranno mai. Eh, vabeh.

Poi fu introdotto un elemento che non suonava niente, L’Ormai-Famoso-a-Chiunque TUONO PETTINATO” (dal libretto di “il coraggio di non suonare”). In seno (ohoho, seno) a quella band scoprivo esserci la quintessenza del mio nuovo mondo su carta. Ratigher e Tuono Pettinato (e insieme ad altri, diventano i Super Amici, e io aaaAAAH). Dei due quest’ultimo mi mise una pietra sopra. Il suo stile inconfondibile mi avrebbe dato fuoco per un sacco di tempo, in “Nevermind” vedevo la luce, Calvin & Hobbes, antichissima infatuazione dei tempi della Comix, ma con Kurt Cobain, bambino, lontano da quella canna di fucile che è la vita da rockstar. E qui il cerchio si chiude, con una dedica, a Lucca Comics, sulla mia copia, “Per Faz”. Per me, a posto così, vostro onore.

Tirate un sospiro di sollievo: è finita. Sì, sono andato molto lungo. Editorialmente: un suicidio. Ma, fidatevi, ho tralasciato tante di quelle cose, che giacciono lì, sulle mie librerie, e così tante altre ancora che forse ancora non conosco, di questo mondo assurdo, che fonde i media, gli stili, i tratti di una moltitudine di fumettari cresciuti con la cuffie calcate nelle orecchie. Una forgia in cui si fondono realtà che paiono distanti e che invece no, si amano. Ancora un po’ e ci scrivevo un libro, ma c’è gente molto più brava di me che potrebbe farlo. Di certo non potrei disegnare: sono scarso.

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